Nives Monda: "Le persone comuni di Napoli si sono dimostrate una grande comunità contro le ingiustizie. Il Comune purtroppo non ha avuto lo stesso atteggiamento"
Nives Monda, la ristoratrice della Taverna a Santa Chiara vittima del raggiro dei due turisti israeliani intervistata da l'AntiDiplomatico
– Articolo di Michele Metta –
Ho già avuto modo, pochi giorni fa, di occuparmi di Nives Monda, proprietaria della Taverna a Santa Chiara di Napoli. L’ho fatto riportando la testimonianza delle Donne in Nero di Bari, le quali hanno smascherato per quello che è l’attacco della quale Nives è stata vittima da parte di una coppia di israeliani. Le Donne in Nero hanno riconosciuto tale coppia come inequivocabilmente la stessa identica coppia che ha cercato, attraverso il medesimo modus operandi, di screditare il loro nobile operato teso alla difesa dei diritti violati dei palestinesi. In altre parole, non si è trattato di una visita casuale al ristorante, ma di un complotto, una azione premeditata per gettare fango su una onesta lavoratrice che, così come le Donne in Nero, ha a cuore, giustamente, il destino della Palestina.
Quando le chiedo di condividere le sue riflessioni su quanto accaduto, Nives ci tiene a partire dalla tanta solidarietà ricevuta:
Nives Monda: Una parte delle città di Napoli si è dimostrata una grande comunità contro le ingiustizie: sia per tutelare noi, sia accanto al popolo palestinese. Le persone comuni hanno espresso con fermezza e lucidità il loro pensiero in un pomeriggio di piazza lo scorso 6 maggio.
Michele Metta: Cosa mi dice, invece, delle Istituzioni?
NM: Il Comune della mia città non ha dimostrato, purtroppo, lo stesso atteggiamento. Invece di fare quadrato attorno all’aggredita, la parte lesa, cioè me, il Comune ha invece offerto sostegno a prescindere a due sconosciuti che avevano dichiarato il falso, come del resto stabilito dalla archiviazione disposta nei miei confronti dall’Autorità Giudiziaria: di essere stati oggetto di antisemitismo. Ma la cosa ancora più grave è un’altra.
Quale?
Il fatto che le stesse istituzioni che non hanno esitato un istante ad assecondare il fango che immeritatamente mi era stato gettato addosso, non hanno viceversa mai preso una posizione chiara contro il genocidio palestinese, come sarebbe invece doveroso per chi è stato investito dal popolo di un così alto mandato come è l’amministrare il capoluogo della Regione Campania.
All’ingresso del vostro locale, avete affisso un messaggio bilingue. Oltre che in italiano, è anche in inglese. Recita: “Questo esercizio si dichiara contro la politica di discriminazione colonizzazione e segregazione che Israele utilizza nei confronti del popolo palestinese e che viola i principi e dettami del diritto internazionale e le risoluzioni ONU sui diritti umani. Oggi, di fronte al genocidio che è in atto a opera del governo Netanyahu, evidenziamo questa posizione in modo chiaro a tutte le persone che frequentano lo spazio”. È certamente ormai chiaro a tutti che è per via di questo cartello così eloquentemente schierato dalla parte della ragione che la coppia israeliana, dopo aver preso di mira le Donne in Nero del capoluogo pugliese ha poi deciso, a breve distanza di tempo, di prendere di mira anche voi. Ma mi preme rivolgerle un altro tipo di domanda, e cioè cosa abbia spinto lei ad apporlo. Come è maturata tale sua scelta?
Sì, quel cartello simboleggia la adesione della Taverna alla campagna di sabotaggio internazionale contro i beni di consumo provenienti da Israele.
Certo, conosco questa campagna. Un presidente degli Stati Uniti molto diverso da Trump e da Biden, minacciò il governo israeliano dell’epoca di fare ricorso a questa stessa efficace misura per convincere il Paese mediorientale a cessare le proprie politiche già allora contrarie al Diritto internazionale. Si trattava di John Kennedy, e la misura non fu più presa per via delle pallottole esplose a Dallas, che gli impedirono di portare a termine il mandato alla Casa Bianca. Un altro presidente USA molto in sintonia con Kennedy, Carter, scrisse addirittura un libro che definiva Israele come nazione fondata sull’Apartheid.
Sì, l’Apartheid, esatto. E, infatti, il nostro locale aderisce anche alla campagna SPLAI, un acronimo che significa spazi liberi dall’Apartheid israeliana, e che condanna il genocidio palestinese. Ho - abbiamo meglio - sempre considerato l’osteria come un luogo di scambio e di incontro, una realtà in cui prendere posizione contro ogni tipo di discriminazione. È per questo che siamo anche contro lo sfruttamento del lavoro in agricoltura, per esempio. Tornando alla Palestina, è impossibile per me, per noi, non considerare la grave situazione di violazione dei diritti umani in Palestina come un tassello ulteriore e centrale delle nostre tante battaglie civiche, che conduciamo anche con il cibo con cui accogliamo i nostri avventori. È cibo legato a Terramadre, una rete mondiale creata dalla associazione Slow Food nel 2004, la quale raggruppa le comunità dell’alimentazione impegnate, a salvaguardare la qualità delle produzioni agro-alimentari locali. Perché anche il cibo giusto è un tramite per perseguire obiettivi di giustizia sociale e fini umanitari.