Pablo Neruda, il poeta militante degli oppressi

Pablo Neruda, il poeta militante degli oppressi

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«E ad ogni uomo
ad ogni donna
che alzando il pugno
contro il nero che avanza,
il cielo sorride…»

Definito da Gabriel García Márquez «il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua», considerato da Harold Bloom tra gli scrittori più rappresentativi del canone occidentale, Pablo Neruda (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973) è stato anche un diplomatico e politico (eletto perfino senatore), insignito nel 1953 del Premio Stalin per la pace. Ha subito censure e persecuzioni politiche, dovendo anche espatriare a causa della sua opposizione al governo autoritario (1946-52) di Gabriel González Videla (come si racconta nel film Neruda di Pablo Larraìn), della sua candidatura a Presidente del Cile nel 1970 (tra le fila del Partito Comunista del Cile), e il successivo sostegno al socialista Salvador Allende. 
Leggiamone il ritratto fatto dal belga Jef Maes: 

«Pablo Neruda ha cominciato molto giovane a scrivere poesie. Tra 1927 e 1935, ha lavorato come diplomatico per il governo cileno. Il suo ultimo incarico fu in Spagna. Come console, è testimone della resistenza del popolo contro i gruppi fascisti che seminano morte e desolazione. 

Durante la guerra civile, Neruda sceglie il campo del movimento repubblicano. Rinunciando alla sua missione diplomatica, raggiunge le fila dei repubblicani, prima in Spagna, poi in Francia. Questi avvenimenti e soprattutto l'omicidio del suo amico il poeta spagnolo Garcia Lorca lo toccarono profondamente. 

Nel 1943, torna in Cile, dove aderisce al Partito comunista. Nel 1945, è eletto senatore. Nel 1947, protesta vigorosamente quando il governo reprime un sciopero dei minatori. Minacciato a causa del suo impegno, è obbligato ad entrare in clandestinità. Due anni più tardi, fugge in Messico. 

A partire da 1939, Neruda lavora al suo capolavoro, il Canto General, pubblicato per la prima volta in Messico nel 1950. In questa opera monumentale - 342 poesie riunite in quindici cicli - Neruda guarda alla storia dell'America latina da un punto di vista marxista. Spiega la sua vasta conoscenza della storia, della geografia e della politica di questo continente. Il tema centrale è la lotta per la giustizia sociale. 

“Per i popoli latino-americani, il Canto evoca prospettive per l'avvenire. L'immagine della resistenza incrollabile e delle lotte eroiche dei loro antenati durante il periodo delle rivolte nazionali intorno al 1810 sveglia il coscienza indipendentista di questi popoli e li unisce nella lotta per una vera liberazione nazionale. Tutti i popoli delle isole dei Caraibi fino alle regioni antartiche si sono riconosciuti pienamente in questo lavoro”, ha scritto il grande poeta tedesco Erich Arendt. 

Neruda ha effettuato parecchi viaggi in Unione sovietica. Ha visto come la cultura, i libri, le biblioteche ed i teatri erano accessibili a tutti. Ha incontrato degli artisti come Ilya Ehrenburg ed il poeta turco Nazim Hikmet che avevano trovato asilo a Mosca. Neruda ha scritto poesie sulle cose quotidiane della vita. Nessuna emozione gli è estranea. 

È anche il poeta dell'amore e della passione. La sua raccolta Venti poesie di amore ed una canzone disperata è stata tradotta in decine di lingue e ripubblicata a più riprese. Ma il suo amore non si limita all'amore di un individuo. Tutta la sua opera è caratterizzata dall'amore per il suo paese e per il suo popolo, la speranza della liberazione e la prospettiva di un avvenire il migliore. Nel 1971, Neruda riceve il premio Nobel per la letteratura, il Canto General è glorificato come “un inno che ha restituito il volto e la voce” a tutto un continente. 

Pablo Neruda muore di leucemia il 23 settembre 1973 a Santiago del Cile, dodici giorni dopo il colpo di stato fascista del dittatore Pinochet. La sua morte è stata forse accelerata dalla morte del presidente Allende e dalla perdita di numerosi amici e compagni arrestati o assassinati da Pinochet. Il suo funerale si è trasformato in una manifestazione di protesta di decine di migliaia di persone contro la dittatura. Più tardi, la sua vedova descriverà la scena nella sua biografia: “Da tutte le strade delle persone raggiungono il corteo. Arrivano anche alcuni camion con i militari che puntano le mitragliatrici. Sempre più persone si uniscono al corteo e tutti alzando la voce gridano: Pablo Neruda, presente, adesso e per sempre!”»

POESIE PER LA LOTTA E IL SOCIALISMO

Riportiamo ora alcune delle sue poesie politiche, che spesso si tende a dimenticare o a mettere in secondo piano, privilegiando il Neruda più “sentimentale” e “amoroso”. 

Quella che segue è Al mio Partito, la penultima lirica del Canto Generale (1950): un esplicito testo di commiato ove Neruda definisce la propria poesia un «comune libro d’uomo, pane aperto». La lirica dedicata al partito acquista significato dalla collocazione nel libro e illumina l’intero Canto Generale: 

«Mi hai dato la fraternità verso chi non conosco. / Mi hai aggiunto la forza di tutti quelli che vivono / Mi hai ridato la patria come in una nascita. / Mi hai dato la libertà che non ha il solitario. / Mi hai insegnato ad accendere la bontà come il fuoco. / Mi hai dato la rettitudine che necessita l'albero. / Mi hai insegnato a vedere l'unità e la differenza degli uomini / Mi hai mostrato come il dolore di un essere è morto della vittoria di tutti. / Mi hai insegnato a dormire nei letti duri dei miei fratelli. / Mi hai fatto costruire sulla realtà come su una roccia. / Mi hai fatto avversario del malvagio e muro del frenetico. / Mi hai fatto vedere la chiarezza del mondo e la possibilità dell'allegria. / Mi hai fatto indistruttibile perché con te non finisco in me stesso».

Il popolo: 
«Portava il popolo le sue bandiere rosse / e tra la gente sulle pietre che calcava / io mi trovai, nel giorno strepitoso / e sulle alte canzoni della lotta. / Vidi passo a passo le sue conquiste. / Sola strada era la resistenza, / mentre isolati eran brani rotti / d'una stella, senza bocca né spicco. / Così nell'unità fatta in silenzio / erano il fuoco, il canto invincibile, / il lento passo umano sulla terra, / trasformato in profondità e battaglie. / Erano dignità che combatteva / gli antichi soprusi, e risvegliava / a sistema l'ordine delle vite, / che bussavano alle porte per prender posto / nella sala principale con le bandiere».

Da Ode a Stalin (1953): 
«Compagno Stalin, io stavo vicino al mare a Isla Negra, / riposando dopo lotte e viaggi, / quando la notizia della tua morte giunse come un colpo di oceano. / Fu dapprima il silenzio, lo stupore delle cose, e poi giunse dal mare un’onda grande. / Di alghe, metalli e uomini, pietre, spuma e lacrime era fatta quest’onda. / Da storia, spazio e tempo raccolse la sua materia e s’innalzò piangendo sul mondo / fino a che di fronte a me venne a colpire la costa e fece piombare sulle mie porte il suo messaggio di lutto / con un grido enorme / come se d’improvviso si spaccasse la terra. […] / Staliniani. Portiamo questo nome con orgoglio. / Staliniani. Questa è la gerarchia del nostro tempo! […] / Non è scomparsa la luce, / non è scomparso il fuoco, / anzi, aumenta / la luce, il pane, il fuoco e la speranza / dell’invincibile tempo staliniano! / Nei suoi ultimi anni la colomba, / la Pace, l’errante rosa perseguitata, / si fermò sulla sua spalla e Stalin, il gigante, / l’innalzò sulla sua fronte. / Così videro la pace popoli distanti…»

Quest'ultima poesia, scritta in seguito alla morte del leader georgiano, ha scandalizzato gli intellettuali di tutto il mondo. Neruda ha sempre espresso la sua ammirazione per l'Unione Sovietica e per Stalin, specie per il ruolo decisivo svolto nella definitiva sconfitta della Germania nazista. Anche in questo caso solo le false rivelazioni fatte da Chruš?ëv nel 1956 hanno spinto Neruda a cambiare opinione, facendo autocritica e rinnegando pubblicamente l'ammirazione espressa in precedenza. Nonostante tali disillusioni, Neruda è rimasto comunque sempre fedele alle convinzioni comuniste ed è stato per questo criticato da molti detrattori borghesi che lo hanno accusato di non aver preso posizione a favore degli intellettuali dissidenti Boris Pasternak e Joseph Brodsky. 

Ancora nel 1972 Neruda giudica «problemi assolutamente personali» quelli incontrati da Aleksandr Solženicyn e dagli altri intellettuali russi rinchiusi nei gulag, spiegando «di non avere alcuna voglia di diventare uno strumento della propaganda antisovietica».

IL QUADRIFOGLIO PER I GIOVANI COMUNISTI

Quello che segue è lo straordinario saluto scritto da Neruda per il 7º congresso della “Jota” (la gioventù del Partito Comunista del Cile, oggi organizzazione nota come JJCC), svoltosi il 19 settembre 1972 a Parigi:

«Voglio che questa lettera sia un quadrifoglio. Dedico questo quadrifoglio alla Gioventù Comunista della mia patria. La prima foglia è quella dell'allegria. I giovani devono imparare anche ad essere giovani e ciò non è così facile. Io sono stato un ragazzo in lutto. Cadde sulla mia vita la tristezza dei popoli poveri del sud, il grido della pioggia, l'intransigente solitudine. Più avanti trovai che la vita, quanto più seri sono i problemi che ci propone, quanto più difficile sia lo scoprirsi del nostro cammino, quanto più grave sia il sentimento dell'ingiustizia sociale, tante più ragioni abbiamo per sentirci degni della nostra responsabilità. Così scopriamo il cammino dell'allegria, che comincia in noi stessi e dopo vuole condividersi e distribuirsi. Lottiamo affinché la nostra allegria possa essere condivisa e distribuita in tutta la terra. 

La seconda foglia è quella della coscienza. Partiamo dalla coscienza di un mondo deformato dall'interesse, dalla routine, dall'avarizia, dall'ipocrisia. Il capitalismo e l'imperialismo si coprono con una maschera che dice “mondo libero”, e sotto quella maschera si nascondono il terrore, la repressione di classe, la perversione sociale. I giovani devono partire da quella coscienza: quella di una società che dobbiamo elevare alla dignità dell'uomo, alla dignità suprema dell'uomo. E questa dignità non esisterà senza lotta comune che la renda realtà. I giovani comunisti hanno il dovere di rappresentare questa coscienza, continuare e rinnovare questa lotta e fare realtà dei sogni più antichi dell'uomo. 

La terza foglia è quella della sicurezza. Quando i primi comunisti hanno espresso la loro verità, furono accusati di falsi, traditori, stranieri, illusi. Oggi immense nazioni vivono nella Rivoluzione. I comunisti furono martirizzati, aggrediti, calunniati. Oggi pesano nei destini del mondo. Ieri i comunisti erano accusati come esplosivi, estremisti, furie umane. Oggi sono accusati come riformisti, pacati, prudenti. Sono gli stessi nemici di ieri quelli che vogliono detenere il cauce organizzato della Rivoluzione. Che si vestano da conservatori, fascisti, ultra-sinistra, sotto i loro vestiti c'è sempre lo stesso volto. Sanno che i comunisti hanno cambiato la storia. Essi, chi in una maniera chi nell'altra, si sono uniti nell'anticomunismo per detenerla nella sua marcia. Però la storia si muove in avanti, lasciando indietro i ritardatari e gli impazienti. 

La quarta foglia é quella del partito. Io ero un uomo quando entrai nella famiglia dei comunisti cileni. Avevo attraversato la solitudine. Avevo sentito e compreso tragedie, sfortune, catastrofi. Ero passato attraverso guerre e perdite, attraverso golpe e vittorie. Credevo di sapere già tutto. Però trovai, dentro al mio Partito e andando per paesi e cammini attraverso l'estensione di America e Cile, che dovevo imparare ancora molto, ed ogni giorno uomini anonimi, sconosciuti fino ad allora, mi diedero le migliori lezioni di saggezza, di rettitudine, di fermezza. Nessuno deve credersi superiore al Partito. Questo sentimento di modestia non significa vassallaggio, bensì superamento personale, apprendimento di una disciplina che ci conduce sempre alla verità. Giovani comunisti: questo è il quadrifoglio che vi mando da lontano. I miei occhi e il mio cuore rimangono in Cile. Buona Fortuna».

[Da A. Pascale, Storia del Comunismo, vol. 2, tomo B, cap. 22.24, pp. 466-469. L'opera è scaricabile gratuitamente dal seguente link: http://intellettualecollettivo.it/scarica-storia-del-comunismo/]

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