I contratti che ci vogliono imporre al massimo ribasso

La logica del meno peggio distruggerà ogni residuo di dignità della forza lavoro pubblica?

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I contratti che ci vogliono imporre al massimo ribasso

 

di Federico Giusti

Da molti anni i lavoratori e le lavoratrici sono complici di un sistema che ha affossato il potere di acquisto e di contrattazione. O almeno questa complicità si manifesta in settori nei quali un sussulto di dignità sarebbe possibile, e a dir poco auspicabile, come ad esempio il Pubblico Impiego.

Nel corso degli anni la composizione del dipendente pubblico è cambiata: meno uomini e più donne, più laureati e meno ruoli esecutivi, sono tuttavia cresciute le disparità del trattamento economico tra i vari comporti e perfino all’interno di un singolo settore (logica vorrebbe che un dipendente delle Funzioni locali avesse lo stesso stipendio a prescindere dal suo impiego in una Regione, in una Provincia o in un Comune). Queste disparità sono il risultato delle politiche sindacali concertative che negli anni passati hanno distribuito mance senza mai affrontare la questione centrale ossia la erosione del potere di acquisto.

Perché resta inspiegabile che un insegnante o un infermiere in Italia debba percepire il 20 per cento in meno del salario di un collega francese o tedesco, la ragione si spiega con semplicità guardando alle dinamiche contrattuali italiane che da oltre 30 anni sottoscrivono intese con aumenti inferiori al costo della vita indicato dall’Istat.

Conti alla mano i salari italiani, nel pubblico e nel privato, sono stati per quasi 40 anni in fase regressiva, la politica di austerità italica si è tradotta in dinamiche contrattuali al ribasso, in salari da fame che alla fine hanno impoverito una parte rilevante della forza lavoro che pur avendo una occupazione stabile non arriva in fondo al mese. Ma questa situazione non sembra stare stretta ai salariati, in giro non vediamo la crescita delle sigle sindacali conflittuali, buona parte dei lavoratori e delle lavoratrici si è semplicemente adeguata alla logica del meno peggio. Alle elezioni Rsu dell’aprile 2025 i sindacati che hanno sottoscritto intese contrattuali a perdere non sono scomparsi ma hanno conservato i loro consensi e in qualche situazione li hanno perfino incrementati. La vicinanza di certe sigle ai governanti locali e nazionali determina un potere negoziale occulto e clientelare, un sussulto di dignità della forza lavoro dovrebbe respingere certe logiche ma in pratica non accade.

Quanto abbiamo appena scritto diventa fin troppo ovvio ma è una fotografia della realtà che andiamo invece occultando o travisando per piegarla ai nostri voleri.

Se tenessimo un referendum consultivo molti lavoratori voterebbero per aumenti contrattuali inferiori al costo della vita ma l’indomani della busta paga muoverebbero accuse ai sindacati di averli ingannati, perfino a quei sindacati che li invitavano a un sussulto di dignità

Firmare «entro l’estate» gli accordi 2022/24 su sanità, enti locali e istruzione, «consentire un’immediata partenza della nuova tornata contrattuale», sono gli impegni assunti dal Ministro Zangrillo, lo stesso che poi dava per scontata la firma entro il  2024.

Un contratto, sono parole dei sindacati amici del Governo che, fosse per loro, avrebbero già sottoscritto una intesa con aumenti del 6% e un costo della vita cresciuto di quasi il 18%, corretto e sostenibile, necessiterebbe  tuttavia di fondi adeguati a disposizione ma invece le risorse economiche mancano se vogliamo rinnovare i Contratti a cifre dignitose.

Perché alla situazione attuale siamo arrivati dopo lustri nei quali abbiamo perso potere di acquisto e di contrattazione adeguandoci alle offerte "ragionevoli e compatibili con lo stato dell'economia" dei Governi di turno

Gli stanziamenti della Legge di Bilancio 2025 consentono aumenti massimi del 6 per cento complessivi quando il potere di acquisto in un triennio è diminuito di quasi il 18 per cento,  era stato detto fin dall’autunno scorso che i soldi sarebbero stati del tutto insufficienti ma il Governo è andato dritto sulla propria strada in perfetta sintonia con qualche sindacato confederale e autonomo.

Il decreto primaverile della Pa non permette incrementi economici adeguati e certi ma si prefigura solo qualche aumento per Enti con bilanci virtuosi e forse a discapito di nuove assunzioni, limitandoci insomma ai fatti non sono state stanziate risorse sufficienti e quantificabili. E poi se parliamo di rinnovo contrattuale dobbiamo rivolgerci alla totalità dei dipendenti e una eventuale erogazione di cifre aggiuntive non può essere pensata solo per una minima parte del personale.

 Si fanno le nozze con i fichi secchi contando su sindacati come la Cisl disposti a tutto per accontentare il suo Governo dimenticando che sottoscrivere intese in (grande) rimessa economica significa non tutelare gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici.

Non si tratta di pregiudizi ideologici ma di sostanza, da 20 anni firmano contratti in perdita, nei testi siglati le prerogative sindacali vengono indebolite diminuendo le materie oggetto di contrattazione, scaricano sulla contrattazione di secondo livello l’aumento delle Eq e dei trattamenti riservati alle figure apicali, tengono fermo il buono pasto a 7 euro quando nel privato siamo a 12, pensano di cavarsela scambiando gli aumenti con dei bonus, non vogliono integrare i fondi della produttività, non prevedono incrementi di vari istituti contrattuali in aggiunta al fondo stesso. Potremmo continuare a lungo per dimostrare quanto arrendevole sia stata nel tempo la linea sindacale dei compromessi a ribasso ma crediamo di avere fornito elementi sufficienti. I salari dei dirigenti pubblici intanto sono cresciuti più di quelli degli altri dipendenti, la forbice salariale è destinata ad allargarsi e acuita da secondo livello di contrattazione. E qui arriviamo ad una questione dirimente: perché non prevedere una quattordicesima mensilità al posto della contrattazione sul fondo della produttività?

Perché alla fine i sindacati rappresentativi sono un fattore di tranquillità, in assenza di conflitto ma in presenza di logiche divisive e spartitorie proprie della contrattazione di secondo livello. E non è casuale che sulla inutilità della performance non si intravedano analisi e spunti critici, la forza lavoro si è adeguata al principio che parte del suo salario debba essere decisa dai voti del dirigente.

Il tempo scorre ma il Governo non porta un euro in più, sa bene che senza risorse adeguate potrà essere solo sottoscritto un contratto in perdita (quanto a potere di acquisto) e per questo pensa di imporre, con l’aiuto dei sindacati complici, una intesa al massimo ribasso senza portare, come invece asserito dall'Aran, certezze retributive e stabilità contrattuale.

 

 

 

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