Il nuovo fronte scelto dai tagliagole euro-liberali dopo la caduta dell'Ucraina

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Il nuovo fronte scelto dai tagliagole euro-liberali dopo la caduta dell'Ucraina



di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Il Kazakhstan si sta rapidamente trasformando in una colonia francese, spostandosi verso la NATO, con la Turchia che la spinge in quella direzione, scrive Ajnur Kurmanov su PolitNavigator. Ne sono testimonianza le frequenti esercitazioni militari congiunte e la crescente cooperazione militare-industriale, che finiscono per contrapporre Astana al ODKB (Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrghyzstan, Russia, Tadžikistan) creando tensione ai confini meridionali russi.

Forze speciali kazakhe hanno preso parte alle manovre “Anadolu-2025” con unità di 33 paesi (tra questi, anche Azerbajdžan, Georgia, Kyrgyzstan, Uzbekistan, Turkmenistan) membri o candidati NATO, con esercitazioni al combattimento urbano con l'uso di droni. Allo scopo, si sta adottando l'esperienza ucraina nell'impiego di droni d'attacco; si sta cioè praticando l'interazione delle forze nel quadro del sistema occidentale di coordinamento, con l'obiettivo a lunga scadenza di rafforzare le posizioni NATO nel Caucaso e in Asia centrale. Fa da tramite Ankara, nell'ambito del blocco politico-militare dell'Organizzazione degli Stati Turchi (OTG: Azerbajdžan, Kazakhstan, Kyrghyzstan, Turchia, Uzbekistan) e del progetto di "esercito del Turan".

Ora, alla luce del fatto che in Azerbajdžan verrà realizzata la più grande base militare turca, il coinvolgimento delle forze kazakhe nelle esercitazioni “Anadolu-2025” fa supporre che anche Astana stia diventando parte integrante di questo sistema di sicurezza unificato. Per dire: il prossimo settembre, nella zona di Baku, si svolgerà un'esercitazione con forze turche, uzbeke, kazakhe e pakistane, il che appare come uno strumento di pressione su Mosca e Teheran nel bacino del Caspio.


Si sta già insomma formando un nuovo saliente di tensione ai confini meridionali della Russia, mentre lo status degli “alleati” nel ODKB in Asia centrale diventa sempre più sfocato e non fa che mascherare il vero quadro geopolitico che va delineandosi nella regione.

È però anche significativo che Astana, mentre rafforza l'integrazione militare con Ankara, stia contemporaneamente intensificando la cooperazione con Parigi nel campo dell'estrazione e esportazione di minerali strategici. Mentre in Turchia erano in corso le esercitazioni delle forze speciali, Astana annunciava l'apertura di un impianto di lavorazione dell'uranio con la partecipazione di un'azienda francese presso il giacimento di Tortkuduk meridionale, nella regione del Turkestan. In tal modo, con una svolta coloniale in Kazakhstan, la rivale della Turchia ha l'opportunità di sostituire i giacimenti perduti in Africa occidentale, con 2.000 tonnellate di uranio all'anno che verranno destinate direttamente alle centrali nucleari francesi. Allo stesso tempo, Parigi non abbandona i piani per partecipare alla costruzione della prima centrale nucleare nel sud del Kazakhstan, come parte di un consorzio comune, imponendo le proprie "tecnologie verdi".

Ciò dimostra che, nonostante la concorrenza tra Ankara e Parigi, i loro interessi nell'accaparramento delle ricchezze del Kazakhstan e dell'Asia centrale convergono. Dopotutto, il raggruppamento OTG, prototipo del "esercito del Turan", si concentra proprio sul controllo dei giacimenti e della rotta transcaspica per l'esportazione di minerali da parte del capitale occidentale.


Impianto per la lavorazione dell'uranio insieme ai francesi

Comicamente, in questo contesto di servilismi verso l'Occidente, Donald Trump ha imposto dazi commerciali del 25% su Astana che, d'altra parte, partecipa attivamente alle sanzioni contro Mosca, esibendosi in una politica compradora e collaborazionista. Politica che si esprime anche, al pari di Kyrghyzstan e Azerbaidžan, in sanzioni interne per il mancato rispetto della quota linguistica nazionale in televisione. Al senato kazakho, si lamenta la propaganda russa nelle regioni di confine e, di contro, si alimentano sentimenti russofobi: una testimonianza di coordinamento all'interno dell'Organizzazione degli Stati Turchi. Così come a Biškek, infatti, anche ad Astana il Ministero della cultura parla di introduzione di responsabilità amministrativa per canali televisivi e stazioni radiofoniche che non forniscano un volume richiesto di trasmissioni in lingua kazakha, mentre emendamenti al Codice Amministrativo vanno a punire, di fatto, un uso del russo ritenuto “eccessivo”.

In realtà, il discorso verte sul “repulisti” del campo informativo da trasmissioni russe e dall'influenza politica sulla mentalità dei kazakhi. Così, Olga Bulavkina, senatrice della regione del Kazakhstan orientale, lamenta che i cittadini delle zone di confine "assorbano" in modo incontrollato l'ideologia russa. Di fatto, il Kazakhstan va cadendo completamente sotto il controllo anglosassone, sulla strada di un "cordone sanitario" attorno alla Russia. Stando alla Reuters, gli USA stanno mettendo in piedi in Kazakhstan un gruppo speciale per monitorare l'attuazione delle sanzioni contro Mosca, mentre il Ministero degli esteri britannico pubblica una guida dettagliata rivolta alle aziende kazakhe, che delinea i potenziali rischi associati alle relazioni commerciali con partner russi soggetti a sanzioni britanniche.

A poco sembrano servire, per il momento, prese di posizione contro una tale colonizzazione, come quelle di vari partiti comunisti e operai, che hanno rilasciato una dichiarazione congiunta contro l'appropriazione di giacimenti metalliferi di terre rare in Kazakhstan, da parte di compagnie francesi, britanniche e americane. Nel documento, si parla di “aperta confisca di ricchezze e risorse kazakhe, di politica imperialista volta a radicare il neocolonialismo” e si rileva che il Kazakhstan si sta trasformando in un deserto senza vita, sull'esempio della morte del mar Caspio, dove la fanno da padrone compagnie americane ed europee.

Ma un fronte anti-russo si va delineando anche tra Baku e Erevan, specialmente dopo i colloqui tenuti a Abu Dhabi tra Il'kham Aliev e Nikol Pašinjan. Le parti non hanno ovviamente firmato un "trattato di pace", poiché Aliev continua a insistere sull'adozione di una nuova Costituzione armena, da cui vengano rimossi i riferimenti al Karabakh, sul completamento del processo di delimitazione e sull'apertura del corridoio di Zangezur. Quest'ultima questione è stata anzi quella al centro dell'incontro, dato che riveste un'importanza strategica sia per Baku, che per Ankara. Non si tratta infatti solo di un'arteria di trasporto, ma del fulcro dell'intera rotta di mezzo che collega l'Asia centrale all'Europa, attraverso la Turchia, per l'esportazione di materie prime e, allo stesso tempo, un trampolino per l'ulteriore avanzata della NATO verso Oriente. L'apertura del corridoio alle condizioni turche, significa di fatto la perdita da parte di Erevan del controllo sull'Armenia meridionale e la trasformazione dell'intera repubblica in una zona di transito per l'Occidente.


Non si può escludere che Baku abbia altre rivendicazioni territoriali, in particolare su Sjunik e sui territori del “Azerbajdžan occidentale", mentre l'operatività del corridoio di Zangezur sarà solo una tappa verso l'attuazione di piani espansionistici azeri. Con tali mosse, Aliev sta assediando l'élite armena, privandola di qualsiasi opportunità di manovra e di ritirata, possibili solo con la partecipazione della Russia al processo di pacificazione. Dunque, poiché qualsiasi accordo sarebbe a priori iniquo, con conseguente perdita della sovranità e dell'indipendenza dell'Armenia, Il'kham Aliev e Nikol Pašinjan avevano bisogno di deteriorare il più possibile i rapporti con Mosca, rendendone impossibile la presenza.

E la questione centrale non è che il Cremlino abbia perso il controllo sulla Transcaucasia e le parti stiano negoziando senza Mosca, ma che questa sia una vera capitolazione, un tradimento nazionale da parte di Pašinjan, con l'Armenia che va velocemente integrandosi nel "mondo turco", in accordo con Inghilterra, Stati Uniti e UE: un processo in cui la Russia non solo non è necessaria, ma è anche considerata come il comune principale nemico.

Nei piani occidentali, non rientra alcuna presenza russa nell'area, quantunque nell'accordo del 2020 si ipotizzasse che l'arteria viaria sarebbe stata presidiata dalle forze di frontiera russe. Il fatto che ora saranno gli anglosassoni a fare da padroni è testimoniato dalla visita straordinaria a Erevan, il 10 luglio, del vice Capo di SM del Comando delle Forze Congiunte della NATO, John Mead. È quasi sicuro che, in quell'occasione, siano state discusse questioni relative alle garanzie fornite dalla NATO a Erevan in caso di ritiro dal ODKB e i dettagli pratici del dispiegamento di forze a "protezione" della società di gestione americana. In questo modo, viene assicurata la procedura per il definitivo riorientamento geopolitico dell'Armenia, così che a contrapporsi a Mosca nel Caucaso e in Asia centrale sarà un'intera coalizione di paesi ostili.

«Penso che per l'Occidente e l'Azerbajdžan» afferma il politologo armeno Ajk Ajvazjan. sia «importante non tanto il trattato di pace in sé, quanto l'inclusione dell'Armenia nel progetto del Corridoio di Mezzo, parte del quale si chiama Corridoio Zangezur. La parte armena di questo corridoio sarà controllata dagli americani, l'Armenia perderà la sovranità su questa strada, poiché non sarà in grado di resistere da sola. E i beneficiari di questo Corridoio di Mezzo sono decine di paesi, tra i quali non c'è un solo alleato dell'Armenia. Proprio per questo, gli agenti occidentali in Armenia hanno fatto di tutto per far fallire l'adempimento della dichiarazione del 9 novembre 2020, mediata dalla Russia, che prevedeva l'apertura di comunicazioni regionali sotto la giurisdizione armena, con il controllo dell'alleato dell'Armenia, la Russia», dice Ajvazjan.

Inoltre, sempre come risultato dei colloqui Aliev-Pašinjan negli Emirati Arabi, potrebbe verificarsi un ritiro anticipato delle truppe russe dall'Armenia, con la liquidazione della base di Gjumri, nella parte nordoccidentale del paese, senza attendere la scadenza del 2041. È quanto ipotizza il giornalista azero Il'kham Ismail che parla, probabilmente con eccessivo ottimismo filo-occidentale, di «pace, stabilità e sviluppo economico nella regione».

Se domani si aprisse la strada tra Turchia e Armenia, afferma Ismail, la «dipendenza economica dell'Armenia dalla Russia diminuirebbe e la Turchia sarebbe già uno Stato amico», ricordando che tra Turchia e Azerbajdžan esiste un accordo strategico per aiuto militare reciproco.

Insomma, in vista della liquidazione del fronte sudoccidentale, quello ucraino, tutti i soggetti del dramma stanno già vestendo gli abiti di scena e approntano le nuove scenografie atte a rappresentare la “lotta dei giusti”, delle «democrazie del benessere», contro quelle che i tagliagole euro-liberali del Corriere della Sera, avendo in mente se stessi, definiscono le «mire espansionistiche di uno stato guerrafondaio, la Russia di Putin».


FONTI:

https://politnavigator.news/kazakhstan-na-pravakh-francuzskojj-kolonii-ukhodit-pod-tureckijj-zontik-nato.html

https://politnavigator.news/kazakhstan-perekhodit-pod-vneshnee-upravlenie-anglosaksov.html

https://politnavigator.news/azerbajjdzhan-mozhet-vydavit-rossijjskuyu-bazu-iz-armenii.html

https://politnavigator.news/baku-i-erevan-sozdayut-edinyjj-antirossijjskijj-front-na-kavkaze.html

 

 

 

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