Sergio Mattarella, gli “insulti” russi e il Corriere della Sera rimasto al 1938

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Sergio Mattarella, gli “insulti” russi e il Corriere della Sera rimasto al 1938

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


«Chiunque osasse attentare ai diritti e agli interessi della Patria troverebbe in terra in mare e in cielo l'immediata risoluta fierissima risposta di un intero popolo in armi». Questo il sommario in coda al titolone di prima pagina del Corriere della Sera. Ohibò: la sciagurata Marija Zakharova, così improvvida da portare un «attacco violento di Mosca» nientemeno che alle sacre sentenze del capo dello stato italiano, ha trovato pane per i suoi denti, penseranno alcuni, prima di accorgersi che l'edizione dell'italico giornalone è quella del 31 marzo del 1938 e il titolo a cinque colonne sopra quel sommario recitava che «Mussolini precisa con romana potenza la grandiosa realtà dell'Italia guerriera».



Tanti decenni passati, ma lo spirito che aleggia in via Solferino è ancora quello con cui, qualche mese più tardi, in quello stesso 1938, il Corriere aprisse la prima pagina con un maschio «Guidato dal genio del duce il risorto Impero di Roma esce dall'anno cruciale protagonista della nuova storia del secolo». Per carità, il coro di “sdegno” e di “maschia risposta” alle “infamie” del Cremlino (più esattamente: piazza Smolenskaja, dove svetta uno dei “sette stalinskie”, che ospita il Ministero degli esteri russo) non è appannaggio del solo Corriere: c'è una gara, tra giornalacci e basse figure “politiche”, a chi assesti i colpi più acuti alla «Ludmilla Vobet Drago» moscovita. Ma, anche lo stomaco umano ha un limite di resistenza; dunque: che sia sufficiente la storica passione di via Solferino per gli osanna al capo di turno. Pazienza.

Qualcuno penserà: ma, a Mosca la tengono davvero così tanto in considerazione la politica italica, da perdersi a commentare le uscite “storico-politiche” europeiste – europeiste, nel senso che sono tutte in linea con la politica bellicista del duo von der Leyen-Kallas per il riarmo a spron battuto di un'Europa in crisi di sopravvivenza – del capo di uno stato da sempre al servizio dei comandanti di turno?

Beh, la risposta più semplice e spontanea sarebbe quella che, in riferimento a Mosca, si può tirar fango su tutto, si può insultare chiunque con qualsiasi epiteto, perché là hanno una pazienza a noi sconosciuta, ma è obbligatorio e sacrosanto fermarsi – e menomale che, nella Russia postsovietica e borghese, almeno questo è rimasto – di fronte al sacrificio dei milioni di morti dell'Esercito Rosso e allo sterminio di oltre 13 milioni di civili cui, ricordiamolo sempre, l'esercito mussoliniano prese parte attiva a fianco di quello hitleriano e di almeno un'altra ventina di paesi europei, tra truppe ufficiali e “volontari” filonazisti. Rientra forse in quella «risoluta fierissima risposta» di cui scriveva il Corriere ottantasette anni fa, ad esempio, l'istituzione, un paio d'anni fa, della cosiddetta "Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini", ennesima, parata di nazionalismo e di esaltazione delle italiche armi in terra sovietica? Si sono mai preoccupati, tutti quelli che ancora oggi inneggiano alla «romana potenza», di chiedersi cosa ne pensino, per l'appunto, nelle regioni di Voronež o di Rostov sul Don, di cosa avesse rappresentato ottant'anni fa l'occupazione italiana e in quanto di differenziasse da quella rumena, ungherese o tedesca?

Ma, di questo basta; perché sfogliare, oggi 15 febbraio 2025, le prime cinque o sei pagine del Corriere della Sera, oltre che un esercizio di robustezza di stomaco, rimanda a quella «grandiosa realtà dell'Italia guerriera», che prelude a nuovi colpi di maglio, portati su salari, pensioni, sanità, istruzione dagli eredi di quel criminale che parlava con la «maschia parola del condottiero» (Corriere), per dirottare centinaia di miliardi su armi e industrie di guerra, con la santa approvazione di liberalfascisti e europeisti di taglio atlantista. Si urla contro “lo straniero”, mentre si affilano le armi per colpire il “nemico interno”, quei milioni di operai, lavoratori, pensionati, che la guerra la ripudiano e che sono ridotti alla fame da tutti coloro, fascisti e loro finti oppositori, che non chiedono altro se non sempre più miliardi per la guerra. Non andavano forse in quella direzione, a ben vedere, le parole di Sergio Mattarella a Marsiglia? Più armi per rendere “l'Europa” più forte?

Dunque, per quanto penoso e ributtante, addirittura con “afflati” che rimandano alla stagione (per i più in là con l'età) della “pista bulgara” che, negli anni '80, tenne testa per mesi a ogni cronaca “politica” sull'attentato a papa Wojtyla (santo) del maggio 1981, anche oggi, per non essere da meno con quei cialtroni di quarant'anni fa, ecco che il Corriere punta il dito sulla Russia: «Forse non sapremo mai se c’è Mosca dietro la serie di attentati in Germania, in campagna elettorale, per mano di rifugiati in apparenza solitari». Ma, in ogni caso, per quanto riguarda Vladimir Putin, «l’unica certezza è che, comunque vada con Kiev, continuerà la sua guerra di destabilizzazione contro l’ordine europeo seguito alla guerra fredda. Continueranno gli attacchi ibridi, i cavi sottomarini tranciati, i ricatti con il gas, gli strani incendi, la propaganda in rete, le provocazioni violente: nel Baltico, nei Balcani, in Germania e altrove». “Ha stato Putin” überall in der Welt! Mentre la “povera” Ucraina e la “democratica” Europa hanno dovuto subire tutte quelle malefatte architettate da Mosca: la pioggia ibrida a Milano? «l'unica certezza» è che sia stata dirottata sull'Italia da Mosca. Putin dappertutto nel mondo!

Sembra di rivedere i titoli, con soggetto capovolto, di «dalle Alpi all'Oceano indiano un solo grido di fede e di passione», dopo il «folgorante annunzio del duce» sull'entrata in guerra dell'Italia»; ma, al di là della storia che i pennivendoli del Corriere vorrebbero far rivivere, ecco la nuda verità, annunciata gioiosamente dal Corriere: «pochi passi concreti. Il primo è l’aver sbloccato i vincoli sui bilanci della difesa»; quindi Ucraina, Albania e Moldavia «subito nell’Unione» e poi ancora l'imperativo per cui «Berlino, Parigi e Roma devono dar vita a consorzi industriali europei — modello Airbus — per la difesa antiaerea, ecc.». Questo è il nocciolo della questione; il resto sono chiacchiere: solo la guerra è la strada maestra; c'è chi la invoca senza nominarla – l'Europa «deve scegliere tra l’essere protetta e l’essere protagonista», Mattarella – e c'è chi non ha scrupoli a compiere passi concreti – le “aringhe baltiche e teutoniche” Kallas-von der Leyen - per armare quell'esercito europeo che consentirà a Bruxelles di portare le armi “europeiste” su tutti i continenti, laddove lo esigano le brame dei monopoli.

È di questo che si tratta: della guerra e della corsa ad armarsi a spese delle minime esigenze vitali delle masse. Il resto sono parole, come si diceva un tempo, pagate “un tanto al rigo” per arricchire i bellimbusti che un tempo “stigmatizzavano” da Mosca «le bugie del Cremlino» e oggi lo fanno da altrettanto ben remunerate poltrone europee, qualificando la convinta antistalinista (e per questo a noi invisa, per inciso) Marija Zakharova di essere il «megafono» di Sergej Lavrov, dato che «Mente al suo posto, bacchetta chiunque osi contraddirla, soprattutto costruisce le “realtà alternative” che Lavrov offre al mondo in nome e per conto del suo dante causa», cioè “l'autocrate” per eccellenza di tutti gli anni 2000, Vladimir Putin.

Dunque, lasciano il tempo che trovano le lacrime sulla «inaccettabile aggressione russa» ai danni di Mattarella che, dice il Corriere, ha «dalla sua la verità della storia»: si vorrebbe sapere di quale storia, scritta o riscritta da chi, con quali obiettivi e a pro di chi. A pro di quell'Europa che «ha saputo garantire decenni di pace e collaborazione tra le nazioni»? A pro di quei crimini, fatti passare per “guerre umanitarie”, come sono stati i bombardamenti su Belgrado e lo smembramento della Jugoslavia e che oggi, attraverso la narrazione fascista sulle “imprese” mussoliniane in Etiopia, Jugoslavia, Grecia, Spagna, rinfocolano l'odio tra i popoli?

Urlano, oggi, che «la guerra debba finire al più presto, ne hanno diritto soprattutto le città martoriate e un popolo stremato», oggi che sono più che chiare le prospettive prossime, mentre fino a ieri non invocavano altro che «la vittoria di Kiev» e la «sconfitta della Russia», chiedevano, facendo da megafono ai loro committenti fascisti, liberaleuropeisti e socialfascisti, sempre più soldi da destinare ai nazigolpisti di Kiev e sempre più armi e più micidiali per«colpire Mosca». Ipocriti; le cui figure portano i nomi di coloro che rappresentano «(quasi) tutta la politica e dalle istituzioni», (taciamo su “l'omaggio” tributato al capo dello stato da quel giullare di corte che, anticipando la “nuova storia”, 28 anni fa faceva liberare Auschwitz dagli yankee) dato che «Al fianco di Mattarella si schierano i presidenti di Senato e Camera (Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana), la premier Giorgia Meloni, il vicepremier Antonio Tajani, i leader dei partiti di opposizione (da Elly Schlein a Giuseppe Conte, da Nicola Fratoianni a Carlo Calenda). L’unico segretario che non si esprime è Matteo Salvini».

E proprio «la premier è netta nel ritenere che “gli insulti della portavoce del ministero degli Esteri russo offendono l’intera Nazione italiana, che il capo dello Stato rappresenta”». A noi. «Popolo italiano corri alle armi», oggi come ottantacinque anni fa, giacché ogni insulto si può sopportare, persino quello di aver taciuto, sin dal 2014, l'aggressione dei nazigolpisti di Kiev alla popolazione civile del Donbass, l'insulto di aver spinto gli eredi del filonazista Stepan Bandera al golpe armato del 2014 e di aver sostenuto la junta per tutti questi anni, l'insulto di aver sempre taciuto sulla strage di antifascisti perpetrata dai nazigolpisti a Odessa nel 2014, l'insulto di continuare a ignorare le condizioni in cui la junta ha ridotto il martoriato popolo ucraino, l'insulto di guardare altrove quando gli antifascisti ucraini denunciano gli assassini, le torture, le carcerazioni di chiunque si opponga ai golpisti. Ma non si possono sopportare, proclama l'erede di quella «grandiosa realtà dell'Italia guerriera», “gli insulti” a proposito dell'aggressione nazifascista all'Unione Sovietica nel 1941, che anzi viene sempre più apertamente presentata dai fascio-liberali come l'ennesima “epopea” delle armi italiche e che viene oggi capovolta da Mattarella nel sua parallelo tra Terzo Reich e Russia odierna.

Dunque, dopo la difesa a spada tratta del Capo, ecco “l'inno alla gioia” dei guerrafondai del Corriere: finalmente si può spendere ancora di più per le armi, perché «La novità più rilevante» del summit di Monaco «è l’apertura della Commissione europea sulle spese per la difesa» – loro la chiamano “difesa”: in linea con le “guerre umanitarie”, coi “bombardamenti necessari”, ecc. - «Dopo che da «mesi si sta discutendo se e come scorporare, in tutto o in parte, gli investimenti militari dai vincoli del patto di Stabilità. Ursula von der Leyen, si è presentata a Monaco con una «proposta»: applicare con più «flessibilità» le regole del Patto». Per le masse, tagli e tagli e tagli; tutto vada per la guerra e, per il giubilo del Corriere, l'Italia «è il Paese più interessato. Al momento le uscite per la difesa non vanno oltre l’1,5%, ancora lontano dall’obiettivo del 2% fissato dall’alleanza atlantica. Comprensibile, quindi, la soddisfazione del ministro degli Esteri, Antonio Tajani».

Tutto quadra: la linea dettata dal Capo è quella di un'Europa che «non può accontentarsi della prospettiva di un vassallaggio felice» all'ombra dello scudo USA-NATO, ma «deve scegliere tra l’essere protetta e l’essere protagonista»; insomma, un'Europa che deve armarsi sempre di più ed esser pronta alla guerra.

Tutto quadra: le aggressioni sono quelle degli altri; le nostre armi non possono che essere armi “umanitarie”, come si è dimostrato negli ultimi due-tre decenni in Jugoslavia, Afghanistan, Libia ecc.; gli altri sono gli eredi del Terzo Reich, mentre i “nostri” hanno sempre, per definizione, dalla loro parte «la verità della storia», che oggi rivive nella riscrittura su vent'anni di occupazione fascista in Slovenia e di stragi mussoliniane in Croazia... basta.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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