GroKo 3.0: i commentatori "europeisti" non la raccontano, ma la politica in Germania è più (tragi)comica che in Italia

GroKo 3.0: i commentatori "europeisti" non la raccontano, ma la politica in Germania è più (tragi)comica che in Italia

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La settimana scorsa Angela Merkel è stata rieletta Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca con solo 10 voti di vantaggio. La GroKo 3.0 è una delle maggioranze più strette nella storia del dopoguerra tedesco e inizia malissimo. Entriamo nel dettaglio: in Germania il Presidente nomina il Cancelliere e il Parlamento (Bundestag) deve eleggerlo. L’attuale Bundestag ha 709 seggi totali quindi ce ne vogliono almeno 355 per avere la maggioranza assoluta. In teoria la Merkel ha una maggioranza di 399 parlamentari – i parlamentari della CDU/CSU più quella della SPD – ma la Cancelliera è stata eletta con soli 364 voti, appena 10 in più della soglia minima necessaria e 35 in meno di quelli previsti. Insomma, il nuovo governo tedesco inizia con 35 franchi tiratori di cui non si conosce l’identità (il voto era a scrutinio segreto), una gran bella offesa per Angela Merkel.



 

Gli analisti di Eurointelligence suppongono che questi voti di slealtà provengano dalla SPD ma personalmente non mi sento di escludere che questo gesto di malcontento provenga dalle fila del suo partito, in particolar modo dall’ala bavarese (CSU), rimasti contrariati dalle generose concessioni ministeriali fatte alla SPD e preoccupati per le elezioni di ottobre in Baviera, dove i sondaggi non promettono bene. Se la GroKo comincia con 35 deputati contrari vuol dire che ne basterebbero solo altri 10 per negare la fiducia alla Merkel. Come avrete sentito dire qualche volta, in Germania vige il sistema della “sfiducia costruttiva”, che significa che il parlamento non può chiedere di sfiduciare il Cancelliere a meno che non abbia pronta una proposta alternativa (attualmente quasi impossibile), ma c’è un altro scenario. Se ci fosse una crisi di governo e fosse la Merkel stessa a dover chiedere un voto di fiducia al Bundestag, le cose sarebbero diverse. In questo caso non sarebbe necessario presentare una proposta alternativa e la Merkel potrebbe essere sfiduciata direttamente dalla sua maggioranza riconsegnando la palla nelle mani del Presidente della Repubblica che a quel punto potrebbe anche sciogliere il Bundestag e chiamare nuove elezioni.


 

Questa lunga prefazione serve a mettere in evidenza non solo il fatto che parlare di grande coalizione ormai è improprio, ma che questa GroKo potrebbe non riuscire a mantenere i numeri per durare un intero mandato, specialmente se i sondaggi dovessero farsi ancora più aspri. È in questa ottica che le elezioni di ottobre in Baviera diventano ancora più importanti di quello che sono. Dalla SPD invece non dovrebbero arrivare problemi, ormai si sono completamente venduti alla Merkel e il loro unico pensiero sarà quello di conquistare un altro pugno di poltrone e incarichi prima e dopo le elezioni europee del 2019. Inoltre, la CDU/CSU ha anche il problema di cosa fare dopo questo governo, che nella migliore delle ipotesi ha davanti un periodo di tre anni e mezzo di legislatura (lungo, ma non lunghissimo). Ripresentare ancora la Merkel nel 2021 è improponibile, ma anche far emergere una nuova leadership durante un mandato in cui si governa con l’avversario non è semplice. Se la CDU/CSU non riuscirà a risolvere questo problema, alle prossime elezioni AfD potrebbe benissimo diventare il primo partito della Germania.

 


Nonostante la potenziale instabilità della GroKo, per adesso nessuno può togliere il quarto mandato ad Angela Merkel. Il nuovo governo sarà probabilmente più dialogante su argomenti europei come l’immigrazione, l’austerità e gli squilibri commerciali e dovrebbe muoversi verso nuove intese con la Francia di Macron, ma nonostante questo è difficile che ciò si traduca in una svolta in senso federalista del contesto europeo. Per gli europeisti convinti c’è una brutta notizia a cui è stato dato poco peso.

 


Un gruppo di otto Stati membri medio-piccoli del nord (Irlanda, Danimarca, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania), guidati dai Paesi Bassi, si è presentato come un'alleanza in vista dei prossimi negoziati sulla governance della zona euro.

 

 

 

L’intenzione di questa nuova Lega Anseatica è contrastare la spinta franco-tedesca per l'ulteriore integrazione europea. Poiché non si mettono insieme otto governi con un paio di telefonate nel weekend, questo ci dice che il tempismo del discorso di Mark Rutte a Berlino per illustrare la sua visione per la Ue non è stato un caso. L’alleanza nordica richiede:

- una stretta osservanza del patto fiscale, per consentire ai paesi di accumulare fondi che renderebbero superfluo un bilancio europeo di stabilizzazione macroeconomica.

- una garanzia europea sui depositi e un supporto comune per la risoluzione bancaria, ma con una precedente riduzione del rischio nel sistema bancario.

- accettano la conversione del MES in un Fondo Monetario Europeo, ma i prestiti agli Stati membri in difficoltà dovrebbero essere subordinati alla ristrutturazione del debito pubblico.

- il fondo dovrebbe avere una gestione intergovernativa, con le sue azioni soggette ad approvazione da parte degli Stati membri e non dalla Commissione o dal Parlamento europeo.

 


La sensazione a Bruxelles è che questi otto paesi siano preoccupati per l'apparente cambiamento della politica tedesca. L’accordo di grande coalizione esprime un'apertura all'idea di Emmanuel Macron, mentre la posizione della nuova Lega Anseatica sembra riflettere le opinioni del documento scritto da Wolfgang Schäuble prima del suo addio, la visione dei falchi tedeschi. La realtà quindi è molto più semplice: i Paesi Bassi sono uno stato vassallo della Germania, solo un ingenuo può pensare seriamente che il paese dei tulipani abbia messo insieme questo gruppo di stati senza il consenso di Berlino. La nuova Lega Anseatica è solo un modo per fare il poliziotto cattivo davanti al poliziotto buono tedesco in sede comunitaria e mandare a monte le riforme dell’Eurozona promesse nell’accordo di grande coalizione senza imputare a Berlino tutta la responsabilità di questo fallimento, salvando l’architettura europea tanto conveniente ai paesi del’Europa dei forti senza spezzare i sogni dell’europa dei deboli.
 

 

Federico Bosco

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