Ricostruire il puzzle Ucraina dai disastri neocon

Ricostruire il puzzle Ucraina dai disastri neocon

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È impossibile trovare articoli espliciti sulla follia neocon riguardo il conflitto ucraino  sui media mainstream. Al massimo si può rinvenire qualche accenno in controtendenza, rubato alla tragica censura di cui sono oggetto le informazioni relative al conflitto. Così l’articolo di William Moloney su The Hill del 3 novembre è stata un’imprevista sorpresa.

Forse un po’ troppo irenico nelle conclusioni, ma fondato nei contenuti, lo pubblichiamo integralmente anche come auspicio per quanto si spera possa accadere dopo le elezioni di Midterm.

Il crescente sentimento per i negoziati in Ucraina minaccia l’influenza neoconservatrice

Nel discorso d’addio più famoso fatto da un presidente degli Stati Uniti, dopo il primo, pronunciato da George Washington nel 1797, il presidente Dwight Eisenhower (1) nel 1961, avvertì i suoi connazionali: “Nei consigli governativi dobbiamo guardarci dall’influenza ingiustificata, ricercata o meno, del complesso militar-industriale. la possibilità di una disastrosa ascesa di un potere illegittimo esiste ed è destinata a restare”.

Poco conosciuto e ancor e meno compreso dai cittadini americani, oggi il complesso militar-industriale, incarnato essenzialmente nel movimento neoconservatore, ha acquisito “un’influenza ingiustificata” e ha realizzato quella “disastrosa ascesa di un potere illegittimo” contro il quale Eisenhower mise in guardia sei decenni fa.

Fondato negli anni ’70 da un mix eterogeneo di funzionari pubblici, sia civili che militari, e di imprenditori, in particolare del settore della difesa, oltre ad accademici delle Università d’élite, tutti comprensibilmente allarmati dalla relativa debolezza e passività della politica estera americana registrata nel corso dei mandati di Gerald Ford e Jimmy Carter, il volto pubblico del neoconservatorismo e la sua potenza di fuoco intellettuale è stata incarnata da figure del calibro di Leo StraussIrving Kristol ed Elliot Abrams, e ha sostenuto la necessità di una politica americana più energica in ogni angolo del mondo, laddove i nostri interessi fossero minacciati.

Le loro idee avrebbero trovato una significativa realizzazione nella muscolare era Reagan-Bush, che culminò nell’euforica vittoria della Guerra Fredda, che, paradossalmente, rappresentò il preludio di un lungo periodo di “supremazia” caratterizzata dall’arroganza e del relativo declino del potere americano nel mondo.


Ricostruire il puzzle dei disastri neocon

Un recente articolo di Jeffrey Sachs, “Ukraine is the Latest Neocon Disaster“, elenca le “wars of choice” statunitensi – Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), Siria (2011), Libia (2011) – delle quali i neoconservatori furono i principali architetti.

[Queste guerre] sono tutte finite male, lasciando in eredità caos e frustrazione, con conseguente devastazione del Medio Oriente. Sachs conclude lamentando il fatto che molti di questi individui sono tornati per replicare quell’esperienza nell’amministrazione Biden, realizzando una politica pericolosa sull’Ucraina, che potrebbe rivelarsi come la loro peggiore disavventura.

In un articolo correlato, “Washington’s Whoppers on the War in Ukraine“, Ted Galen Carpenter sostiene che gli Stati Uniti stanno “volando alla cieca” in uno spazio pericoloso nel quale incombe una minaccia nucleare perché né il governo né i media mainstream stanno riportando la realtà dei fatti sulla guerra ucraina.

In particolare, Carpenter smonta i miti paralleli dell’invasione russa “assolutamente non provocata” e dell’Ucraina come “modello di democrazia”. Egli osserva che la campagna statunitense che dura da 25 anni, guidata da importanti neoconservatori, volta a espandere la NATO fino ai confini della Russia è stata denunciata dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel e da molti analisti come una “inutile provocazione” destinata a finire male e che durante tutti quegli anni l’Ucraina era considerata un po’ da tutti come uno dei governi più corrotti del mondo.

Ulteriori tasselli di questo puzzle vengono collocati da un recente articolo di Douglas MacGregor, “Playing at War in Ukraine“, che esamina l’inusuale, ma molto discussa, proposta dell’ex generale e direttore della CIA David Petraeus, secondo il quale gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione l’intervento militare diretto in Ucraina – non sotto gli auspici della NATO, ma attraverso una “coalizione dei volenterosi” guidata dagli Stati Uniti.

Da questa intervista MacGregor deduce due cose: questo ballon d’essai non nasce da Petraeus, ma più probabilmente dall’interno del governo degli Stati Uniti; e, in secondo luogo, che l’Ucraina ha subito gravi perdite nelle sue recenti offensive, mentre attende l’offensiva invernale dalla Russia, un paese che ha 10 volte il suo PIL.


La convergenza che non può essere ignorata all’infinito

Oltre a dipingere uno scenario ucraino molto meno roseo [di quello raccontato dai media], [MacGregor] aggiunge che ciò che minaccia veramente l’influenza del movimento neoconservatore è il crescente sentimento per ricomprendere i negoziati nella strategia statunitense riguardo la guerra ucraina; una spinta che nasce da due ambiti che non possono essere ignorati all’infinito: gli elettori statunitensi e il Congresso.

Un recente sondaggio mostra che il 57% dei possibili elettori statunitensi sostiene che gli Usa devono aprire negoziati per porre fine alla guerra ucraina, anche se ciò dovesse significare fare concessioni alla Russia.

Questo approccio ricorda la strategia a doppio binario attuata dal presidente Kennedy per disinnescare la crisi dei missili cubani nel 1962, l’ultima occasione in cui Stati Uniti e Russia si trovarono sull’orlo di una guerra atomica. Allo stesso modo, la diplomazia fu un elemento essenziale della strategia del presidente Eisenhower per porre fine alla guerra della Corea nel 1953.

Questa strategia è indicata anche in una recente spinta che si è sviluppata in parallelo: da una parte la lettera del Progressive Caucus del partito democratico, inviata al presidente Biden, che sollecitava negoziati – sebbene il Caucus abbia poi ritirato la missiva -, dall’altra le parole del leader della minoranza alla Camera, il repubblicano della California Kevin McCarthy, il quale ha dichiarato che il partito repubblicano non avrebbe firmato un “assegno in bianco” per quanto riguarda i futuri aiuti all’Ucraina.

Il tempo della strategia pubblica e di quella, più pericolosa, segreta, dell’amministrazione Biden sull’Ucraina volge al termine.

1) https://www.youtube.com/watch?v=CWiIYW_fBfY

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