Corridoio Nord-Sud e il futuro dell'Afghanistan: dalla devastazione Usa ad un hub regionale?
di Leonardo Sinigaglia
Dopo due decenni di occupazione militare, di violenze contro la popolazione civile e di grano tagliato per fare posto alle coltivazioni di oppio guardate a vista dai signori della guerra filo-occidentali, nell’agosto del 2021 il popolo afgano riusciva a scacciare l’occupante e a liquidare l’amministrazione coloniale di Kabul. L'Afghanistan, da cinquant’anni in un costante stato di guerra, poteva finalmente ritrovare unità e stabilità attorno a un governo, quello del neonato Emirato Islamico, dotato di grande sostegno popolare, specialmente nelle zone rurali. Per vendicarsi dell’affronto subito con l’ignominiosa fuga dalla capitale, speculare a quella già avvenuta da Saigon nel 1975, gli Stati Uniti promossero l’isolamento diplomatico ed economico del paese, requisendo le sue riserve aurifere e imponendo il solito regime sanzionatorio, contribuendo così a una catastrofe umanitaria responsabile della morte di migliaia di cittadini afgani innocenti.
Nonostante l’assedio occidentale, l’Afghanistan ha saputo restare in piedi. Il nuovo potere, a discapito di ogni previsione, non solo è rimasto al suo posto, ma ha anche avviato importanti progetti capaci di gettare le basi per lo sviluppo economico e l’industrializzazione del paese. Ciò è stato possibile perché, mentre l’Occidente, dopo aver distrutto e condannato all’instabilità l'Afghanistan, contava di lasciar morire di fame un intero popolo, tutti i paesi della regione, ispirati dai principi di uno sviluppo condiviso e cooperativo, si sono da subito mostrati interessati a sviluppare il dialogo e stabilire partenariati. In prima fila, ovviamente, la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, che a più riprese hanno ospitato tavoli di trattative con i rappresentanti del governo talebano, e a cui Kabul guarda con particolare interesse. Nel settembre 2023 la RPC è stata il primo paese a nominare un ambasciatore ufficiale in Afghanistan dopo la cacciata degli americani, e il governo dell’Emirato ha esplicitato la sua volontà di aderire formalmente alla Via della Seta e ad ospitare grandi investimenti cinesi nel settore minerario[1].
Se adeguatamente potenziato a livello infrastrutturale (e risolti i problemi di sicurezza), l’Afghanistan potrebbe giocare un ruolo importante nei collegamenti tra Asia Centrale e subcontinente indiano oltre che tra Cina e Iran. Da ciò le casse dello Stato afgano e la popolazione del paese non potrebbero che trarne giovamento. Per l'Afghanistan, paese tra i più poveri e arretrati al mondo dal punto di vista produttivo, l’attrazione di investimenti stranieri, per quando ancora in settori come quelli estrattivo e manifatturiero, rappresenta un concreto passo in avanti. Se la sicurezza alimentare può essere garantita unendo alla riconversione dei vasti terreni destinati alla produzione di oppio sotto l’occupazione americana l’introduzione di macchinari e derrate stranieri, l’avvio della modernizzazione produttiva, in questa fase, non può che essere realizzata attraverso un’integrazione nell’economia regionale che veda l’Afghanistan sfruttare i vantaggi comparativi di un’economia ancora fondata sul settore primario, con una popolazione per la maggior parte ancora residente nelle zone rurali, occupando quelle nicchie produttive a minor valore aggiunto lasciate scoperte dai paesi in via di sviluppo più avanzati.
Il governo dell’Emirato sembra assolutamente consapevole di ciò, e intento a moltiplicare gli accordi e i partenariati con i suoi vicini. A seguito di un incontro con i rappresentanti di Kazakistan e Turkmenistan, il ministro del commercio afgano, Nooruddin Azizi, ha annunciato il raggiungimento di un accordo per creare nel paese un polo logistico per l’export regionale[2]. Questo polo, il cui progetto sarà realizzato entro due mesi dai tecnici predisposti, si troverà nel distretto di Herat, nella parte occidentale del paese, e, secondo il ministro Azizi, porterà al potenziamento del trasporto sia ferroviario che su gomma, proponendosi come parte del Corridoio Nord-Sud costruito da Russia e Iran per promuovere l’interazione economica verticale dell’Eurasia. In particolare il governo afgano si aspetta di accogliere il transito dei volumi crescenti di petrolio russo inviati verso il Pakistan e altri paesi della regione. Secondo il Ministero del Commercio, la capienza petrolifera iniziale del polo si assesterà su un milione di tonnellate.
Seguendo l’esempio dei paesi eurasiatici, l’Occidente dovrebbe rendersi conto che solo lo sviluppo socio-economico dell’Afghanistan potrà portare a una modernizzazione culturale e civile del paese. Lo sviluppo del settore manifatturiero e la necessità di includere le donne nella forza lavoro farà compiere passi avanti per l’emancipazione femminile nel paese semplicemente impensabili sotto il precedente regime, quando il paese era condannato ad essere un’immensa piantagione di papaveri da oppio e un poligono di tiro per i droni statunitensi. Il governo dei Talebani, per quanto sicuramente deprecabile per certe sue politiche, si mostra concretamente interessato allo sviluppo del paese, e così facendo all’emancipazione storica dei quaranta milioni di abitanti dell’Afghanistan. La vittoria dei talebani in questo senso assume un duplice valore progressivo: l’aver indebolito le forze dell’imperialismo; l’aver dischiuso la via per un percorso capace di superare l’attuale configurazione socio-economica nazionale. Nella sua contraddittoria concretezza, l’attuale realtà permette comunque molta più speranza di quanta mai possano averne dato i miraggi “occidentalizzanti” del precedente regime d’occupazione.
[1] https://www.reuters.com/world/asia-pacific/taliban-says-plans-formally-join-chinas-belt-road-initiative
[2] https://www.reuters.com/markets/commodities/taliban-plan-regional-energy-trade-hub-with-russian-oil-mind-2024-05-02/