"L’abbaiare della Nato". L'intervista a Lavrov, quella del Papa e le parole di Draghi
Ha destato scandalo l’intervista di Sergej Lavrov a “Zona Bianca”, sia perché rompe la censura calata sulle voci russe, sia per le parole sulle origini ebraiche di Hitler, che hanno suscitato l’ira delle comunità ebraiche.
L’asserzione di un’ascendenza ebraica di Hitler ha comportato uno sbandamento anche di Israele, finora rimasto formalmente neutrale nel conflitto, ma con pressioni enormi perché prenda posizione a fianco dell’Ucraina.
Una mossa che però sa di dover meditare, dal momento che rischia di non poter più bullizzare la vicina Siria con raid aerei che mietono ogni settimana vite umane innocenti nel nome della sicurezza del Paese (è lo stesso motivo che Mosca adduce per l’invasione del Donbass…).
Perché i loro raid possano andare a segno, i Jet di Tel Aviv hanno bisogno della neutralità russa – le cui forze sono in Siria su invito di Assad – cosa assicurata da accordi pregressi.
Da qui, e da altro, l’ambiguità finora conservata da Israele sul conflitto (vedi anche il New York Times), nel quale però profonde “volontari” (Jerusalem post) e intelligence. Aiuti riversati in Ucraina senza un’aperta dichiarazione di ostilità nei confronti della Russia.
Una posizione che gli ha permesso anche di spendersi per mediare tra i due litiganti, attirandosi in tal modo le ire funeste degli assertori delle guerre infinite, che vedono il conflitto ucraino come un nuovo e più proficuo capitolo delle stesse.
Resta da capire se Israele riuscirà a conservare tale neutralità o se alla fine sarà costretta a cedere alle pressioni interne ed esterne schiarandosi decisamente con Kiev.
Se ciò avverrà, però, non sarà certo per le parole di Lavrov – che più che accusare sembrava evocare – sulle quali c’è stato un “chiarimento” nel faccia a faccia tra il ministro degli esteri israeliano e l’ambasciatore russo in Israele, in una conversazione della quale “le due parti hanno deciso di non fornire ulteriori dettagli” (Timesofisrael). Cenno pieno di sottintesi.
Al coro di condanna dell’intervista di Lavrov si è unito ovviamente anche Mario Draghi, che deve pur riaffermare il suo atlantismo, ma che pure oggi, a Strasburgo, ha affermato la necessità di arrivare a un “cessate il fuoco”, aggiungendo che “l’Italia, come Paese fondatore dell’Unione Europea, come Paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica“.
Insomma, anche un atlantista puro come Draghi sembra recalcitrante, come tanti nel mondo, a obbedire ciecamente alla consegna dei neocon volta a usare del conflitto per incenerire la Russia, bypassando i rischi connessi a tale missione suicida.
Ma in questa nota val la pena sottolineare anche la ragionevolezza della posizione di papa Francesco, che in un’intervista al Corriere della sera ha espresso ancora una volta l’auspicio che questa guerra abbia fine.
Certo, un papa non può dire altro, è il suo mestiere, e certo non ha detto nulla di rivoluzionario, e però, dal momento che ultimamente si parla solo di inviare armi, derubricando il negoziato a connivenza col nemico, tali parole non suonano di prammatica.
Una guerra d’invasione, certo, quella ucraina, ma papa Francesco sa bene che la realtà è più complessa delle schematizzazioni propagandistiche, così ha voluto dire che il conflitto non nasce solo dalla follia di Putin.
Così il Corriere sintetizza le parole di Francesco: “L’abbaiare della Nato alla porta della Russia” ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. “Un’ira che non so dire se sia stata provocata — si interroga —, ma facilitata forse sì”.
Quindi, interpellato sull’invio di armi all’Ucraina, ha dichiarato: “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini — ragiona — .La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi”.
A provarle sono russi, secondo il pontefice, ma anche gli altri, così che si sta ripetendo quel che avvenne nella guerra civile spagnola. Un cenno, quest’ultimo, non certo casuale, dal momento che la guerra civile spagnola fu funesto prologo alla seconda guerra mondiale.
Se abbiamo messo insieme questi avvenimenti (l’intervista a Lavrov, l’apertura inaspettata di Draghi, l’intervista papale) è perché ci sembra che siano sottesi da un filo d’oro. E che siano come un’eco di qualcosa di tacito che si sta muovendo sottotraccia.
Cinque giorni fa il ministero degli Esteri russo pubblicava un tweet con una foto che ritraeva Paolo VI con Gromiko. Questo il testo: “Nel 1966, Papa Paolo VI e il primo ministro sovietico Andrey #Gromyko si incontrarono in #Vaticano . È arduo trovare sistemi statali così diversi tra loro, eppure i loro rappresentanti sono riusciti ad avere un dialogo costruttivo: una lezione da imparare #HistoryOfDiplomacy”. Tweet che non sembra estraneo agli sviluppi seguenti.
Nell’intervista al Corriere, papa Francesco indugiava su un possibile incontro con Putin, anche se esprimeva le perplessità del caso. Ovvio che tale incontro, se dovesse esserci, dovrebbe avere un qualche risvolto reale, altrimenti sarebbe inutile. E ciò che è inutile, in questa temperie confusa, sarebbe dannoso.
Ma più che auspicare un incontro con Putin, il tweet del ministero degli Esteri russo sembra una sollecitazione diretta ad altro, un invito alla Chiesa perché rinnovi i fasti della propria diplomazia, oggi che il mondo sta attraversando una crisi che richiama quella dei missili cubani, alla cui risoluzione non fu estranea, anzi, la mediazione di Giovanni XXIII.
Certo, non fu solo il Papa a risolvere la situazione, come dimostra il carteggio segreto tra John Fitzgerald Kennedy e Nikita Kruscev rivelato dal teologo cattolico James W. Douglass nel libro JFK and the Unspeakable: Why He Died and Why It Matters e ripreso, non certo a caso, dai media russi nel 2018 (Piccolenote).
A sbrogliare la matassa contribuì non poco la diplomazia italiana, allora guidata dalla Democrazia cristiana, che lavorò sottotraccia per un compromesso: la smobilitazione delle testate atomiche Nato dislocate in Italia e in Turchia in cambio di un’inversione di marcia dei sovietici, che avevano inviato le proprie testate atomiche a Cuba suscitando le legittime preoccupazioni americane (come per la Russia l’allargamento della Nato a Est).
Ma allora primo ministro italiano era Amintore Fanfani e alla Difesa c’era Giulio Andreotti. Altri tempi, come si stanno accorgendo tanti politici e cronisti italiani che a quegli ambiti hanno fatto guerra senza accorgersi che stavano lavorando per quanti volevano distruggere il nostro Paese…
Ma è inutile rimestare nel passato, resta il tweet del ministero degli Esteri russo e il combinato-disposto delle reazioni italiche. Piccola cosa, ovvio, ma il Pontefice, e la Chiesa, hanno in mano qualche carta da giocare, sia sul tavolo russo, sia su quello statunitense, che oggi come al tempo della crisi cubana vede alla Casa Bianca un presidente cattolico. L’Italietta, del caso, può aiutare. Vedremo, tanti e forti i poteri avversi.