Nuovo report FMI sulla Grecia mostra il futuro... dell'Italia

09 Giugno 2021 13:00 Antonio Di Siena

La Grecia torna a mostrarci il futuro.
È stata pubblicata la prima bozza del nuovo report del Fondo Monetario Internazionale sulla sostenibilità del debito greco (https://www.imf.org/.../mcs060221greece-staff-concluding...). Un rapporto molto interessante perché - al netto dei proclami della propaganda - svela la direzione intrapresa dalle politiche economiche dell'Unione europea.
Una questione che non riguarda soltanto i greci, ma più in generale l'intera Europa meridionale. Italia compresa.
Secondo FMI l'economia greca crescerà meno delle previsioni, intorno al 3,3%. Meno della metà di quanto ha perso in un anno di pandemia (- 8,2%). Una perdita, comunque, ritenuta migliore del previsto data “l'elevata dipendenza della Grecia dal turismo”. Già questa affermazione da sola dovrebbe essere sufficiente per spiegare che i sistemi principalmente basati sul terziario (turismo, gastronomia, ospitalità) sono molto più esposti a rischi rispetto a quelli legati alla produzione agricola e manifatturiera.
Ma quello che preoccupa di più è il futuro a lungo termine.
Secondo il Fondo, infatti, la Grecia tornerà presto a indebitarsi a interessi più alti, dando quindi per scontato che le politiche della BCE che stanno tenendo bassi i tassi siano prossime a cessare. E così, come se nell'ultimo decennio non fosse successo niente, arrivano puntuali le “raccomandazioni” sul che fare dopo. Investire? Nemmeno per sogno. Al contrario serve ridurre pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici e - ciliegina sulla torta - una nuova l'imposta sul reddito per le fasce più basse e aumento dell'IVA. Altro che boom economico come nel Regno Unito, cambio di passo e “next generation”, nell'Europa continentale la ricetta è sempre quella: tagliare, tagliare, tagliare.
Se ripresa economica ci sarà, il merito sarà solo de Leuropa. Ovviamente a condizione che venga data (guarda un po') “piena attuazione” al programma Recovery Fund. FMI, infatti, “consiglia” di tenere sotto controllo il debito pubblico attraverso il “graduale ritorno agli avanzi primari”, politica da preferire ad ulteriori misure di stimolo. Che tradotto significa altra austerità. Occultata con termini sibillini quali “sinergie”, “economie di scala delle società più grandi”, “crescente orientamento all'esportazione” “crescita della produttività”. Insomma la solita vecchia agenda: privatizzazioni, accentramento di capitali, compressione della domanda interna, precarizzazione e svalutazione del lavoro.
Risorse europee che serviranno per guidare la transizione della Grecia verso un modello “ricco di occupazione, più equo e più verde”. Sembra una supercazzola già sentita. E infatti lo è. Perché questo nuovo Eldorado va raggiunto spostando i sostegni “dal mantenimento del posto di lavoro al reddito”, coltivando “la flessibilità del lavoro”, limitando “l'adeguamento del salario minimo” e agevolando la riduzione delle aliquote alle imprese che, in questo modo, possono orientarsi verso la “crescita inclusiva”. Che significa un mercato del lavoro sempre più precario, sottopagato e privo di tutele, in grado di sfruttare al meglio la disoccupazione dilagante e i lavoratori immigranti. Disperati molto più facili da ridurre in schiavitù per il bene del mercato.
Osservare da vicino lo scenario greco, quindi, si dimostra sempre molto importante. Non solo perché il violentissimo esperimento Grecia è stato il primo sulla strada della costruzione europea. Ma perché, ancora una volta, offre uno sguardo privilegiato sulle strategie d'insieme pianificate dalla finanza globale, mostrando il vero volto dell'Europa solidale. Un Moloch che con le sue assurde regole impedisce agli Stati di finanziare la ripresa in autonomia. Obbligandoli a incassare prestiti usurari utili a proseguire il commissariamento politico dei Paesi membri e disciplinare ulteriormente al ribasso il mercato del lavoro, piegando così il volere dei popoli agli interessi delle élite europeiste.
Ieri erano i prestiti di “salvataggio” oggi è il Recovery fund, ma quello dei “memorandum” non è stato un caso isolato. Quanto piuttosto un metodo di governo da esportare in tutti i paesi meridionali dell'Ue. Oggi si è rifatto il trucco e ha cambiato nome, ma la storia è sempre la stessa. E, credetemi, non finisce affatto bene.
Per chi ancora non la conoscesse, ho provato a raccontarla in "Memorandum: una moderna tragedia greca" (LAD Edizioni) in vendita in libreria e nei negozi online.

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