Quali previsioni per il 2023? Annus horribilis, con qualche lato positivo a sorpresa

Quali previsioni per il 2023? Annus horribilis, con qualche lato positivo a sorpresa

Come vedono il nuovo anno gli autori di The Cradle. Importanti cambiamenti globali, alcuni positivi, altri negativi.

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di Sharmine Narwani - The Cradle 

(traduzione di Marinella Correggia)


Le previsioni, si sa, sono un esercizio faticoso. Nel mondo della geopolitica, specialmente durante una trasformazione globale, si tratta di un esercizio quasi impossibile. Nell’Asia occidentale, una regione depressa e negletta che funge da sacco da boxe per la competizione tra grandi potenze, molto si basa sulla risoluzione delle battaglie tra grandi potenze in campo economico, politico e bellico (per procura).

Piuttosto che fare previsioni, può essere più utile caratterizzare le tendenze che potrebbero svilupparsi ulteriormente nel 2023. Ho chiesto ad alcuni autori di The Cradle di offrirci le loro valutazioni. Ma prima di tutto vorrei fare alcune osservazioni personali relative al 2023.

La guerra in Ucraina è stato l’evento determinante del 2022, e se il conflitto non si fosse svolto lì, sarebbe stato altrove. Si tratta essenzialmente di una guerra per impedire a un futuro multipolare di scalzare completamente il passato unipolare. Avrebbe potuto svolgersi a Taiwan, in Iran, nelle Coree o in Venezuela.

Nel 2023 vedremo chiari segni di rottura nell’Alleanza atlantica. Allo stato attuale delle cose, l’Europa non può più permettersi di prendere istruzioni da Washington quando le rispettive sorti sono così chiaramente in contrasto. L’Ucraina lo ha reso evidente, ma l’Europa ha una scelta che i suoi atlantisti hanno freneticamente insabbiato per anni.

Il fatto è che l’estrema ricchezza e il privilegio dell’Europa sono storicamente derivati da risorse asiatiche, e questo diventerà palesemente chiaro nel 2023. La Germania non aveva sbagliato a lanciare i suoi gasdotti Nordstream con la Russia: Berlino stava semplicemente assicurando il suo futuro, finché gli statunitensi non l’hanno sabotato.

Il 2023 ricorderà all’Europa che il suo desiderio di rimanere prospera – e di continuare a crescere economicamente – è strettamente legato all’Est e alla promessa dell’Eurasia. Dopo tutto, l’Asia e l’Europa sono collegate via terra, mentre gli attuali alleati sono separati dal vasto oceano Atlantico.

Aspettiamoci quindi che quest’anno riveli le spaccature tra  vari portatori di interessi in Europa e prepariamoci alla battaglia tra eurasiatismo e atlantismo che si svolgerà nei corridoi di potere del continente. Scopriremo che, per la prima volta da decenni, il mondo del commercio sarà in contrasto con i governi.

In Asia Occidentale e dintorni, osservo due sviluppi che potrebbero avere importanti ripercussioni sugli affari regionali e internazionali.

Il primo è la rapida evoluzione delle relazioni tra India e Russia, emersa dal nulla lo scorso anno. Questa nuova dinamica ha rivitalizzato da sola il blocco dei paesi Brics e si è inserita nello scacchiere globale. in Mosca, Nuova Delhi ha ora un partner affidabile e utile per risolvere le controversie con Pechino, il che rende le cose infinitamente più facili per i progetti di integrazione asiatica.

Inoltre, ha lasciato indietro Washington: gli Stati uniti lo hanno sperimentato in diversi teatri nel 2022, anche con l’Arabia Saudita, peso massimo regionale. Ma l’India è una grossa gatta da pelare e questo allineamento degli interessi indo-russi in più teatri non può andare a genio agli atlantisti.

In secondo luogo, il riemergere della Turchia come attore critico in Asia occidentale e centrale. Dopo quasi un decennio di relativo isolamento dovuto a una miriade di divergenze con l’Europa e con gli Stati arabi – unitamente a un’economia al collasso – la Turchia è ora in ascesa. La Russia ha recentemente offerto ad Ankara l’occasione, a lungo coltivata, di diventare un importante hub per il petrolio e il gas verso l’Europa, mentre la Cina cerca di costruire una sezione chiave della sua Nuova Via della seta attraverso la Turchia.

Il presidente Recep Tayyip Erdogan, che nel giugno 2023 dovrà affrontare le elezioni più difficili, sembrava destinato a una sconfitta certa, finché la guerra in Ucraina non ha ribaltato le sue sorti. Da un giorno all’altro, lo Stato della Nato è diventato un intermediario desiderato da entrambe le parti, ed Erdogan non ha perso un colpo.

In questo momento sta giocando la partita della sua vita, posizionando la Turchia come hub eurasiatico chiave per il rifornimento di carburante per l’Europa e cercando di sfruttarlo a livello regionale in Siria, Iraq, Azerbaigian e altri Stati turchi del Caucaso meridionale. Se da un lato offre la risoluzione di un conflitto, dall’altro Erdogan ne alimenta pericolosamente.

Questo è evidente soprattutto ai confini tra Armenia, Azerbaigian e Iran, dove il presidente turco sta portando avanti in modo aggressivo le ambizioni di Ankara di guidare le nuove rotte di trasporto dell’Asia centrale e di rimodellare i suoi confini.

Turchia e Siria

La Turchia è molto presente nelle previsioni per il 2023 degli autorii di The Cradle. Yeghia Tashjian si spinge a prevedere una nuova grande guerra nel Caucaso meridionale quest’anno:

"Il blocco terrestre dell’Azerbaigian contro gli armeni del Nagorno-Karabakh è entrato nel suo 30° giorno. Le forze di pace russe non sono in grado di rimuovere il blocco per timore della reazione turca. Nel frattempo, Baku sta costringendo l’Armenia a fornire un corridoio che colleghi l’Azerbaigian alla Turchia, tagliando così il confine tra Armenia e Iran".

Se da un lato la Turchia alimenta il conflitto in una regione, dall’altro dà l’impressione di voler spegnere conflitti altrove. Diversi autori prevedono, con diversi gradi di fiducia, una risoluzione del conflitto turco-siriano nel 2023.

Ceyda Karan ritiene che Erdogan giochi con opportunismo nei confronti della Siria: "Tutto dipende dalle elezioni turche", afferma, riflettendo l’opinione di diversi autori di The Cradle, secondo i quali potrebbe non essere tutto rose e fiori nel periodo che precede le elezioni.

Erdogan sta lavorando in ogni modo per vincere le elezioni, afferma Mohammad Salami:

"Sulla scena internazionale, ha mediato tra Ucraina e Russia, senza alcun risultato. Sulla scena energetica, intende trasformare la Turchia in un hub energetico, ma non sarà facile. Erdogan ha poi cercato di ricostruire le relazioni con Emirati arabi uniti, Egitto, Arabia Saudita e Israele e ora, in un ultimo sforzo, ha annunciato il suo ritiro dopo le prossime elezioni".

Su una nota più positiva, Ziad Hafez, residente a Washington, ritiene che il riavvicinamento tra Siria e Turchia si muoverà molto più velocemente di quanto ci si aspetti.

"Erdogan deve ottenere un grande successo politico prima delle elezioni. È difficile sapere se i siriani glielo concederanno. Ma sarà vantaggioso per entrambi e allo stesso tempo isolerà completamente la posizione degli Stati uniti in Siria. Non credo che né la Nato né gli Stati regionali siano in grado di far deragliare i colloqui. Ciò che i russi e gli iraniani hanno offerto alla Turchia non può essere eguagliato né dagli Stati Uniti né dall’Europa", scrive Hafez in modo promettente.

Ma il giornalista libanese Hasan Illaik propone un approccio realistico ai rischi nei colloqui per il riavvicinamento, visti gli interessi di molti attori regionali e internazionali.

Egli prevede che "gli Stati Uniti faranno ogni sforzo per impedire qualsiasi miglioramento delle relazioni turco-siriane, arrivando persino a creare legami tra la Turchia e i curdi sostenuti dagli Stati uniti".

“La situazione economica siriana peggiorerà nel 2023 perché né la Russia né la Cina stanno aiutando, l’Iran ha già fatto il massimo e gli Stati uniti continuano a occupare le aree ricche di risorse nel nord-est della Siria e a imporre ulteriori sanzioni allo Stato".

Per quanto riguarda l’incontro tra Erdogan e il presidente siriano Bashar al-Assad, Illaik avverte che anche questo pone serie difficoltà: "La Turchia deve pagare un prezzo per questo incontro perché inerto molti danni alla Siria e occupa le sue terre, ma la Russia sta spingendo per un incontro ’gratuito’ - per soddisfare i propri obiettivi strategici con Ankara".

Palestina, Levante e Golfo persico

A livello regionale, Illaik prevede che il 2023 non vedrà grandi cambiamenti, perché "l’intero Levante sarà soggetto alla continua ostilità degli Stati uniti – sanzioni, occupazione militare della Siria, minacce, ricatti e pressioni in Libano e in Iraq".

Altri Stati arabi si affretteranno a garantire soprattutto i propri interessi. Gli Emirati arabi uniti, ad esempio, si sono offerti di partecipare ai colloqui turco-siriani "per ottenere una certa influenza nella Siria post-bellica e bilanciare l’influenza dell’Iran".

Ceyda Karan spiega come lo stallo del potere globale stia influenzando i comportamenti regionali: "Gli Stati del Golfo, anche i sauditi, percepiscono la debolezza degli Stati uniti e stanno stabilendo relazioni dirette e vantaggiose con la Cina e la Russia. Non credo che continueranno a rimanere partner fissi degli Stati uniti nella regione, e vedremo ancora più segnali nel 2023"

L’opinione abbastanza unanime è che quest’anno vedrà un inasprimento delle tensioni in Palestina.

"Il governo di destra di Netanyahu ha messo Israele in una posizione precaria", sostiene Ziad Hafez. Non può lanciare una grande offensiva militare in Palestina, né contro il Libano, la Siria e l’Iran, né è in grado di intraprendere alcuna soluzione politica, sia a livello nazionale che regionale. Le tensioni stanno rapidamente aumentando in Cisgiordania, gli ebrei statunitensi non forniscono più un sostegno incondizionato e il rapporto di forze sul terreno non è a vantaggio di Israele".

Hafez avverte che "il razzismo di estrema destra di membri del gabinetto come (il ministro della Sicurezza nazionale) Itamar Ben Gvir, renderà impossibile per Israele rivendicare l’autodifesa su qualsiasi cosa. Alcuni di questi elementi cercheranno di forzare un grande confronto o un conflitto, ma questo sarà la rovina di Israele. Sono nei guai se lo fanno e sono nei guai se non lo fanno è la situazione di Israele in poche parole".

Secondo Illaik, gli israeliani non possono permettersi di guardare oltre i loro confini, come in passato:

”All’interno della Palestina, si sta preparando l’atmosfera per una Terza intifada, in Cisgiordania e a Gerusalemme – e forse anche nelle terre del 1948, come abbiamo visto nel maggio 2021. Il motivo è che gli israeliani hanno e stanno continuando a indebolire l’Autorità palestinese, a imporre misure e punizioni sempre più arbitrarie al popolo palestinese e a cercare di alterare lo status quo di Al Aqsa a Gerusalemme".

Ritiene inoltre che Israele intensificherà i suoi attacchi all’Iran, ma che Hezbollah rimarrà la più grande minaccia alla sua sicurezza. Illaik prevede un rafforzamento delle misure di deterrenza dell’Asse della resistenza nel 2023: "L’Iran potrebbe rispondere alle operazioni di sabotaggio e di assassinio israeliane – all’interno di Israele - mentre Hezbollah continuerà il suo progetto di assicurarsi più missili a guida precisa, Uav e forse anche missili Cruise".

Il giornalista Zafar Mehdi prevede che l’attuale situazione di stallo nei colloqui sul nucleare iraniano con le potenze mondiali continuerà nel 2023, seguendo una sfilza di nuove recenti sanzioni da parte degli Stati occidentali, in seguito alle rivolte nel paese e alle accuse di spedizioni di droni alla Russia.

"Nonostante la disponibilità dell’Iran a ripristinare l’accordo di Vienna, è chiaro che le altre parti non sono interessate, il che ovviamente spingerà Tehran ad andare avanti con l’arricchimento dell’uranio quest’anno. Occorre attendersi altre affermazioni infondate contro l’Iran nei prossimi mesi, e che l’Onu aumenti la sua campagna di pressione contro Teheran seguendo il volere di americani, europei e israeliani", scrive Mehdi

Si aspetta anche che l’Arabia Saudita "esca allo scoperto sulla sua alleanza con Israele" quest’anno, "specialmente con Netanyahu, amico del principe ereditario Mohammad Bin Salman, di nuovo al potere a Tel Aviv". Ma Mehdi avverte che questo "non aiuterà Riad in Yemen, dato che gli Houti continuano a colpire le forze della coalizione a guida saudita e gli Stati uniti si stanno battendo per una tregua tra le parti in conflitto".

I colloqui tra Iran e Arabia Saudita, spesso in fase di stallo, "sono ora destinati ad avanzare a livello politico e diplomatico, il che potrebbe fornire la svolta necessaria per porre fine alla guerra yemenita nel 2023", in particolare nel contesto dei più stretti legami di Riad con Mosca e Pechino, entrambi desiderosi di ripristinare e mantenere la sicurezza del Golfo persico, ma all’interno di un nuovo paradigma regionale.

La guerra in Ucraina e il multipolarismo

Se si considerano solo i punti di vista sulla guerra in Ucraina, gli autori di The Cradle sembrano essere immuni dalla narrazione occidentale. Per loro, una vittoria russa è inevitabile per varie ragioni, ma a quale costo?

Ziad Hafez prevede la fine del devastante conflitto entro la fine della primavera, soprattutto perché le forze combattenti ucraine sono gravemente indebolite e gli alleati occidentali non hanno i mezzi per fornire un supporto militare qualitativo e quantitativo ininterrotto. "La base industriale statunitense non è semplicemente attrezzata e pronta a soddisfare questa richiesta", afferma senza mezzi termini. Insieme a questo, giocheranno "le pressioni russe su Putin per chiudere la faccenda ed evitare che diventi una guerra di logoramento".

Un’alternativa per la Nato, naturalmente, come osservano diversi autori, è quella di espandere il conflitto una volta che l’Ucraina stia chiaramente perdendo: "Trascinare i polacchi e gli eserciti dell’ex Patto di Varsavia".

Karin Kneissl, ministro degli Esteri austriaco fino al 2019, ha gli occhi puntati sulle ramificazioni energetiche di questa guerra e sull’impatto che avrà sulle istituzioni europee: "Nell’UE ci si aspettano ulteriori prove di forza, che vanno oltre il congelamento dei fondi nei confronti del primo ministro ungherese Viktor Orban. La corruzione è diffusa all’interno dell’UE e delle sue istituzioni".

"È prevedibile un massiccio indebolimento della moneta comune, l’euro. Questo renderà ancora più costose le già scarse importazioni di energia, soprattutto perché sono ancora regolate in dollari. Il peso sulla società nei vari paesi porteranno non solo a una perdita di potere d’acquisto e alla recessione, ma anche a disordini sociali che andranno oltre gli scioperi per l’aumento dei salari e le proteste per il clima in tutta Europa", avverte Kneissl.

Poiché la recessione globale pesa sui mercati delle materie prime e fa scendere i prezzi, l’esperta ritiene che "i produttori, come i 23 Paesi produttori del formato Opec+, ridurranno ulteriormente la loro produzione". Ma a causa della "mancanza di investimenti nelle energie fossili, ora intensificata di fronte ai timori di recessione, i prezzi potrebbero anche oscillare verso l’alto in qualsiasi momento". Il che si traduce sostanzialmente in una maggiore volatilità dei mercati energetici nel 2023.

Alla fine, però, Kneissl ritiene che "vedremo sorgere nuove banche, nuovi prestiti, nuovi panieri valutari e, senza dubbio, nuove compagnie assicurative" al posto di quelle esistenti.


Nota:
Questo si vede essenzialmente alla fine delle guerre mondiali: la riorganizzazione del vecchio ordine e la creazione di nuove istituzioni e reti globali – con nuove regole e nuovi timonieri.

L’editorialista di The Cradle Pepe Escobar, che da tempo prevede un passaggio globale al multipolarismo, nel 2023 potrebbe vedere spuntati tutti i punti della sua lista di previsioni. In breve egli prevede:

"L’espansione dei Brics a Brics+, con Algeria, Iran e Argentina nella prima ondata e decine di paesi a seguire. Questi paesi daranno la priorità al commercio nelle loro valute, portando a una valuta alternativa, che sarà condivisa dai Brics+, dall’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) e dall’Unione economica eurasiatica (Eaeu)".

Escobar prevede inoltre la corrosione delle principali istituzioni europee, compresa l’alleanza militare transatlantica: "Rispecchiando la polarizzazione interna che si sta verificando oggi in Occidente, sia l’Ue che la Nato si avvicineranno sempre più alla completa disgregazione".

La guerra in Ucraina, afferma, è uno dei principali fattori scatenanti di questo crollo, a causa della "completa umiliazione della Nato", e prevede che "se la guerra continuerà – e lo farà, in termini di guerra ibrida", probabilmente assisteremo ad "attacchi terroristici contro la Federazione russa".


Il problema del 2023

 Non sarà un anno facile, da nessuna parte. La costellazione di eventi del recente passato – le guerre in Siria, Yemen, Libia; l’obiettivo di Iran, Cina, Russia; la pandemia globale e le scelte securitarie che ne sono derivate; il riemergere del terrorismo salafita; la diffusa recessione economica; il fallimento della globalizzazione; la sostituzione del diritto internazionale con l’egoistico "ordine basato sull’assetto dominante" – hanno tutti contribuito al collasso dei sistemi esistenti.

Tuttavia, se in tempi di caos sono presenti attori efficienti e dotati di un progetto, il collasso non deve necessariamente essere una cosa spaventosa. È chiaro che i vecchi metodi non funzionavano; c’è quindi la possibilità di sistemare le cose dalle fondamenta. Ma il viaggio sarà doloroso.

In Asia occidentale, i giochi per il 2023 sono ancora per aria. Turchia, Iran, Russia, Cina, Arabia saudita, Algeria, India, Israele, Afghanistan, Pakistan, Brasile, Venezuela e molti altri Stati, istituzioni e decisori intraprenderanno iniziative significative quest’anno. Verranno fatte molte mosse, alcune con successo, altre no. È difficile prevedere tutto, ma niente sarà come prima quando entreremo nel 2024.

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