L’ITALIA NEL MONDO DEL 2050: MULTIPOLARISMO, BRICS+ E PAESI LATINI DEL MEDITERRANEO
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di Gilberto Trombetta
Unione Europea ed Eurozona son il buco nero dell’economia mondiale. Ma sono più in generale l’Occidente (ma ha senso parlarne come fosse un blocco omogeneo?), le economie cosiddette avanzate, I Paesi del G7 ad arretrare progressivamente nel complesso quadro globale delle grandi potenze economiche. Anche se a ritmi differenti. Molto differenti.
Andando a vedere I dati di crescita del PIL reale dell’ultimo quarto di secolo (2000-2024)¹, troviamo infatti ai primi posti i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) con un tasso di crescita medio annuale del PIL del 4,5%. Seguono distanziati gli Stati Uniti e il Canada, rispettivamente con un tasso di crescita medio annuale del 2,1% e del 1,9%. Troviamo poi i Pesi del G7 con l’1,67% e il Regno Unito con l’1,65%. Agli ultimi posti ci sono invece UE ed Eurozona rispettivamente con un tasso di crescita dell1,6% e dell’1,3%. L’Italia si è fermata a un tasso di crescita medio annuale dello 0,55%.
Il tasso cumulato di crescita del PIL tra il 2000 e il 2024 (grafico 1) è del 111,6% per I BRICS, del 55,3% per gli USA, del 49,8% per il Canada, del 41,4% per il Regno Unito, del 41% per i Paesi del G7, del 40,4% per l’Unione Europea, del 32,4% per l’Eurozona e del 13,9% per l’Italia. Vale probabilmente ricordare che tra il 1946 e il 1991 (cioè prima di UE ed Eurozona) il tasso di crescita medio annuale del PIL reale italiano era del 5,7%.


In termini di popolazione² il confronto è ancora più impietoso: I BRICS contano oggi (senza calcolare I nuovi Paesi entrati e quelli in procinto di entrare) 3,3 miliardi di persone, l’Unione Europea 448 milioni, gli USA 333 milioni e tutti I Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d'America) 775 milioni. Anche perché i trend sono molti diversi tra loro. L’Europa è di gran lunga il continente con l’età media più alta (il 64% della popolazione ha più di 25 anni, il 20% più di 65) e con una popolazione già in calo da diversi anni (il picco massimo è stato raggiunto nel 2020 con 746.230 persone).
Dal punto di vista demografico, hanno ormai raggiunto il picco anche Cina e Stati Uniti la cui crescita della popolazione è ormai sostanzialmente piatta con un conseguente aumento dell’età media. Va anche detto che stando ai dati è il mondo nel suo complesso che ha già superato la sua fase di crescita massima con il picco raggiunto nel 1962 e nel 1963 quando si è registrato un tasso di crescita annuo del 2,2%. Da allora la crescita della popolazione mondiale si è più che dimezzata (il tasso di crescita è stato dello 0,91% nel 2023).
Nel 1950 nel mondo eravamo circa 2,5 miliardi così suddivisi: 1,4 miliardi in Asia, 550 milioni in Europa, 227,5 milioni in Africa, 168,5 milioni in America Latina, 163 milioni in Nord America e 12,6 milioni in Oceania. Oggi siamo 7,91 miliardi di persone così suddivise: 4,69 miliardi in Asia (con Cina e India che da sole arrivano a 2,9 miliardi), 745 milioni in Europa, 1,39 miliardi in Africa, 656 milioni in America Latina, 375 milioni in Nord America e 44,5 milioni in Oceania. Le previsioni delle Nazioni Unite dicono che nel 2050 saremo 9,71 miliardi di cui 5,3 miliardi in Asia, 2,5 in Africa, 749 milioni in America Latina, 703 milioni in Europa, 421 in America del Nord e 58 milioni in Oceania.
Nel 2100 (grafico 2), secondo lo scenario medio elaborato dalla Nazioni Uniti, in tutto il mondo ci saranno 10,36 miliardi di persone, meno del picco che dovrebbe essere raggiunto nel 2087 (10,43), anno in cui la popolazione mondiale dovrebbe iniziare a decrescere. In Asia ci saranno 4,7 miliardi di persone (quasi 600 milioni in meno rispetto al 2050), in Africa ce ne saranno 3,91 miliardi (circa 1,5 miliardi in più rispetto al 2050), in America Latina 650 milioni (circa 100 milioni in meno del 20250), in Europa 588 milioni (circa 116 milioni in meno rispetto al 2050), in Nord America 447 milioni (26 milioni in più rispetto al 2050) e in Oceania 68 milioni (10,2 milioni in più rispetto al 2050).


L’aumento della popolazione incide ovviamente sulla densità. Tenendo conto che la superficie terrestre è di 510 milioni di chilometri quadrati, di cui “solo” 149 milioni sono terre emerse e che tra deserti, terre ghiacciate e montagne appena la metà circa delle terre emerse è effettivamente abitabile, nel 1800 (quando eravamo appena 978 milioni sulla Terra) ogni persona aveva a disposizione in media 76mila metri quadrati. Metri quadrati pro capite che nel 1900 si erano ridotti a 43mila e nel 1950 a 29mila. Oggi la densità di popolazione delle terre emerse abitabili è di 1 persona ogni 9400 metri quadrati, che diventerà 1 ogni 7600 metri quadrati nel 2050 e 1 ogni 7100 nel 2100. Il che in soldoni vuol dire che nel girodi appena 2 secoli e mezzo (1800-2050), la densità di popolazione sarà decuplicata (da 1 persona ogni 76.000 metri quadrati a 1 ogni 7.600).
Un ultimo fattore da considerare sarebbe poi l’età mediana (grafico 3). Da non confondere con l’età media. L’età mediana si ottiene infatti dividendo in due gruppi delle stesse dimensioni la popolazione di un dato posto (città, Paese, continente, mondo) ordinata per età. Facendo un esempio se l’età mediana di un Paese è 30 anni vuol dire che metà popolazione ha meno di 30 anni e l’altra metà di più. Ebbene l’Europa è il continente con l’età mediana più alta: 41,7 anni (era 27,8 nel 1950 e sarà secondo le previsioni di scenario medio di 47,3 anni nel 2050 e di 49,6 nel 2100. L’età mediana dell’Asia è di 31,2 anni (39,8 nel 2050, 46,9 nel 2100). Quella dell’Africa, di gran lunga il continente più giovane, è di appena 18,6 anni (23,9 nel 2050, 35,1 nel 2100).


Tutta questa sfilza di dati su popolazione, età mediana e densità di popolazione si collega al discorso della convivenza, in generale, e dei rapporti di forza economici, in particolare. Se in un condominio (la Terra) si passa infatti da 10 condomini a 100 in un lasso di tempo relativamente breve, è ovvio che all’interno di quel palazzo cambino radicalmente anche le dinamiche che regolano i rapporti. Inoltre tra i fattori più importanti che determinano le prospettive di crescita di un Paese ci stanno ovviamente anche la popolazione e la sua età (media e mediana). Oltre alla presenza delle risorse naturali e il livello di sviluppo dell’industria. Arriviamo dunque agli studi economici di diverse istituzioni (OCSE, FMI, PricewaterhouseCoopers, Banca Mondiale, Goldman Sachs) che hanno elaborato le stime sugli sviluppi dell’economia mondiale nei prossimi decenni (2050 e 2075).
Ovviamente quando si ha a che fare con gli studi futurologici (futures study), le previsioni possono (col senno di poi) rivelarsi più o meno sbagliate. Ma confrontando le varie proiezioni esistenti, tutte concordano su alcuni fattori. Primo fra tutti che il mondo nei prossimi decenni sarà radicalmente diverso dal mondo che siamo abituati a conoscere. Cioè diverso da un mondo che vede la netta predominanza dei Paesi avanzati occidentali. Vale la pena anche sottolineare che i Governi di molti Paesi basano le loro scelte anche su proiezioni geopolitiche lontane decenni.
Prima di entrare nel merito di queste previsioni, è necessario però fare alcune precisazioni la cui utilità risulterà chiara più avanti. Partendo dai BRICS. L’acronimo è stato usato per la prima volta dall’economista Jim O’Neill nel 2001 e riguardava cinque Paesi in rapida crescita economica dotati di una significativa influenza politica. Cinque Paesi perché nella definizione originale (BRIC) non faceva parte il Sudafrica. I 5 Paesi diedero una prima strutturazione ufficiale ai BRIC nel 2006 quando, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite tenutasi a New York, si incontrarono creando un coordinamento diplomatico informale.
Il successivo passo ci fu nel 2009 quando, riunitisi in Russia, i capi di Stato dei 5 Paesi rilasciarono una dichiarazione ufficiale in favore dell’instaurazione di un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare. L’anno, dopo, il 2010, vide poi l’ingresso nel gruppo del Sudafrica che trasformò i BRIC in BRICS. Nel 2024 i BRICS sono diventati BRICS+ con l’ingresso di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. A gennaio di quest’anno si è unita ai BRICS+ anche l’Indonesia. Inoltre durante il 16° vertice dei capi di Stato dei BRICS, tenutosi in Russia a ottobre 2024, è stato creato il gruppo degli “Stati partner dei BRICS” che comprende Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malaysia, Nigeria, Thailandia, Turchia, Vietnam, Uganda e Uzbekistan.
I BRICS+ non sono un’unione economica (a differenza dell’Unione Europea), non sono un’unione monetaria (a differenza dell’Eurozona) e non sono un’alleanza militare (a differenza della NATO). I BRICS+ rappresentano un accordo di collaborazione volontario non vincolante, soprattutto sul fronte economico e commerciale, di cui fanno parte Paesi (emergenti) sovrani con interessi diversi e, a volte, anche in antitesi (è il caso, semplificando, della Cina e dell’India). Fatte queste precisazioni, veniamo alle previsioni economiche dei prossimi decenni.
Oggi nella lista prime 10 potenze economiche mondiali troviamo tutti i Paesi del G7: USA (al primo posto), Giappone (al terzo posto dopo la Cina), Germania (al quarto posto), Regno Unito (al sesto posto dopo l’India), Francia (al settimo posto), Canada (all’ottavo posto) e Italia (al decimo posto dopo la Russia). I restanti 3 Paesi fanno parte di BRICS+: Cina (seconda potenza economica mondiale), India (quinta) e Russia (nona). All’11esimo posto troviamo un altro Paese BRICS+, il Brasile. Ora, avendo raccontato all’inizio l’andamento di crescita di questi macro-blocchi, non dovrebbe sorprendere se nelle proiezioni al 2050 e al 2075 i Paesi BRICS+ assumano un sempre maggiore peso, mente quelli del G7 sempre meno. Ma non basta.
Bisogna infatti tenere conto del crescente numero di Paesi che ha chiesto di aderire ai BRICS+ o con cui sono comunque in corso colloqui per valutare la loro adesione, primi tra tutti i Paesi del gruppo “partner dei BRICS”. A cui bisogna aggiungere Afghanistan, Angola, Azerbaigian, Bahrein, Bangladesh, Birmania, Burkina Faso, Camerun, Rep. Centrafricana, Colombia, El Salvador, Ghana, Guinea Equatoriale, Indonesia, Iraq, Kuwait, Laos, Libia, Mali, Nicaragua, Pakistan, Palestina, Perù, RD del Congo, Rep. del Congo, Senegal, Serbia, Siria, Sri Lanka, Sudan, Sudan del Sud, Tunisia, Uganda, Uzbekistan, Venezuela, Yemen e Zimbabwe.
Andando a vedere le previsioni economiche al 2050, la Cina avrà superato gli USA in termini di PIL (in termini di valori a parità di potere di acquisto lo ha già fatto). Ma non solo. Se la Cina nel 2050 sarà la prima potenza economica mondiale, l’India sarà la terza e l’Indonesia la quarta. All’ottavo posto troviamo poi il Brasile e al decimo la Russia. Vuol dire che 5 delle prime 10 potenze economiche mondiali faranno parte dei BRICS+. Se si allarga il quadro alle prime 15 posizioni al mondo, troviamo poi anche Egitto (al 12esimo posto dopo il Messico), Arabia Saudita (al 13esimo) e Nigeria (al 15esimo). Vale a dire che 8 delle prime 15 economie al mondo farebbero verosimilmente parte dei BRICS+.
Ancora più “sconvolgente” il quadro economico del 2075 in cui 4 delle prime 5 potenze mondiali sarebbero Paesi BRICS+ (tabella 1): Cina (al primo posto), India (al secondo posto), Indonesia (al quarto) e Nigeria (al quinto posto). Allargando il quadro ai primi 10 posti ci sarebbero anche il Pakistan (al sesto posto), l’Egitto (settimo) e il Brasile (ottavo). Vale a dire che 8 delle 10 maggiori potenze economiche mondiali sarebbero Paesi che appartengono ai BRICS+. Nelle prime 15 posizioni troveremmo poi anche la Russia (tredicesima) e le Filippine (quattordicesime). Allargando lo sguardo alle prime 25 economie mondiali, andrebbero infine aggiunti anche il Bangladesh (sedicesimo), l’Etiopia (diciassettesima), l’Arabia Saudita (diciottesima), la Turchia (ventesima), la Malesia (ventitreesima) e il Sudafrica (venticinquesimo).


Un quadro completamente stravolto rispetto al mondo come lo conosciamo oggi. Un quadro in cui oltre alla massiccia presenza dei Paesi schierati apertamente per la nascita di un mondo multipolare spicca la progressiva assenza dei Paesi avanzati occidentali (a eccezione degli Stai Uniti, terzi, della Germania, nona, del Regno Unito, decimo, e della Francia, quindicesima). L’Italia, già a partire dal 2050, sparirebbe dalle prime 15 posizioni per scivolare in 22esima fila.
Tenendo conto di quanto detto, dati e previsioni alla mano, sul fronte demografico ed economico, cosa dovrebbe fare l’Italia per tornare a crescere garantendo un futuro in linea con la propria storia ai propri cittadini? Dovrebbe sicuramente cambiare rotta. Un’inversione a U rispetto a quanto fatto negli ultimi 30-40 anni. Il che presuppone il recupero di tutti gli strumenti necessari a perseguire una politica economica indipendente e fortemente interventista. Strumenti come la leva fiscale, quella monetaria e quella valutaria.
Quindi la pre-condizione è l’uscita dall’Unione Europea e dall’Eurozona. A quel punto l’Italia avrebbe a disposizione tutte le leve economiche necessarie per andare potenzialmente incontro a un nuovo miracolo economico. Un miracolo alla nostra portata tenendo conto dell’altissimo numero di disoccupati, inattivi, espatriati, precari e sottoccupati (quasi 20 milioni di persone). Un miracolo possibile tenendo conto anche di tutto quello che ci sarebbe da fare nel nostro Paese, a partire dalle infrastrutture (reti ferroviarie e autostradali, distretti portuali, scuole, ospedali, ecc) e dalla messa in sicurezza dai rischi sismico e idrogeologico. A cui bisognerebbe poi aggiungere un’imponete opera di reindustrializzazione.
Tutto questo senza dimenticare quelli che sono, dovrebbero essere, i fattori predominanti nel guidare le scelte in prospettiva futura del Paese. Tra cui ai primissimi posti quello geografico e culturale. Geograficamente l’Italia ha una posizione a dir poco privilegiata. Si trova cioè al centro del Mediterraneo. Vale a dire al centro di un crocevia naturale tra Nord e Sud del Mondo, tra Est e Ovest. Inoltre, storicamente e culturalmente, l’Italia è un (il) Paese latino. Così come lo sono Spagna, Portogallo e Francia (almeno in parte). Da un punto di vista storico, culturale e geografico l’Italia dovrebbe quindi farsi promotrice di un’alleanza tra Paesi del Sud Europa che si affacciano sul Mediterraneo. Prevalentemente, ma non esclusivamente, latini. Vale a dire creare un’alleanza in stile BRICS con Spagna, Portogallo, Grecia e Francia. Il PIL di questo blocco, che potremmo chiamare GIFPS, oggi è di circa 6.700 miliardi di euro, il quarto al mondo dopo USA, Cina e India. Stando alle proiezioni dell’OCSE, nel 2050 sarebbe di 10.400 miliardi, sempre al quarto posto dietro agli stessi 3 Paesi e davanti all’Indonesia diventata ormai quarta potenza mondiale. In termini di popolazione, oggi i GIFPS contano quasi 192 milioni di persone. Nel 2050 sarebbero 180 milioni.
Vale la pena ricordare che al mondo esistono 8 stretti marittimi primari (chokepoint) strategicamente fondamentali per le rotte commerciali. Di questi 8, 4 conducono al Mediterraneo: Suez, Gibilterra, Bab-el-Mandeb e quelli turchi (Bosforo e Dardanelli). Il Mediterraneo rappresenta il 20% del traffico marittimo mondiale ed è attraversato dal 27% delle linee di transito container (circa 2 miliardi di tonnellate di merci ogni anno). Il numero di container movimentati dai porti del Mediterraneo è passato dai 26 milioni del 2005 ai 59 milioni del 2021.
L'Italia è la settima potenza navale militare al mondo con 313 mezzi (prima è la Cina con 730, seconda la Russia con 598, terza la Corea del Nord con 519 e quarti gli USA con 484). La Fincantieri è inoltre il più importante gruppo per la cantieristica navale d'Europa. Insomma l’Italia avrebbe tutte le carte in regola per essere il Paese alla guida di un’alleanza di Paesi del Sud Europa che si affacciano sul mediterraneo.
L’Italia dovrebbe inoltre sfruttare il crescente multipolarismo per liberarsi del giogo angloamericano recuperando così ampi margini di autonomia sul fronte della politica estera. In quest’ottica, tenendo anche conto degli sviluppi recenti (come le elezioni di Trump col paventato conseguente disimpegno militare in Europa) e dei prossimi decenni, l’Italia avrebbe tutto l’interesse di candidarsi per l’ingresso nei BRICS. BRICS che, come detto, saranno i dominatori incontrastati della scena economica (e quindi anche geopolitica) globale nei decenni a venire. Non solo l’Italia avrebbe interesse a entrare nei BRICS, ma dovrebbe farlo come primo Paese avanzato occidentale. Prima cioè che si scateni al corsa (che si scatenerà) per salire sul carro dei vincitori. Questo le consentirebbe di acquisire un vantaggio comparato non indifferente rispetto ad altri Paesi europei (Francia in primis) e di potersi liberare più agilmente e con meno rischi della presenza statunitense militare sul proprio territorio. Il che ovviamente non vuol dire (non dovrebbe neanche essere necessario dirlo) fare la guerra agli Stai Uniti.
Se l’Italia seguisse questa strada (uscita da UE ed Eurozona, creazione dei GIFPS e ingresso nei BRICS+), potrebbe tranquillamente andare incontro a un nuovo trentennio glorioso. Probabilmente, anche più di un trentennio. E implementando le politiche giuste sul fronte lavorativo (orari di lavoro ridotti, salari più alti, tutele) e sociale (servizi e sussidi alla natalità e alle famiglie), potrebbe verosimilmente anche invertire il trend decrescente sul fronte della popolazione.