L'Egitto invoca un'alleanza militare araba
di Alex Marsaglia
Dopo l'ennesima incredibile estensione dei bombardamenti israeliani al Qatar, avvenuta lo scorso 9 settembre, oltretutto per colpire una delegazione di Hamas invitata da loro stessi per trattare una tregua, abbiamo una prima forte reazione unitaria da parte dei paesi arabi.
Dal 7 ottobre sono ormai 6 i paesi mediorientali colpiti da Israele: Libano, Siria, Iraq, Iran, Yemen e Qatar (vedi mappa).
Israele sta bombardando regolarmente oltre a Gaza anche Libano e Siria e non fa altro che rivelare la sua natura di furibonda potenza colonialista intenta a invadere e depredare le terre arabe circostanti, nella realizzazione della visione messianica della “Grande Israele” così ben illustrata all'ONU da Netanyahu. Finora abbiamo osservato con sgomento i paesi arabi lasciarsi massacrare, intrappolati dal dividi et impera dell'imperialismo nella sua forma colonialista israelo-americana più barbarica. Una divisione creata ad arte a partire dall’invasione della Repubblica araba baathista di Saddam Hussein, abbattuta nel 2003, e proseguita con le Primavere Arabe che hanno preso di mira e decapitato sistematicamente i Paesi resistenti al colonialismo come la Libia di Gheddafi e le rimanenti Repubbliche Arabe nate dalla decolonizzazione come la Siria di Assad. Con l’assenza di un fronte arabo unito Israele ha potuto decapitare Hezbollah in Libano e allargare il suo raggio d’azione arrivando sino a colpire l’Iran caposaldo dell’Asse della Resistenza, ultimo baluardo anticolonialista nell’area.
Sembra però che durante il vertice in Qatar sia stato raccolto l’appello all'unità della nazione araba lanciato dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina rivolto a “considerare l’aggressione contro qualsiasi territorio arabo come un'aggressione contro l’intera nazione araba”.
Le voci di Egitto, Turchia, Iran, Oman, Libano, Giordania, Qatar, Siria, Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Bahrain si sono alzate invocando la formazione di un'alleanza militare congiunta per rispondere a qualsiasi azione israeliana contro uno qualsiasi degli stati membri.
L’Egitto di Al Sisi si trova da anni nella posizione di dover gestire le deportazioni di massa da Gaza, mentre la Turchia è spesso risultata l’unica entità nazionale ad opporsi in maniera forte e decisa anche in sede Onu alla furia israeliana. L’Arabia Saudita negli ultimi anni ha incrementato notevolmente la partnership economica e commerciale con la Cina, destabilizzando il petrodollaro americano. La conferma dell’incisività dell’iniziativa è giunta indirettamente dalla dura replica arrivata dal leader dell'opposizione israeliana, Yair Lapid che ha immediatamente criticato l’iniziativa egiziana, definendola un duro colpo per gli accordi di pace esistenti.
Tuttavia, restano aperte le difficoltà nella realizzazione concreta, riguardanti la leadership della lega e il rispettivo impegno che dovrebbe riguardare i vari partner. Sicuramente tenere assieme i vari attori locali che hanno continuato a fare affari con Israele e Stati Uniti non sarà un’impresa facile, ma sta maturando la convinzione che se il popolo arabo-islamico non riuscirà a rispondere unitamente verrà colpito dall’espansione israeliana nell’area che si sta estendendo sino al Golfo Persico senza alcuna limitazione.
Lapid si è dimenticato di dire che è stato il bombardamento israeliano in Qatar, avvenuto con l’appoggio indiretto degli Stati Uniti, a sancire l’affossamento definitivo degli Accordi di Abramo, che rappresentavano l’unica prospettiva di Pace messa in campo dall'amministrazione americana trumpiana.
Finita la prospettiva di pace si torna ad una radicale contrapposizione di guerra in cui “ogni contrasto religioso, morale, economico, etnico o di altro tipo si trasforma in un contrasto politico, se è abbastanza forte da raggruppare effettivamente gli uomini in amici e nemici” (C. Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna, 1984 pp. 108-109). E dal vertice di Doha è emersa una netta linea di faglia che raggruppa la popolazione arabo-islamica dallo stesso lato della barricata contro gli interessi colonialisti israeliani. Non sarà molto, ma è un punto di partenza fondamentale per agire all'interno dei rapporti di forza che sono l’unica lingua che Israele è in grado di intendere.
Infine, una tale prospettiva potrebbe non essere mal vista nemmeno dall’alleato americano che avrebbe la possibilità di disimpegnarsi anche da questo fronte, perseguendo coerentemente le sue politiche isolazioniste perorate in Europa dove ha delegato a UE e NATO lo sbrogliamento della matassa.