Manlio Di Stefano (M5S): «Il prezzo da pagare per la marchetta di Obama sul referendum, piu' militari in Libia»

Manlio Di Stefano (M5S): «Il prezzo da pagare per la marchetta di Obama sul referendum, piu' militari in Libia»

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di Manlio Di Stefano
 

Il Sì al referendum del 4 dicembre può aiutare l'Italia verso un'economia più vibrante". E ancora: "Renzi deve restare in politica". A parlare è il premio nobel per la Pace e sette guerre in otto anni, Barack Obama. 

 

Non dobbiamo stupirci di questa marchetta. Coloro che vogliono la distruzione della nostra Costituzione e di tutte quelle dell'Europa del sud - JP Morgan e le principali oligarchie finanziarie occidentali - non sono solo i mandanti di Renzi ma anche i datori di lavoro del presidente degli Stati Uniti.

 

Tutto torna.

 

Ma la marchetta di Obama ha un prezzo. Un prezzo sanguinario per l'Italia. Oggi apprendiamo da La Stampa che: “Washington chiede all’Italia uno sforzo maggiore per la Libia. Per il governo americano il Paese è ormai entrato nella “fase due”. “Bisogna sostenere Al-Serraj con azioni militari ed economiche”.

 

Il “chiede” chiaramente è ironico. 

 

“Bisogna sostenere Al-Serraj con azioni militari”, quindi. 

Ma Al-Serraj - l'uomo che la “comunità internazionale” ha calato dall'alto (anzi con un gommone dal mare) - cosa controlla oggi? Sicuramente sappiamo quello che non controlla, vale a dire l'80% della Libia, oggi in mano al Parlamento di Tobruk e del generale Haftar, un tempo punti di riferimento e alleati del governo Renzi. 

 

Al-Serraj controllerà almeno il restante 20%? In settimana i giornali occidentali hanno riportato la notizia di un colpo di stato “fallito” del governo di Tripoli contro Al-Serraj guidato dall'ex premier islamista Khalifa Ghwell. Scontri, violenze e morti a Tripoli, in quella zona che in teoria dovrebbe controlla. L'uomo della “comunità internazionale” è riuscito ad unire il paese, ma solo nell'odio verso di lui, che risiede, con il suo governo di “unità nazionale” in Tunisia. 

 

Siamo al punto di partenza, anzi peggio. Un capolavoro per chi dopo aver creato il disastro si proponeva ancora come la soluzione. 

 

Parole di buon senso provengono dal generale statunitense in pensione P. Vallely, in un'intervista a cinque anni dal barbaro assassinio di Gheddafi. "La Libia è solo un altro di quei paesi con troppe interferenze da fonti esterne. A mio parere Gheddafi sarebbe dovuto rimanere al potere, perché era una specie di forza di stabilizzazione. E 'stato Obama e il Dipartimento di Stato che hanno creato il problema: armando i Fratelli Musulmani, sostenuti da Al-Qaeda e gli elementi islamici radicali, sono stati la prima causa del problema".

 

Quello stesso Obama che ora “chiede” all'Italia di sostenere maggiormente militarmente Al-Serraj, che controlla solo spicchi di territorio e qualche banda di islamisti. 

 

Quello che deve essere chiaro è che l'attacco alla Costituzione repubblicana italiana elimina ogni possibilità di politica estera autonoma, pur in ambito Alleanza atlantica. L'invio di un piccolo (ma assai significativo) contingente militare in Lettonia e le dichiarazioni di Washington sulla Libia sono l'ultima prova: una Costituzione “normalizzata”, con maggiori poteri al governo di minoranza, in piena tensione internazionale significa più guerre e meno libertà. Questo gli Stati Uniti lo sanno bene e per questo Obama ha fatto questa marchetta: il sì al referendum è un ulteriore passaggio di subordinazione coloniale con prima tappa Libia.

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