Il sociologo che poteva salvarci dal coronavirus

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Il sociologo che poteva salvarci dal coronavirus


di Pierluigi Fagan*


RISIKOGESELLSCHAFT (Società del rischio) è un libro del grande sociologo U. Beck del 1986. Beck intercetta una forma problematica delle società di quella che lui chiama “seconda modernità” ed ebbe la fortuna di uscire appena dopo il disastro di Chernobyl. Ma da poco, le società di seconda modernità pur in pieno fulgore di rivoluzione liberale, ancora lontane dalle minacce della crescita cinese ed ancora poco avvertite di quelle climatico – ambientali, migratorie, tecnologiche, debitorie e finanziarie, prossime a festeggiare il crollo sovietico, avevano anche avuto primo impatto col virus dell’HIV-AIDS. Due anni prima del libro di Beck, era morto il filosofo della biopolitica M. Foucault, in fondo egli stesso vittima della sottovalutazione del rischio di contagio tramite rapporti sessuali non protetti, una gestione del rischio letteralmente "fatale".

Perché nelle società di seconda modernità aumentano i rischi? Di base, perché l’umanità è passata da 2,5 miliardi a quasi gli 8,0 di oggi. In più, ormai quasi tutta l’umanità ha adottato la forma economica moderna occidentale fatta di scienza – tecnica – idee – capitali, essa stessa basata sul rischio imprenditoriale e la manipolazione un po’ cieca di cose, fenomeni e natura. Infine, questa nuova massiva umanità è sempre più strettamente collegata ed interdipendente, non solo per via della “globalizzazione” che inizierà ufficialmente con la nascita del WTO solo nel 1995. Una rapida inflazione demografica che ha portato una nuova massa intrecciata ad impattare il contenitore terrestre manipolando natura, uomini e forme stesse della società ha creato un mega-sistema soggetto a sempre più numerose e problematiche perturbazioni. Quello che però non ha fatto, ancora oggi, è rendersene conto. Viviamo in un mondo che abbiamo inconsapevolmente e radicalmente modificato, con le mentalità di prima, quando società umane e mondo erano in tutt’altra condizione.

Come già detto in altri post, sono venti anni che i virologi e gli epidemiologi avvertono del possibile Big One pandemico.

Dopo SARS1, Ebola, MERS, influenza H1N1, non ci voleva Nostradamus per avvertire l’infittirsi di rischi di spillover che, per via della struttura globale del mondo, poco ci mettono a trasformare una epidemia locale in globale. Ma chi si occupa di collapsologia o rischiologia ha davanti un lungo foglio a bullet-point con titoli che fanno tremare i polsi. Dall’Evento di Carrington al meteorite non di minima stazza, ad un lungo elenco di problemi ecologici, climatici, sanitari anche non virali, alimentari, idrici, tecnologici, migratori, finanziari, con effetti terribili ed auto-rinforzanti sul piano geopolitico, politico, culturale ed infine sociale. Anche sul piano psichico come da link sottostante sullo studio di The Lancet su gli effetti della pandemia in corso che però non può diventare un perno per la crociata contro le misure di prevenzione, semmai sul loro affinamento e che andrebbero considerate come pezzo di puzzle molto complesso.

Nulla di tutto ciò è di dominio pubblico, noi non sappiamo affatto a quali treni di rischi crescenti siamo soggetti ed è meglio così forse, visto che questa realistica presa di coscienza si scontra con tassi di ignoranza profonda coltivata scientemente negli ultimi quaranta anni e con “strutture” di interessi politici, geopolitici, economici ed ideologici che non hanno nessuna intenzione di prender atto dello stato di cose e che evitano come la peste che le popolazioni sottostanti il loro potere se ne accorgano. Questa presa di coscienza genera solo “coscienza infelice” poiché impotente sul piano fattivo e malvista sul piano sociale, financo su quello intellettuale.

Oggi i giornali segnalano che il mitico Woodward rivela che durante numerose sedute di intervista vis à vis con Trump, questo confessava di aver apposta minimizzato i rischi connessi al SARS-Covid2 di cui era ben conscio e nei giusti tempi, con le giuste informazioni, con le giuste previsioni di sviluppo. E cosa doveva altrimenti fare un presidente che si stava avviando a certa e gloriosa rielezione con indici economici ed occupazionali come evento in poppa, nel sapere di esser capitato in mezzo ad un feroce dilemma tra economia e salute? Traccheggiare, che è poi quello che ha fatto. Un po’ di Fauci oggi si domani nì, un po’ di scarica barile sul WHO, rabbia contro i cinesi, un po’ lascia chiudere per poi dare la colpa ai governatori democratici, ma in fondo grato che qualcun altro si sia preso la responsabilità del grave intervento, un po’ fa capire che lui alla mascherina non ci crede, poi magari il giorno dopo se la mette, fa il buon padre di famiglia in conferenza stampa poi un secondo dopo fa il tweet che strizza l'occhio al negazionismo più irrazionale la cui platea gli è stata preparata dallo stratega del marketing politico Bannon . Io, realisticamente, non ci vedo niente di strano.

Quello che certo non è strano ma sintomatico nel discorso che stavamo facendo è la lontananza dal sano realismo delle genti che subiscono e commentano questi fatti. Gente che nelle discussioni di marzo mi postava le dichiarazioni di Trump come questo pur a capo dell’iper-potenza anche in termini di servizi di intelligence, dovesse aspettare i ritardati bollettini del WHO per sapere cosa stava manifestandosi. E’ questo credere che Trump sia come loro dipendente dai giornali del mattino per sapere le cose, il problema. Questo ignorare profondo la logica dei fatti per altri facilmente reperibili già ai tempi, ignoranza della complessità dei fatti virologici, epidemiologici, geopolitici, politici, della difficoltà di gestione dei fenomeni che ogni potere incontra in questi casi, il problema.

Oggi la questione “Trump sapeva”, diventerà l’ennesima partita all’ultimo sangue tra chi gli darà del criminale e chi lo difenderà dicendo che Woodward è notoriamente un lib-dem sceso in campo a fianco del Deep State neo-lib per partecipare alla campagna elettorale. Le opposte idiozie sono entangled, luna chiama l’altra. Forse quelle americane si comprendono meglio perché c'è disputa elettorale, quelle degli iloti nostrani che pensano di sentirsi cittadini dell'Impero prendendo anche loro parte, meno. Ma il punto, purtroppo non è questo. Forse anche io o te, nei panni di Trump, avremo fatto qualcosa del genere, forse con altro stile o modo, ma insomma, a dieci mesi dal voto capitare in una certa catastrofe del Pil e pure per colpa, anche involontaria o inconsapevole dei cinesi con cui stai giocando una complessa partita prima che geopolitica, geoeconomica, non ti lascia molti margini, no?

E’ questa realtà brutale, che non offre facili scorciatoie all’appello etico-morale, che obbliga a misurarsi con tremi di problemi complicatissimi e spesso apparentemente privi di soluzioni se non rivoluzionando i sistemi sociali, politici, economici in cui viviamo borbottando e criticando ma che quando vanno in crash ci portano tutti, apocalittici ed integrati a pigolare accorati “ridateci il mondo di prima!”, il problema.

La società del rischio , in tempi brevi, non la possiamo evitare. La società dell’ignoranza che scambia la realtà per il nugolo di parole dei social, degli articoli, dei video che vano formando una spessa “Internet Theory” sul mondo, con i buoni ed i cattivi, il vero ed il falso, il semplice ed il complesso, manipolata dagli stessi che non hanno piacere ci sia una diffusa coscienza del fatto di vivere in una complessa società del rischio, quella si potrebbe invece migliorare. L’epoca esige responsabilità, ognuno calcoli quali sono quelle che si vuol prendere, anche qui su i social.

[A volte l’articolo che posto è di complemento, in questo caso invece andrebbe letto, è interessante] Questo (per cui ringrazio
Lluch De Sa Font
:https://vocidallestero.blogspot.com/2020/09/the-lancet-limpatto-psicologico-della.html?fbclid=IwAR1DPFNeG_QsKKYH95XW6qbWnKhnP91JvyDNzyfZPMUwodl8Ip1SmtKoiXA .... ed ancora di più quello sotto.


*Post Facebook del 10 settembre 2020

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