The world America made di R. Kagan

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The world America made di R. Kagan

di Alessandro Bianchi

The world American Made di Robert Kagan -  pubblicato da Alfred Knopf, New York 2012, 149 p. - permette al lettore di possedere gli elementi necessari per comprendere un tema d'estrema attualità: il futuro delle relazioni internazionale in relazione alle scelte "isolazioniste" dell'amministrazione Obama. 
Con uno stile narrativo efficace, ma ricco di riferimenti storici confusi e poco legati con il resto della trattazione, Kagan sfida apertamente la teoria liberale internazionale di John Ikenberry e Joseph Nye, secondo la quale le istituzioni multilaterali del Washington Consensus sarebbero sopravvissute anche con il progressivo ritiro della potenza americana. L'autore del celebre “Paradiso e Potere” cerca, allo stesso tempo, di contraddire quanto scritto dai massimi teorici della materia - E. H. Carr, a Hans Morgenthau, fino a Kenneth Waltz – a proposito dell'impossibilita di un unico attore di controllare il sistema internazionale e la teoria 
Il leit motiv del libro di Kagan è chiaro: il mondo sarebbe stato un posto molto diverso e peggiore senza la presenza egemone degli Stati Uniti: la capacità di Washington di mantenere relazioni strategiche in Europa (Nato, Piano Marshall) ed Asia nei 60 anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale – la “golden age” -  ha permesso a milioni di persone di uscire dalla povertà ed ottenere la capacita di autodeterminarsi. Ma la sopravvivenza del Washington Consensus non è un fenomeno inevitabile, perché l'ordine internazionale non “è un'evoluzione, ma un'imposizione e rappresenta il dominio di una visione su un'altra. Il sistema globale non sopravvive solo perché è più giusto”. 
Per spiegare la sua tesi, Kagan prende a riferimento alcuni riferimenti storici ricorrenti: il 1848 –  quando libertà e democrazia non si sono imposte nonostante il sommovimento popolare, in quanto non sostenuto dalle grandi potenze di allora – la definizione dello storico Brye del 1920 - che parlava di democrazia come di un trend naturale per “la legge naturale del progresso sociale” - e soprattutto ripete più volte nel corso della trattazione il fenomeno della “reverse wave” degli anni '30, nella definizione utilizzata da Samuel Huntington, quando i regimi autoritari si imposero alle democrazie perché si mostravano più adatti ad uscire dalla crisi del 1929. Non si tratta di inevitabilità, per Kagan, ma il successo delle istituzioni multilaterali liberali e democratiche dalla fine della seconda guerra mondiale è dipeso unicamente dal ruolo degli Stati Uniti d'America. 
Molti analisti, tra cui Nye ed Ikenberry, descrivono il momento attuale, anche ribattezzato come il “post american World”, prendendo a riferimento un periodo di relativa pace e stabilità nella storia delle relazioni internazionali -  il sistema dei Congressi sorto in Europa nel 1800 dopo la sconfitta di Napoleone. Al contrario, Kagan ritiene che le grandi potenze oggi agiscano in un modo prudente, solo perché le loro ambizioni sono controllate da un sistema dominato dagli Stati Uniti, che impedisce il realizzarsi delle loro mire espansionistiche. Con la ritirata americana, il prossimo sistema sarà difficilmente plasmato dalle democrazie – data la debolezza internazionale dell'Unione Europea, Brasile ed India – ma più probabilmente dalle grandi potenze autocratiche. A sostegno della sua argomentazione, Kagan cita la nuova politica estera assertiva ed espansiva di Pechino nel mar cinese meridionale ed il tentativo del presidente russo Vladimir Putin di unire nuovamente gli ex stati dell'Urss sotto l'egemonia del Cremlino. A differenza del Concerto dei Congressi europeo di metternichiana memoria, il sistema internazionale di oggi non è caratterizzato da un bilanciamento di interessi o da una visione di valori condivisi. 
Kagan conclude in modo ottimista sulla conservazione del Washington Consensus, non per la convergenza di idee e valori, considerata un'illusione idealistica, ma per la capacità militare degli Stati Uniti, non avvicinabile neanche dalla prima potenza economica in auge, Pechino.  Qualora tuttavia, Washington non dovesse riuscire a risolvere la sua crisi economica ed il suo declino dovesse divenire irrimediabile, Kagan è categorico nel ribadire come le regole dalla seconda guerra mondiale verranno rivoluzionate ed i stati autoritari poterebbero determinare una nuova “reverse wave”. 
Con spunti riflessivi interessanti ed uno stile in grado di coinvolgere il lettore, The World America Made resta però poco convincente nelle tesi espresse e non offre una risposta adeguata alla questione fondamentale sviluppata e a cui il testo non è in grado di rispondere: quanto potere militare gli Stati Uniti devono mantenere per conservare il loro ruolo di leadership globale in alleanza con le altre democrazie o di quanto soft power - per utilizzare la definizione di Joseph Nye – sia necessario, insieme con l'hard power militare,  per potere mantenere un sistema stabile in cui prosperità e pace siano gli obiettivi di fondo di lungo periodo di tutti i principali attori internazionali.

Per un approfondimento del tema, si consigliano le seguenti letture:
 

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