L’esclusione di Cuba, Venezuela e Nicaragua dal Vertice delle Americhe e il messaggio del presidente cubano Díaz-Canel

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L’esclusione di Cuba, Venezuela e Nicaragua dal Vertice delle Americhe e il messaggio del presidente cubano Díaz-Canel

Si è concluso tra tante polemiche e importanti assenze il ‘IX Vertice delle Americhe’ tenutosi a Los Angeles (6-10 giugno) nel quale, i padroni di casa, gli Stati Uniti, si sono rifiutati di invitare Cuba, Venezuela e Nicaragua. Nella stessa città californiana, in contemporanea, si è svolto anche il ‘Vertice dei Popoli’, al quale, il presidente cubano Miguel Díaz-Canel, nel giorno della sua chiusura ha inviato un video-messaggio ai partecipanti, dove gli ricorda che quel vertice è la voce di Cuba e che “la Rivoluzione lo ha sempre messo in chiaro: ovunque i governi ci negano la parola, il popolo sarà lì a rappresentarci, a parlare a nostro nome”.

A differenza del Vertice delle Americhe, nato nel 1994 “per discutere importanti questioni diplomatiche e commerciali a livello continentale” e dove sono presenti capi di Stato e di governo, il Vertice dei Popoli è nato nel 2005 per contrastare la politica egemonica che gli Usa esercitano nel Continente, ed è composto da organizzazioni politiche e movimenti sociali progressisti dell'America Latina e dei Caraibi, i quali cercano di trovare posizioni comuni su possibili proposte da avanzare ai vari governi per risolvere problemi di natura economica e sociale che ricadono sui popoli.

Il vertice si organizza quasi sempre parallelamente ai più importanti eventi internazionali di alto livello, come lo è il Vertice delle Americhe, e in questo caso erano presenti più di 200 differenti organizzazioni.

L’esclusione di Cuba, Venezuela e Nicaragua è stata motivata dagli Stati Uniti "per la mancanza di spazio democratico e per la situazione dei diritti umani” in questi tre Paesi.

È chiaro che il fine è solo quello di isolarli dal resto del Continente, e che le motivazioni date sono un pretesto per coprire la forte contrarietà degli Usa per il fatto che questi non cedono al governo statunitense – qualsiasi sia l’amministrazione – nemmeno un millimetro della loro sovranità politica, e che, nonostante forti sanzioni, blocchi economici, finanziari e commerciali, continuano a non sottomettersi all’agenda di Washington.

Sembra però che per gli Stati Uniti sia stato un “boomerang” la decisione di escluderli. Questa ha dato il via a dichiarazioni di contrarietà da parte di vari presidenti latinoamericani, con alcuni di loro che si sono addirittura rifiutati di partecipare personalmente al vertice.

L’America Latina, che una volta veniva definita il “giardino di casa” degli Usa, sta finalmente scrollandosi di dosso questa immagine per merito di alcuni presidenti sempre più autonomi dalle politiche che da decenni impone la Casa Bianca a quei Paesi, ruolo che invece sembra stiano indossando con frequenza vari governanti dell’Unione Europea. Anche se è difficile esserne il “giardino di casa”, vista la distanza tra i due continenti, la subalternità di alcuni Paesi UE agli Stati Uniti è diventata sempre più evidente con la crisi ucraina.

Penso che sia impossibile ascoltare qui in Europa dichiarazioni fortemente critiche sulla politica estera statunitense come invece accade sempre con più frequenza in vari Paesi latinoamericani tramite i loro presidenti, e ovviamente non sto parlando dei tre esclusi al vertice, che con le loro dichiarazioni sulla politica imperialista degli Usa si potrebbero scrivere interi volumi.

Uno su tutti è Andrés Manuel López Obrador (AMLO), Presidente del Messico, uno di quelli, il più importante, che ha deciso di disertare il vertice in contrapposizione alla decisione presa dagli Stati Uniti di lasciare fuori Cuba, Venezuela e Nicaragua, il quale non perde mai l’occasione per dimostrare la sua autonomia, dando piena solidarietà a quei tre Paesi e denunciando fermamente la politica di accerchiamento e isolamento messa in campo dagli Stati Uniti contro di loro.

Queste sono state alcune sue parole poco prima dell’inizio del vertice: «Ora posso informare il popolo del Messico che non parteciperò al Vertice. Marcelo Ebrard rappresenta me e il governo. Non andrò al Vertice perché non tutti i paesi delle Americhe sono invitati. […] Credo nella necessità di cambiare la politica che viene imposta da secoli: esclusione, voler dominare senza motivo alcuno, non rispettare la sovranità dei paesi. Non può esserci Vertice delle Americhe se non vi partecipano tutti i paesi del continente americano».

Se le parole di AMLO contro la politica estera di dominazione degli Stati Uniti sull’America Latina fanno effetto – perché negli anni passati non eravamo abituati a sentire presidenti messicani e latinoamericani esprimersi in quel modo contro gli Usa – fanno meno effetto quelle pronunciate dal presidente cubano Miguel Díaz-Canel.

E questo non per il loro contenuto, che è perfino più duro di quello espresso da AMLO, ma perché, con Fidel Castro, per cinquantotto anni consecutivi, siamo stati abituati ad ascoltare così tante denunce contro la politica imperialista e predatoria degli Stati Uniti nei confronti del continente latinoamericano, e non solo, che non rimaniamo meravigliati ascoltarne delle nuove da Díaz-Canel.

Questo non significa che – quando i fatti lo richiedono – non debba continuare a farle, e penso che sia stata proprio l’intransigente politica di opposizione espressa nei decenni da Cuba contro l’imperialismo statunitense a portare finalmente vari governi del Continente ad alzare la voce contro gli Usa, chiedendogli di rispettare la propria sovranità.

E in questo messaggio del presidente cubano, trasmesso ieri, in chiusura del Vertice dei Popoli tenutosi a Los Angeles negli stessi giorni di quello delle Americhe, si evince quanto ho appena detto.

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