Il panottico del dissento: il caso Sardegna

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Il panottico del dissento: il caso Sardegna

 

Inseriamo la seconda parte dell'editoriale pubblicato ieri, "Sardegna tra propaganda di guerra e 'dissenso debole'"

di Cristiano Sabino

Il panottico del dissento

Che tutto questo non sia frutto del caso o di una diffusa mancanza di cultura politica ma obbedisca ad un dispositivo ben preciso di sgretolamento di ogni possibile reale opposizione all’economia e alla cultura della guerra, del riarmo e della colonizzazione è dimostrato da alcuni fatti emersi a ridosso dell’evento organizzato a Cagliari.

Era ancora caldo lo strascico delle polemiche dovute allo scandalo della concessione del patrocinio all’evento della Joint Stars for Charity, quando sui canali della lista governativa Sinistra Futura veniva pubblicata una nuova iniziativa: “Fermare il massacro della popolazione. Riconoscere lo Stato di Palestina”. Sorvolando sul fatto che il genocidio in atto venga derubricato come “massacro”, è interessante notare come gli organizzatori non abbiano trovato alcun problema nell’affidare l’intervento conclusivo allo stesso sindaco di Cagliari Massimo Zedda che ha concesso il patrocinio ad un evento finanziato da Leonardo SPA e da RWM Italia. Non stiamo parlando di un semplice saluto e di una presenza istituzionale, ma dell’acme politico di tutto l’evento: la sintesi finale che trae dall’evento le conclusioni politiche.

Tra gli interventi programmati anche quello di Piero Comandini, presidente del Consiglio Regionale Sardo ed esponente di spicco del PD sardo, di un partito cioè che neppure formalmente ha criticato la concessione del patrocinio, non figurando tra i firmatari del documento che abbiamo analizzato sopra. 

 

Riepilogando per punti e riassumendo per passaggi logici tutto ciò abbiamo che:

 

  1. Comune di Cagliari e Regione Autonoma di Sardegna, a maggioranza “Campo Largo” e guidati da figure di spicco del progressismo “a sinistra” del PD quali Zedda e Todde, concedono il patrocinio ad un evento di becera propaganda di guerra finanziato da multinazionali che vendono armi a Israele e alla coalizione saudita;
  2. una parte di questa stessa maggioranza protesta pubblicamente dissociandosi dall’evento ma non chiede la revoca del patrocinio, a parte A Innantis che però incolpa non le elites sarde ma lo “Stato italiano”;
  3. Il patrocinio non viene revocato nonostante ciò sia legalmente possibile;
  4. Gli stessi “dissociati” (Sinistra Futura) pochi giorni dopo organizzano un evento sulla Palestina invitando a parlare i medesimi esponenti politici protagonisti della concessione del patrocinio all’operazione di propaganda di guerra finanziata dalle multinazionali della guerra.

Che significato ha tutto ciò? Può essere ridotto a mera cialtroneria o si tratta piuttosto di una strategia ben precisa dotata di finalità precipue?

In realtà tracce di risposta a questa domanda si trovano nello stesso documento congiunto dei partiti “progressisti”.

Nel comunicato firmato da Sinistra Futura, M5S e AVS compare il riferimento alla Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune e in particolare la critica all’articolo 165 che «invita l'UE e i suoi Stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l'importanza delle forze armate, e a rafforzare la resilienza e la preparazione delle società alle sfide in materia di sicurezza» e all’ articolo 167 che «chiede, inoltre, di mettere a punto programmi di formazione dei formatori e di cooperazione tra le istituzioni di difesa e le università degli Stati membri dell'UE, quali corsi militari, esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti civili».

La “sinistra” del campo largo al governo del capoluogo di Regione e della medesima Regione Autonoma si dimostra  dunque consapevole del progetto egemonico per sgretolare la vocazione pacifista e contraria al riarmo dell’opinione pubblica.

La citata risoluzione accoglie con favore il piano "ReArm Europe" approvato dal Consiglio Europeo nel marzo 2025 il quale – è bene ricordarlo – contiene una clausola di salvaguardia che consente ai paesi membri di contrarre debito per spese militari senza violare il Patto di Stabilità e Crescita. Oltre al riarmo insomma la beffa. Dopo che per decenni i Governi e le tecnocrazie europee hanno ripetuto meccanicamente che non si deve fare debito per soddisfare la domanda di diritti e protezione sociale ora sdoganano il debito stesso per favorire la corsa agli armamenti e la preparazione delle ostilità con Russia e Cina.

Se c’è una cosa che dimostra la storia del movimento socialista e progressista variamente inteso è che davanti alla guerra non è possibile assumere posture ambigue. Chi sostiene con il voto politiche belliciste, favorevoli al riarmo, compatibili con il sostegno a stati terroristici come Israele e subalterne alle strategie di allargamento del blocco NATO, non può mai e in nessun caso essere un interlocutore politico.

Di fronte alla guerra, al riarmo, all’escalation e davanti al piano inclinato dell’economia e della cultura di guerra teorizzate a chiare lettere dalle oligarchie europee e messe nero su bianco nella risoluzione di Politica di Sicurezza e Difesa Comune approvata lo scorso 2 aprile 2025, non è possibile scendere a compromessi.

E invece, in questo caso, non solo i compromessi si fanno, ma si sta allegramente al banchetto insieme con chi «inneggia alla guerra» ( https://www.eunews.it/2025/04/02/difesa-pe-voto-maggioranza-opposizione/ ).

Se le parole hanno un senso, se veramente si crede che si stia preparando la guerra e se si prendono sul serio i medesimi documenti europei, come è possibile che non esistano conseguenze davanti ad un atto gravissimo come quello di concedere il patrocinio ad un laboratorio avanzato di indottrinamento guerrafondaio come quello a cui abbiamo assistito lo scorso 10 e 11 maggio a Cagliari?

Proprio in ragione del fatto che l’intera opinione pubblica deve cambiare di segno e abbandonare le sue posizioni ostili a guerra e riarmo, è necessario comunicare a tutte le oligarchie guerrafondaie che di fatto votano e deliberano a favore degli invii di armi, del riarmo e di tutti i vari provvedimenti che gettano oggettivamente le premesse per un nuovo conflitto globale, che non esistono conseguenze di alcun genere alle loro azioni e che chi esercita egemonia nel mondo del pacifismo rappresentando la “sinistra” e l’ “antagonismo” potrà abbaiare, ma non morderà.

Se i consiglieri, i deputati, gli europarlamentari, i sindaci, i presidenti di Regione deliberano a qualunque livello per la propaganda e l’economia di guerra o per la guerra vera e propria, il messaggio da dare è che ci sarà qualche comunicato, comparirà qualche dichiarazione, qualche bandierina di qualche cespuglio progressista o presunto tale comparirà qua e là, qualche leader colorerà di tonalità arcobaleno qualche orazione o posterà qualche presa di posizione critica, ma poi non accadrà assolutamente nulla. Nessun Governo cadrà. Le Giunte regionali e comunali resteranno al loro posto, le alleanze elettorali rimarranno salde in nome della sacra unione contro la “destra” e accadrà persino che i massimi dirigenti del Partito della Guerra verranno invitati a parlare di pace. Oppure, all’inverso,  accadrà, come è avvenuto a Sassari lo scorso 14 maggio, che sarà il PD ad organizzare un convegno dal titolo “Tra conflitti e speranze. Il cammino dell’Europa per la pace” e nel parterre figureranno i vari esponenti della bandiera arcobaleno, che stanno sempre in prima fila ad ogni marcia o manifestazione per la pace.

Ma quale cammino per la pace dell’Europa? Quello di ripetuti invii di armi sempre più letali, sempre più offensive e sempre più inutili in Ucraina e di un milione di morti causato dall’assenza totale di strategie diplomatiche? Quella del kit di sopravvivenza in previsione del conflitto termonucleare da affrontare con un mazzo di carte e una power bank per il telefono? Quello delle auto sanzioni e dell'auto sabotaggio al gasdotto che consentiva al continente europeo un approvvigionamento energetico a basso impatto ambientale e a basso costo e che oggi ci obbliga a comprare il GLN americano al triplo del prezzo? Quello dell' appoggio al colpo di stato in Ucraina indotto dagli USA per installare basi missilistiche a un tiro di schioppo da Mosca? Quello degli 800 miliardi sottratti a scuola e sanità per comprare armi statunitensi? Quello della Germania che, dopo aver scatenato due guerre mondiali, annuncia con nonchalance che sta preparando «l’esercito più forte del Continente»? Quello del silenzio e della complicità di fronte al criminale genocidio a Gaza perpetuato sotto il gentile patrocinio dell’amministrazione democratica di Biden?

Domando: che ci faceva l'ANPI  a questo convegno di war washing del PD? Non sono una associazione che ricorda i partigiani? I partigiani nel secondo dopo guerra lottavano per la pace e smascheravano i guerrafondai, non ci facevano fichi fichi insieme.

Cosa ci faceva Emergency? Non è una associazione schierata senza e se e senza ma contro il partito unico della guerra? Avete dimenticato le parole di Gino Strada:

“Mi invitano ai talk show per parlare di pace, poi sul divano a fianco c’è uno che fabbrica armi. È come chiamare un oncologo e un venditore di sigarette alla stessa tavola rotonda.”

Questa politica dell'ipocrisia insanabile, della facciata, del volemose bene, del tengo famiglia, questa fiera del circo del progressismo sassarese che mostra ad ogni occasione la faccia più conveniente, va denunciata e combattuta.

Tutto nella norma? Cos' è uno scherzo?

Si possono stimare anche alcuni percorsi individuali di politici e attivisti che si trovano in questa rete infernale di compromissione e sdoganamento del partito trasversale della guerra, ma come sosteneva Aristotele in riferimento al suo rapporto di dissenso con Platone “amicus Plato, sed magis amica veritas".

Cos’è e come funzione il «dissenso debole»

Dobbiamo essere chiari, tutto questo non accade per caso, ma fa parte di una medesima partita di giro. È finito il tempo in cui nei movimenti venivano infiltrati agenti provocatori con lo scopo di praticare la strategia della tensione e liquidare le formazioni del dissenso con la criminalizzazione. Dobbiamo capire che la strategia è cambiata. Sebbene restino molte tessere da piazzare, sembra chiaro che oggi la strategia più efficace per fare piazza pulita di ogni potenziale opposizione, è disinnescare l’opposizione stessa, utilizzando argomenti e temi di distrazione di massa come la retorica antifascista e la sensibilità diffusa sui diritti civili. Il gioco è semplice: si individuano dei temi di identità culturale forte, si sceglie di radicalizzarli e contemporaneamente di isolarli dal resto dell’agenda politica, così si avrà la sensazione del conflitto, dell’opposizione, della dialettica quando in realtà tutto si gioca sul piano di ombre cinesi. Sui temi strutturali – strutturali in senso sia marxista che geopolitico e geostrategico – si pratica poi la massima ecumenicità e il massimo laissez faire. È questo il cuore della strategia che traghetta dalla “strategie della tensione” per sbaragliare i movimenti sociali potenzialiemnte ostili al piano del “dissenso debole” per riassorbire e assoldare i movimenti sociali stessi.

Dopotutto è molto meglio rendere debole e dunque innocuo il dissenso che combatterlo.

Il dissenso è “debole” non per sua natura, ma per effetto di una strategia ben precisa e ben studiata. Per rendersene conto basta porsi una domanda. Cosa accadrebbe se la Regione governata da forze che partecipano al Gay Pride avesse offerto il suo patrocinio ad un evento di associazioni “pro-life”? La risposta la sappiamo tutti: sarebbe accaduto il finimondo, e direi giustamente. Cosa sarebbe accaduto al sindaco di Cagliari se avesse sbarrato le porte del Municipio il 25 aprile? Come minimo sarebbe arrivata in Consiglio una mozione di sfiducia da parte della sua stessa maggioranza. E cosa sarebbe accaduto se la Giunte Todde avesse dato sponda ad un convegno che nega il riscaldamento climatico? Ovviamente una crisi di maggioranza.

Perché la stessa cosa non accade davanti alla guerra e al riarmo? Perché l’utilizzo bellico della Sardegna, la propaganda di guerra, la produzione di sistemi d’armi che finiscono direttamente nelle mani dei criminali di guerra israeliani sono temi meno importante dei diritti civili o della “giustizia climatica” o del totem del 25 aprile? È come se la vecchia logica del movimento operaio e contadino che distingueva tra contraddizioni «maggiori» e contraddizioni «minori» (maggiori e minori da leggersi sempre in relazione ai concetti di «struttura» e «sovrastruttura» di stampo marxiano e non in termini di gradi importanza reale o presunta) fosse stata non solo azzerata ma proprio ribaltata.

Lo sfruttamento sul lavoro, la guerra, la colonizzazione di interi popoli passano sullo sfondo e diventano temi deboli, tiepidi, su cui si sbuffa o si finge indignazione. I veri temi forti diventano quelli sovrastrutturali, legati ai diritti individuali, alla sessualità o certe curvature legate ad un certo modo di leggere le questioni ambientali. E tutto questo – che sia consapevole oppure no – rappresenta qualcosa di più di una posa personale, diventa una nuova strategia egemonica per controllare dissenso e opposizione e realizzare i fini di un progetto politico e sociale ben definito. Perché combattere i movimenti di protesta, perché sfiancarsi in un corpo a corpo con le mobilitazioni sociali, perché inimicarsi settori di popolazione giovanile quando si può passare all’incasso concedendo loro l’apparenza della rivolta e l’estetica del dissenso?

Ecco perché non è affatto vero che il patrocinio alla propaganda pro accettazione sociale del riarmo, così come diverse altre manovre egemoniche del trasversale e sempre più forte partito della guerra e dell’occupazione coloniale, non sono affatto frutto di «un errore», di «distrazione», di «automatismi istituzionali» così come è stato sostenuto in più sedi. Si tratta di una strategia ben precisa che punta a consolidare il nucleo forte e consapevole dell’asse guerrafondaio guidato da Ursula von der Leyen e a creare un sotto livello di finta protesta di partiti, movimenti e associazioni che a parole hanno segno opposto ma che nei fatti svolgono un ruolo funzionale agli obiettivi del partito trasversale della guerra.

L’obiettivo latente è sfiancare e disperdere in mille proteste deboli e inefficaci quella vasta platea che invece teoricamente è orientata in senso pacifista, multipolare, anticoloniale. Quando leggiamo sui manuali scolastici che al tempo della prima guerra mondiale la maggioranza delle forze parlamentari e dell’opinione pubblica della società era contraria all’entrata in guerra del Regio Esercito, ciò dovrà pur insegnarci qualcosa. Perché allora fu una minoranza agguerrita ad organizzare le piazze del “maggio radioso”, vale a dire quella strategia egemonica strumentale ad entrare in guerra che poi, non a caso, divenne base ideologica del fascismo. Allora i dispositivi egemonici pro guerra utilizzavano la retorica del compimento del Risorgimento, dell’ostilità alle potenze militariste degli imperi centrali e facevano leva su un nazionalismo fanatico che costituiva la base ideologica di una borghesia in cerca di collocamento.

Oggi si invocano i diritti individuali dell’occidente, le libertà di costume, il luccichio dei “valori occidentali” od europei, presentati come gangli strutturali di una identità progressista e democratica che fa l’occhiolino alle multinazionali della guerra così come ai movimenti antagonisti. Sono queste le tessere principali del mosaico guerrafondaio in corso di messa in posa. E la cosiddetta sinistra, parlamentare o no, di palazzo o di piazza, sta cadendo nel tranello o – in diversi casi – non rappresenta altro che la longa manus del partito della guerra nei movimenti.

Prima lo capiamo più possibilità avremo di costruire un’alternativa capace di sottrarsi al luccichio degli specchietti per le allodole, alla strategia del dissenso debole e al posticcio antagonismo di questi accessori dell’economia e della propaganda di guerra.

 

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