L'Europa punta al saccheggio delle riserve della Banca Centrale Russa

Dopo che Trump ha chiuso i cordoni della borsa per sostenere l'Ucraina all'Europa non rimangono che due strade per sostenere Kiev: o saccheggiare gli asset della banca centrale russa congelati in Europa ed esponendo così l'Euro ad un danno reputazionale nei confronti degli investitori internazionali oppure far imbestialire le popolazioni europee spendendo soldi per la guerra magari sottratti ad altre poste di bilancio come per esempio il welfare o le spese per le infrastrutture.

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L'Europa punta al saccheggio delle riserve della Banca Centrale Russa

 


di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

 

Una volta compreso che la guerra in Ucraina era inevitabile  - sostanzialmente parliamo dell'epoca in cui furono sottoscritti gli accordi di Minsk – i leader europei si sono attivati per minimizzare i costi umani e finanziari per l'Europa. Almeno nelle intenzioni. 

Molto probabilmente capirono subito che lo schema che avrebbe consentito all'Europa di minimizzare il più possibile i costi del conflitto era quello applicato alla Libia di Gheddafi. Ovverosia, quello schema per il quale, dopo l'aggressione militare alla Libia, che decretò la caduta del regime di Gheddafi, si procedette al saccheggio degli investimenti finanziari effettuati dallo stato libico in Europa attraverso la finanziaria statale Lafico.

Premessa fondamentale per realizzare questo genere di operazione è quella di “congelare” gli assets del paese aggredito sin dal primo momento. Così avvenne con la Libia e così è avvenuto immediatamente con le riserve valutarie della Banca Centrale Russa presenti in Europa, appena le truppe russe sono entrate ufficialmente nel Donbass il 24 Febbraio 2022.

A pensarci bene il piano europeo era ben congegnato. Imporre sanzioni molto forti alla Russia e armare l'Ucraina così da provocare una sconfitta di Mosca o sul campo di battaglia o mediante un rovesciamento interno del “regime di Putin” (usiamo l'espressione tanto cara al mainstream occidentale) e infine ripagarsi dei costi sostenuti impossessandosi – in tutto o in parte – di quanto la Banca Centrale Russa ha investito in assets europei. Secondo le stime del Centro di analisi della politica europea di Washington (CEPA) si parla di cifre davvero astronomiche; circa 200 miliardi di dollari nell'Unione Europea e altri 30 miliardi di dollari in Gran Bretagna.

Vista l'inaspettata – e per gli occidentali davvero incredibile – resilienza dei russi, il piano di saccheggio delle riserve russe investite in Europa era stato messo in stand-by anche perchè i rischi erano (e sono) maggiori rispetto al possibile tornaconto. Infatti se la Russia continua a stare in piedi e a combattere nonostante gli assets russi venissero saccheggiati, tutti i governi e gli investitori capirebbero due cose: che chiunque può essere derubato da atti di pirateria occidentali ma anche che si può resistere all'occidente e dunque è possibile creare alternative finanziarie ad esso.

L'unica eccezione  fatta dai governi europei alla decisione di mettere in stand-by la questione degli assets russi congelati è quella di utilizzare gli interessi sugli assets russi congelati per sostenere l'Ucraina nel conflitto (ad agosto sono stati sbloccati 1,6 miliardi di euro a questo scopo); comunque sia l'immenso tesoro russo bloccato in Europa, è rimasto comunque intonso, nonostante le mire e gli appetiti degli europei.

Il tema dell'utilizzo di questi fondi è riemerso in maniera fortissima in questi primi giorni d'autunno. Secondo l'analista del CEPA (Centro Analisi Politica Europea di Washington) Aleksandr Kolyandr ciò è dovuto al fatto che l'Ucraina ha urgente necessità di ingenti somme per sostenere il suo sforzo bellico e soprattutto, a causa del fatto che gli USA di Trump hanno stretto i cordoni della borsa e sostanzialmente demandato all'Europa l'onere di sostenere Kiev.

Nota sempre  Kolyandr, che l'eventuale “esproprio” degli assets russi comporterebbe l'immediata rappresaglia di Mosca che immediatamente si approprierebbe degli assets europei in Russia. Ma la cifra ammonterebbe comunque a circa 20 miliardi di euro e dunque una frazione quasi irrisoria rispetto a quanto incasserebbero i paesi europei.

Ad aver riaperto le danze sulla questione, sono stati i tedeschi (bisogna dire sempre attentissimi alle questioni finanziarie). Secondo Politico,com Michael Clauss, consigliere per gli affari europei del cancelliere tedesco Friedrich Merz ha dichiarato che la Germania è pronta a valutare proposte per la requisizione degli assets russi purchè siano giuridicamente fondate. 

Manco a farlo apposta, è uscita immediatamente l'ultima proposta della Commissione Europea in relazione a questo tema. L'organo presieduto da Frau Ursula von der Leyen prevede infatti di prendere miliardi di euro delle riserve valutarie russe congelate, sostituendoli con obbligazioni garantite dall'UE. Sempre secondo la pubblicazione americana Politico la Germania sta facendo pressione sugli altri paesi europei affinché sostengano il piano in vista dell'incontro informale dei leader dell'Unione Europea a Copenaghen il 1° ottobre. La Commissione Europea intende presentare una proposta ufficiale quando questa riceverà l'approvazione della maggioranza dei paesi UE.

Una proposta che, va detto, lascia perplessa sia la società Euroclear nella quale sono detenuti la maggior parte degli assets russi, sia il Belgio che è il paese dove Euroclear ha sede legale, perchè potrebbe esporre sia la società sia Bruxelles a gravi conseguenze legali.

Comunque anche su questo tema l'Europa sta giungendo al punto di non ritorno:  Bruxelle dovrà scegliere, tra il far imbestialire la popolazione europea spendendo cifre enormi per sostenere l'Ucraina nel suo sforzo bellico oppure  requisire gli asset russi procurandosi un danno reputazionale agli occhi del mondo che vedrebbero questo comportamento come un vero e proprio atto di pirateria finanziaria. Un danno reputazionale che alla lunga potrebbe destabilizzare sia il sistema finanziario europeo che non avrebbe più la fiducia degli investitori mondiali.

Una scelta non facile che sarà comunque gravida di conseguenze negative.

 

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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