Pino Cabras (L'Alternativa c'è): «Perché le pandemistar non vogliono un'altra normalità»

Pino Cabras (L'Alternativa c'è): «Perché le pandemistar  non vogliono un'altra normalità»

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Da 430 giorni in qua, ogni volta che mi sintonizzo su La 7 per dare un’occhiata a ‘Otto e mezzo’, vedo praticamente sempre la stessa trasmissione. Un giro ristretto di opinionisti che ripetono a ciclo continuo il medesimo kit di informazioni, invariabilmente incentrate sulla grande crisi che ha sconvolto le nostre esistenze e replica ogni santo giorno uno e un solo film. Mai che si senta una voce davvero dissonante, una visione da un’angolazione diversa, uno scienziato che esca dal giro incestuoso e provinciale delle pandemistar italiote, che pensano di aver salvato più vite di tutti ma affiancano i loro severissimi moniti a un record mondiale di morti che surclassa in proporzione i numeri di tanti altri paesi. Cosa su cui noi altri parlamentari de «L’Alternativa c’è» chiederemo una bella commissione d’inchiesta con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
Anche oggi mi sono affacciato al teatrino di Lilli Gruber, ma – a differenza di altre volte – non me ne sono andato dopo i soliti 15 secondi. Volevo proprio sentire cosa avesse da dire il prof. Massimo Galli di fronte alla prospettiva che anche l’Italia, seppur timidamente, interrompa finalmente la modalità irrazionale, vessatoria, indiscriminata ed economicamente disastrosa con cui applica confinamenti di massa e chiusure di interi settori economici, a differenza di altri paesi che ottengono (praticamente tutti) risultati migliori, anche nel numero dei contagiati e dei decessi.
Galli non mi ha deluso. Se fosse per lui il “restoacasismo” italico durerebbe un’infinità. Crepino pure tutti di fame. Il professore cita sempre pericoli reali, certamente. D’altronde nessun paese al mondo pensa che siamo in una passeggiata o che non debba cambiare la profilassi e l’organizzazione dei sistemi sanitari. 

Che ci siano pericoli lo sappiamo tutti e conosciamo tutti molte persone che hanno pagato il prezzo fisico della malattia, alcune quello più caro. Ma c’è un profondissimo inganno nell’approccio di questo scienziato, che sembra ignorare un criterio scientifico elementare, che a differenza di lui prevede il dubbio: non fa mai una comparazione dei metodi, mai un’apertura ad analisi scientifiche diverse, mai un confronto con dati che smentiscano tesi precostituite, mai una visione della salute come un fenomeno in cui la prevenzione non si limita a barricarsi in casa a lasciar aumentare la propria massa grassa.
Anche lui gioca tutte le sue carte su quelle punture d’oltreoceano (che nemmeno riescono ad arrivare alle braccia pur volenterose che affollano il Laboratorio Italia), senza nominare neanche una volta il complemento di altri rimedi nelle prime cure domiciliari, senza citare mai i risultati ottenuti da paesi avanzati che – pur usando precauzioni eccezionali e specifiche segregazioni dei contagi come è giusto e normale in questa circostanza storica – da un mare di tempo non impongono un confinamento di massa né chiudono una sola scuola. 

Mi sembrava di assistere alla scena di un ospedale di guerra di cent’anni fa, dove la prevalente soluzione alle ferite era l’amputazione. Ci sono chirurghi bravissimi in questo tipo di operazioni. Ma non pretendono che sia l’unica cosa da fare per i loro pazienti, né vedono i sani come pazienti.
Il prof. Galli e i siparietti della tele-ipocondria a reti unificate ci percepiscono come un unico grande ospedale a cui applicare il manto rosso dei divieti di un’istituzione totale. Assaggiano dal lato sanitario il gusto del potere più assoluto sui sudditi. Era il politologo Carl Schmitt a dire che «la sovranità significa capacità di dichiarare uno stato d’eccezione» (Ausnahmezustand). L’organo in grado di emanarlo è l’organo sovrano per eccellenza. Galli e il resto della compagnia recitano fino in fondo il loro ruolo di intellettuali organici della “Nuova Normalità”. Nella loro recita non c’è spazio per l’enorme campo di “altre normalità” che pure hanno più successo nello specifico della crisi in corso, un successo misurabile con numeri impietosi completamente ignorati dai grandi media. L’unico successo che interessa è il loro interesse nel nuovo biopotere.
Occorrerà per prima cosa un’opera di sprovincializzazione rispetto alle claustrofobiche schermate degli oracoli della peste.

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L’Alternativa c’è: una gestione della crisi che liberi la Repubblica dal grumo di potere burocratico che ha coordinato così male l’emergenza e faccia rapidamente tesoro dei significativi buoni risultati di altri paesi. Il trend della privatizzazione dei servizi sanitari degli ultimi vent’anni va invertito con investimenti nelle 4P (1. Pubblico 2. Posti letto 3. Personale, 4. Prevenzione primaria). Vogliamo puntare su un’efficace rete di sanità di iniziativa, medicina territoriale e assistenza domiciliare. Va affrontato il tema dell’equilibrio fra competenza nazionale e regionale della Sanità. il PIL di spesa per la Sanità pubblica dovrà essere elevato ai livelli di Francia e Germania.

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