Il Negazionismo Sionista


«Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi come i nazisti»
[Norman G. Finkelstein, intellettuale ebreo i cui genitori furono vittime dell’Olocausto]



di Stefania Russo


“Una terra senza un popolo per un popolo senza terra”. Queste poche e semplici parole, citate nel 1901 da Israel Zangwill, uno dei fondatori del sionismo, racchiudono l’essenza di questa ideologia e il suo fine ultimo.

La terra senza un popolo era la Palestina, in cui si negava esistesse una popolazione nativa arabo-palestinese che la abitava. E il popolo senza terra sarebbe stato quello ebreo che lì, in quella terra senza un popolo, avrebbe fondato lo Stato ebraico. Anche oggi, nello Stato d’Israele moderno e democratico, i nativi vengono comunemente chiamati arabi e non palestinesi. Persino nel linguaggio si mantiene vivo il carattere negazionista e razzista della ideologia sionista.

La negazione dell’esistenza di un popolo, quello palestinese, e del diritto naturale di appartenenza alla sua terra, ha reso necessaria la pulizia etnica della Palestina. Lo storico israeliano, ex sionista, Ilan Pappe, accedendo anche agli archivi militari israeliani desecretati, documenta in modo puntuale questo piano ideato già negli anni Trenta dalla leadership del futuro Stato d’Israele, sotto la direzione di Ben Gurion.

Il negazionismo e la “necessaria” pulizia etnica della Palestina sono la chiave di lettura di tutte le mostruosità perpetrate da più di settanta anni dall’entità sionista ai danni della popolazione palestinese e della sua terra.

E sembra che questi due paradigmi, dai tempi di Israel Zangwill ad oggi, abbiano prodotto ottimi risultati allo Stato d’Israele. Massicce espulsioni forzose fino a più di un milione di palestinesi; periodici e costanti piccoli, medi e grandi massacri, perché no, anche con l’aiuto del fosforo bianco e dell’uranio impoverito; migliaia di morti, feriti e mutilati; arresti indiscriminati; torture su uomini, donne e minori; umiliazioni e vessazioni; maltrattamenti; usurpazioni quotidiane di terra, acqua e abitazioni; un Muro da fare invidia al vecchio muro di Berlino.

Su chiunque non voglia assistere passivamente alla soluzione finale della questione palestinese scatta d’ufficio l’epiteto di antisemita. Persino quest’onta è negazionista, dal momento che semiti sono anche i popoli arabi, ma la cultura sionista non li contempla, non li riconosce, li nega. Non si fanno eccezioni neppure se a denunciare le aberrazioni israeliane sono ebrei sopravvissuti all’Olocausto. Anche questi sono antisemiti.

Questi macabri paradossi e la criminale attuazione del progetto sionista ad opera dello Stato d’Israele non sarebbero stati possibili senza il sostegno dell’Occidente ricco, evoluto e democratico. Quello stesso nel cui seno è sorto il nazionalsocialismo che ha perseguitato, ucciso e cremato nei forni più di sei milioni non solo di ebrei, ma di omossessuali; comunisti, anarchici e combattenti di qualunque provenienza politica, contrari al regime nazista e fascista; malati di mente; portatori di handicap; rom, sinti; minoranze etniche; o semplicemente di uomini, donne e bambini travolti dalla furia nazista.

Oggi lo Stato d’Israele con la sua pulizia etnica, il suo negazionismo e razzismo è riuscito a sottrarre ai palestinesi più del 90% della loro terra. Più della metà del popolo palestinese è stato spazzato via dalle sue case, villaggi, città e vive lontano dalla Palestina o stipato in campi profughi tra Libano, Giordania, Siria. Sulle carte geografiche troviamo indicato solo Israele, la Palestina non è pervenuta.

Ma tutta questa insostenibile violenza, sopraffazione e viltà non riesce comunque a cancellare la incontrovertibile evidenza che la Palestina esiste, che i palestinesi esistono e resistono, e rimarranno i padri e i figli di questa terra.

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