Pepe Escobar - Cina, Hong Kong e l'arte del battito di ciglia

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Pepe Escobar - Cina, Hong Kong e l'arte del battito di ciglia

 

di Pepe Escobar – Strategic Culture

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

Capitan Caos non ha assolutamente le carte in mano, che – come sanno anche i pinguini del Sud Pacifico – sono tutte made in China.

 SHANGHAI e HONG KONG – Quindi, come prevedibile, Capitan Caos ha battuto le ciglia [si è tirato indietro / ha mostrato debolezza / ha ceduto] per primo. Per quanto lui – insieme al suo tentacolare circo mediatico – non potesse assolutamente ammetterlo.

Tutto è iniziato con “esenzioni tariffarie” – da smartphone e computer a parti di automobili – su prodotti importati dalla Cina. Poi si è passati a fughe di notizie accuratamente curate che implicavano che le tariffe “potrebbero” essere ridotte a una forbice tra il 50% e il 65%. Infine, ha ammesso che se non ci sarà un accordo, verrà fissato un “numero di tariffe” unilateralmente.

Il Ministero del Commercio cinese reagiva spietato: “Cercare di barattare gli interessi degli altri per ottenere guadagni temporanei è come contrattare con una tigre per la sua pelle – si ritorcerà contro”.

E la questione si è fatta più accanito. Il Ministero ha ribadito che qualsiasi affermazione di Trump 2.0 su eventuali progressi nei negoziati bilaterali non ha “alcuna base fattuale” – dipingendo de facto il Presidente degli Stati Uniti come un fornitore di fake news.

Tigri, tigri, divampanti fulgori: l'immagine non ricorda la superstar della poesia William Blake, ma la leggendaria rappresentazione di Mao dell'Impero statunitense come “tigre di carta” – un flashback che mi ha colpito più volte la scorsa settimana a Shanghai. Se l'impero statunitense era una tigre di carta già negli anni '60, come sostengono i cinesi, figuriamoci ora.

E il dolore aumenterà, non solo per la tigre di carta: qualsiasi accordo losco fatto da governi stranieri mici – vassalli – a spese degli interessi cinesi semplicemente non sarà tollerato da Pechino.

La scorsa settimana a Shanghai mi è stato ricordato più e più volte – da accademici e uomini d'affari – che l'arma Tempesta Tariff Trumpiana (TTT) va ben oltre la Cina: è un'offesa disperata ordinata dalle classi dirigenti statunitensi contro un concorrente alla pari che li spaventa a morte.

Le migliori menti analitiche cinesi sanno esattamente cosa sta succedendo a Washington. Prendiamo ad esempio questo saggio pubblicato originariamente dall'autorevole rivista Cultural Horizon che analizza la “struttura di potere triangolare” di Trump 2.0.

Abbiamo Trump onnipotente che forma un “super-establishment”; la politica del denaro della Silicon Valley, rappresentata da Elon Musk; e la nuova élite di destra rappresentata dal vicepresidente J.D. Vance. Risultato finale: un “sistema di amministrazione quasi parallelo al governo federale”.

I chihuahua europei – presi nel fuoco incrociato di Trump 2.0 – sono semplicemente incapaci di una concettualizzazione così sintetica e precisa.

La tigre di carta incontra il drago di fuoco

Ciò che un'immersione profonda a Shanghai ha rivelato è che la Cina ha ricevuto da Trump 2.0 un'opportunità rara come le terre rare per consolidare la propria iniziativa strategica solidificando il ruolo di leader del Sud Globale/Maggioranza Globale, gestendo al contempo con attenzione il rischio di una Nuova Guerra Fredda.

Chiamiamola una mossa alla Sun Tzu che potrebbe paralizzare l'Impero. Il professor Zhang Weiwei, con cui ho avuto il piacere di condividere un seminario a Shanghai sul partenariato strategico Russia-Cina, sarebbe d'accordo.

La Cina si sta muovendo su tutti i fronti. Il premier cinese Li Qiang ha inviato una lettera al primo ministro giapponese Shigeru Ishibe per sollecitare un'azione congiunta, fin da ora, per contrastare la demenza tariffaria.

Il messaggio principale del Presidente Xi nel suo tour nel sud-est asiatico la scorsa settimana è stato quello di opporsi al “bullismo unilaterale”.

Xi si è abilmente mosso tra la Malesia – attuale presidente di turno dell'ASEAN, evitando sempre di schierarsi – e il Vietnam – con la sua “diplomazia del bambù” sempre in bilico tra Stati Uniti e Cina.

Xi ha detto direttamente al primo ministro malese Anwar Ibrahim: “Dobbiamo salvaguardare le brillanti prospettive della nostra famiglia asiatica.” Traduzione: creiamo una sfera di influenza esclusiva vicina alla “comunità di destino condiviso”, ma che non includa potenze esterne come gli Stati Uniti.

Parallelamente, si è sviluppato un forte dibattito – da Shanghai a Hong Kong – che trascende il ruolo della Cina come fabbrica del mondo: ciò che conta ora è come reindirizzare parte della sorprendente capacità produttiva cinese verso il mercato interno.

Naturalmente ci sono dei problemi – come la mancanza di potere d'acquisto tra decine di consumatori cinesi, anche se la maggior parte del reddito nazionale cinese è destinato agli investimenti in beni immobili. Gran parte della popolazione rurale anziana cinese sopravvive con una pensione mensile di circa 30 dollari al mese, e la tariffa oraria della gig economy è rimasta ferma a circa 4 dollari.

Nel frattempo, su diversi fronti dell'alta tecnologia, la Cina ha appena costruito il treno ad alta velocità più veloce del pianeta: 400 km/h, che presto circolerà tra Pechino e Shanghai. La Cina sta già ricevendo ordini per l'aereo commerciale a fusoliera larga C919. E la Cina ha ideato il primo reattore nucleare al mondo alimentato a torio. Traduzione: energia pulita ed economica illimitata è a portata di mano.

Il modo mafioso di fare affari

Hong Kong è un caso molto particolare. I dirigenti della HSBC, ad esempio, si preoccupano di un possibile disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina e si chiedono se Hong Kong possa sopravvivere senza il commercio statunitense.

Sì, è possibile. Gli Stati Uniti sono il terzo partner commerciale di Hong Kong, ma le esportazioni e le importazioni di Hong Kong verso gli Stati Uniti rappresentano rispettivamente solo il 6,5% e il 4% del totale delle esportazioni e delle importazioni globali, compreso il trasbordo delle merci dalla Cina continentale.

HK è un hub logistico e un porto franco di livello mondiale. Quindi, finché Trump 2.0 non proibirà il commercio con Hong Kong – ebbene, tutto può accadere – le importazioni non dovrebbero risentirne. In ogni caso, la maggior parte delle esportazioni di Hong Kong – elettronica, beni di lusso, vestiti, giocattoli – può facilmente trovare mercati alternativi nel Sud-est asiatico, nell'Asia occidentale e in Europa.

Il punto cruciale è che oltre la metà degli scambi commerciali di Hong Kong avviene con la Cina continentale. E il fatto fondamentale è che la Cina può facilmente sopravvivere senza il commercio statunitense. Pechino si è accuratamente preparata per questo fin da Trump 1.0.

Da Shanghai a Hong Kong, le migliori menti analitiche sono in sintonia con l'inestimabile Michael Hudson, che ha sottolineato più e più volte come “gli Stati Uniti sono l'unico Paese al mondo che ha trasformato il proprio commercio estero in un'arma; trasformato la propria valuta estera, il dollaro in un'arma; trasformato il sistema finanziario internazionale in un'arma; e trattato ogni relazione economica in modo avverso, per trasformarla in un'arma.”

Una Cina sicura di sé e dotata di alta tecnologia, dagli accademici agli uomini d'affari fino ai venditori di xiao long bao e di lamian [spaghetti tirati], comprende graficamente che l'Impero del Caos, nel suo tentativo di “isolare” la Cina, sta isolando solo se stesso (e i suoi chihuahua).

Inoltre, è una tale gioia vedere Michael Hudson fare riferimento alla stessa sindrome della “tigre di carta” di cui sono stato testimone a Shanghai nei giorni scorsi: "Insomma, l'America oggi è diventata una tigre di carta dal punto di vista finanziario. Non ha nulla da offrire se non la minaccia delle tariffe, la minaccia di interrompere improvvisamente tutti i modelli commerciali che sono stati messi in atto negli ultimi decenni."

A Shanghai, ho ascoltato una serie di rifiuti implacabili del cosiddetto “piano Miran” – come nel documento pubblicato lo scorso novembre dal consulente economico di Trump “che ristruttura il sistema commerciale globale”. Miran è la mente dietro l'accordo di Mar-a-Lago – la cui logica è quella di indebolire il dollaro USA costringendo le principali economie – dalla Cina al Giappone e all'UE – a vendere asset in dollari e a scambiare i Treasury statunitensi a breve termine con obbligazioni a 100 anni a tasso zero.

La brillante idea di Miran si riduce al fatto che le nazioni hanno solo due opzioni:

  1. Accettare docilmente le tariffe statunitensi, senza ritorsioni.

 

  1. Scrivere assegni al Tesoro degli Stati Uniti.

Zhao Xijun, co-decano del China Capital Market Research Institute dell'Università di Renmin, ha distrutto lo schema in modo succinto: trasferire denaro al Tesoro USA in questo modo è come “raccogliere denaro per la protezione nelle strade”. Traduzione: questo è il modo di fare della mafia, “un atto di malavita e di dominio, solo vestito con l'altezzosa giustificazione di fornire beni pubblici”.

Nel frattempo, sul Grande Scacchiere, Pechino continua a lavorare fianco a fianco con la Russia per la realizzazione di un'architettura di sicurezza eurasiatica ancorata a un equilibrio di poteri: si tratta del nuovo triangolo di Primakov (RIC – Russia, Iran e Cina).

I principali membri dei BRICS, Russia e Cina, non permetteranno all'Impero di attaccare l'Iran, membro dei BRICS. E il sostegno arriva in più modi. Esempio: altre sanzioni imperiali sull'energia in Iran? La Cina aumenterà le importazioni attraverso la Malesia e investirà ancora di più nelle infrastrutture iraniane, in tandem con la Russia per quanto riguarda il Corridoio Internazionale di Trasporto Nord-Sud (INSTC).

In sintesi: Capitan Caos non ha assolutamente le carte in mano, che – come sanno anche i pinguini del Sud Pacifico – sono tutte made in China.

 

 

 

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