Il Perù non scodinzola più nel cortile di casa degli Usa

1966
Il Perù non scodinzola più nel cortile di casa degli Usa

In quella che si evidenzia come la seconda ondata progressista di questo secolo per l’America Latina, il Perù del maestro rurale Pedro Castillo, che ha assunto la presidenza nel bicentenario dell’indipendenza, promette di fare la sua parte. La lunga e complicata attesa della ratifica del risultato e l’aggressività delle forze conservatrici che sostengono il fujimorismo, mostrano però che il suo progetto non avrà vita facile.

Oligarchia e grandi interessi multinazionali, che si rispecchiano nelle élite delle aree urbane, hanno fatto quadrato intorno al partito Forza popolare. Un partito baluardo della destra radicale sudamericana, rappresentato da Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore peruviano, al potere dal 1990 al 2000, che al secondo turno delle presidenziali ha ottenuto il 49,87%.

 L’insegnante di scuola elementare Pedro Castillo, sindacalista a capo di un partito come Perù Libre, ha il suo principale bacino di voti nelle zone rurali del paese, prevalentemente abitate da contadini poveri, meticci e indigeni, e ha ottenuto il 50,2% delle preferenze. Al Congresso, eletto per i prossimi 5 anni, il suo partito ha solo 37 seggi su 130, più i 5 di Juntos por el Perù di Veronika Mendoza.

Non ha perciò una maggioranza che consenta di attuare agevolmente il programma di governo, sintetizzato intorno alla promessa “mai più poveri in un paese ricco”, e a quella di un’Assemblea Nazionale Costituente, che abolisca la Costituzione fujimorista del 1993, elaborando una Carta Magna “che abbia colore, odore e sapore di popolo”.

 Dal 2018, dalle dimissioni di Pedro Pablo Kuczynski, all’impeachment a Martin Vizcarra del 2020 e alla rinuncia del suo successore Manuel Merino de Lama, fino al compromesso di Francisco Sagasti, che ha traghettato il paese alle elezioni, i grandi gruppi di potere che si sono spartiti il paese hanno regolato i propri conti mediante il lawfare e i golpe istituzionali.

Dopo trent’anni di neoliberismo sfrenato, in Perù il 19% dei giovani tra i 15 e i 24 anni non studia né lavora, mentre i profitti delle multinazionali che sfruttano le risorse del terzo produttore mondiale di rame, zinco e stagno e il sesto di oro, sono aumentati a dismisura. In un paese tra i più colpiti dal Covid-19 e che, secondo lo stesso Fondo Monetario Internazionale, ha avuto un aumento di quasi 2 milioni di poveri, il popolo ha risposto con la lotta e poi con il voto. Ora, non ha intenzione di farsi togliere la parola dall’imposizione di regole e istituzioni artificiali che chiudano le porte al cambiamento.

Un primo braccio di ferro con l’oligarchia lo si è visto dopo le nomine decise da Castillo, a partire da quella del primo ministro Guido Bellido. Le destre hanno manifestato con violenza davanti alla casa del presidente, ma il popolo è corso a difenderla. E, intanto, come nel più classico copione a guida Cia, messo in atto dai tempi di Allende fino al Venezuela di oggi, ecco schizzare i prezzi ed ecco i media partire all’attacco per attaccare il nuovo governo: come se a fissare i prezzi e a guadagnare dagli aumenti non fossero i commercianti e i grandi gruppi economici…

 L’argomento principale agitato dal fujimorismo è quello della “lotta al terrorismo”, visto che alcuni esponenti di governo sono accusati di simpatie verso la passata guerriglia di Sendero Luminoso, i cui militanti sono tutti in prigione da trent’anni. Il massimo dirigente di Sendero Lumimoso, quasi novantenne, Abimael Guzman, sta morendo in carcere dopo 29 anni di isolamento e torture e in questi giorni è stato ricoverato d’urgenza in ospedale. Ed è ripartita una campagna internazionale per la sua liberazione e per l’amnistia in Perù.

 Un altro argomento molto gettonato dalla destra è quello della paura “del comunismo”, traslata in quella del “castro-chavismo”. Ma molti deputati hanno prestato giuramento al Congresso a pugno chiuso e dichiarando la propria posizione a favore dell’integrazione latinoamericana e per una seconda indipendenza.

Perù Libre è d’altronde un partito che si definisce “marxista-leninista-mariateguista”, che fa parte del Foro di San Paolo, i cui militanti e dirigenti hanno partecipato ai Congressi mondiali organizzati a Caracas in questi anni. In tema di politica estera, si considera “internazionalista e antimperialista”, e appoggia i processi rivoluzionari a Cuba, Venezuela, Nicaragua e Bolivia.

 Per questo, hanno suscitato grande speranza le dichiarazioni del ministro degli Esteri peruviano, Héctor Béjar, circa un cambiamento di attitudine a favore del multilateralismo e la non ingerenza nei problemi interni degli altri paesi, e per la ripresa della Unasur. Béjar, un ex guerrigliero di 85 anni che ha conosciuto il Che Guevara, ha peraltro espresso apprezzamento per il discorso di rifiuto all’Osa di Almagro pronunciato dal presidente messicano Andrés Manuel López Obrador davanti ai ministri degli Esteri della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac), e ha condannato la politica delle “sanzioni”.

Come aveva anticipato il portavoce del partito, Vladimir Cerrón (bersaglio principale della destra oggi), il Perù potrebbe uscire dal Gruppo di Lima, come hanno già fatto Messico, Bolivia e Argentina, tre nazioni tornate a sinistra. La decisione non è tuttavia ancora ufficiale, in Perù, così come non sono univoche le posizioni all’interno dell’alleanza di governo in merito all’obbiettivo principale per cui si è fondato il famigerato gruppo di Lima: minare la legittimità delle istituzioni venezuelane, a cominciare dall’elezione del presidente Nicolas Maduro. Dati gli attuali equilibri interni e il peso di chi spinge per una “via socialdemocratica” in economia che si accompagnerebbe a un posizionamento moderato anche in politica estera, sarebbe già un gran passo avanti se il Perù si mettesse nel solco del Messico e dell’Argentina. 

Intanto, Castillo è stato riconosciuto come capo delle Forze Armate anche dai vertici militari, davanti ai quali ha reso onore alle donne e agli uomini che hanno costruito l’indipendenza. “Vi invito a mantenere viva la mistica che ha caratterizzato le donne e gli uomini che hanno forgiato a storia nel nostro paese per ottenere un Perù più inclusivo e tollerante”.

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Guido Bellido ha per parte sua assicurato: “Per oltre 200 anni c’è stato un Perù ufficiale e un altro non ufficiale, un Perù che ha tutto e un altro che non ha niente. Un Perù dimenticato e discriminato e un altro che ha avuto tutta l’autorità. Non siamo contro nessuno, siamo qui per dare appoggio a tutti i 33 milioni di peruviani, affinché tutti abbiano migliori condizioni e opportunità”.

 

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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