"13mila morti nel carcere di Saydnaya". Tutto quello che non torna del rapporto-propaganda di Amnesty contro la Siria

"13mila morti nel carcere di Saydnaya". Tutto quello che non torna del rapporto-propaganda di Amnesty contro la Siria

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La prigione di Saydnaya è il posto in cui lo stato siriano massacra silenziosamente il proprio popolo.” Comincia così - svaporate le sue ultime bufale - l’ennesima, gigantesca, campagna mediatica di Amnesty International contro la Siria. Questa volta, imperniata sul carcere di Saydnaya: il “mattatoio del popolo siriano”.


 

Intanto, prima di soffermarci su questa campagna mediatica, una premessa. Non sono certo da escludere – anzi, sono da ritenersi estremamente probabili – atrocità all’interno delle carceri di una Siria aggredita da una guerra che ha già provocato 250.000 morti. Atrocità che dovrebbero essere comunque denunciate anche se colpissero soltanto jihadisti e tagliagole incarcerati in quanto colpevoli (o solo accusati) di crimini abominevoli. Ma è questo che oggi fa Amnesty International? Si direbbe di no. E (al di là di qualche articolo di circostanza) continuando a concentrare le sue campagne mediatiche solo contro i presunti crimini del “tiranno di turno” (Milosevic, Saddam, Gheddafi, Assad…) Amnesty - come oggi evidenzia un suo prestigioso ex sostenitore, Tim Hayward - diventa il megafono dei Signori della Guerra Umanitaria.


E per meglio svolgere questo ruolo, Amnesty International (anche utilizzando struggenti cartoni animati e realtà virtuale) ha oggi trasformato Saydnaya - una delle tante, efferate, carceri di guerra - in una sorta di campo di sterminio per gli “inermi oppositori del regime di Assad”. Il tutto supportato da un corposo Report zeppo di talmente tante incongruenze che quasi ci sarebbe da domandarsi se i tanti “giornalisti” che lo hanno preso per Vangelo (magari infiocchettandolo con clamorose falsità) se lo siano mai letto.


Ma quali sono le fonti sulle quali si basa il Report?


Sarebbero (oltre ad alcuni ex detenuti di Saydnaya) funzionari e guardie della prigione rifugiati in Turchia, Giordania, Europa, Stati Uniti... Ovviamente, tutti anonimi “per garantire l’incolumità loro e delle loro famiglie”. Si, ma è credibile che il “regime di Assad” non conosca già, da tempo, la loro identità? La stessa legittima domanda postasi per un altro “illustre” disertore: quel “Caesar”, sedicente funzionario della Polizia militare siriana che – secondo Amnesty - avrebbe fotografato migliaia di prigionieri delle carceri siriane dopo la loro esecuzione, e che resta ancora senza nome nonostante lui e la sua famiglia vivano da cinque anni all’estero.


Tutt’altra credibilità Nizar Nayouf (un indomito e onesto oppositore del governo di Assad che lo aveva imprigionato proprio a Saydnaya e che da tempo vive in Europa) il quale, interpellato in questi giorni, si è sentito in dovere di ridimensionare nettamente il quadro di atrocità delineato dal Report di Amnesty (qui la sua testimonianza). E, sempre a proposito di credibilità, appare davvero strano che nessuno dei disertori “intervistati” da Amnesty e che avrebbero lavorato per anni a Saydnaya abbia scattato lì (ad esempio, con l’immancabile smartphone) una qualche foto che avrebbe potuto supportare la sua testimonianza.


E - a proposito di foto - se si analizzano le innumerevoli “foto scattate da Caesar” si noterà che in nessuna di queste (ad eccezione di una nel quale il soggetto risulta essere stato verosimilmente strangolato con una cinghia di plastica) si evidenziano le inequivocabili tracce dell’impiccagione. Una circostanza questa che rende ancora meno credibile l’affermazione di Amnesty secondo la quale, dal 2011, circa 13.000 persone sono state impiccate a Saydnaya. E a rendere poi davvero intrigante il parallelo tra la bufala delle “foto di Caesar” e il Report su Saydnaya c’ è un certificato di morte (pag. 39) nel quale, così come i cartellini mortuari delle “foto di Caesar”, i dati salienti del morto (per proteggere la sua incolumità?) sono celati.


Ancora più sorprendenti sono poi altri punti del Report (già segnalati da questo sito). Ad esempio le foto satellitari di nuove aree cimiteriali che, a detta di Amnesty custodirebbero le salme dei 13.000 impiccati a Saydnaya (e non già le migliaia di civili uccisi dalla guerra). Alcune di queste aree riguardano poi (si veda pagg. 29/30 del Report) l’allargamento del “Cimitero dei Martiri”, un cimitero monumentale a sud di Damasco. Strano davvero che il “regime di Assad” vada a seppellire proprio lì i prigionieri impiccati a Saydnaya.


Ci sarebbe poi la questione delle esecuzioni, presentate da Amnesty come “esecuzioni extragiudiziali” salvo poi riportare l’esistenza di un tribunale militare (certamente, meno sensibile al diritto alla difesa di quelli operanti, ad esempio, in Italia) che le comminava. Il tutto costellato da una precisazione sbalorditiva e cioè che le sentenze di morte, per essere eseguite, dovevano essere inviate al Gran Muftì di Siria, al Ministro della Difesa e al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, incaricati di far firmare al presidente siriano Bashar al-Assad, che specificava la data di esecuzione. Una inequivocabile bufala considerando che il Gran Mufti – lo sceicco sunnita Ahmad Badreddin Hassoun, tra l’altro uno studioso moderato e molto stimato (si veda, ad esempio questa intervista su un giornale italiano non certo pro-Assad) – non ha nessun ruolo nei procedimenti legali militari o criminali in una Siria che – piaccia o meno ad Amnesty – resta uno stato laico. E che, per di più, in questi cinque anni di guerra, ha decretato ben quattro amministie .


Ma il peggio di sé Amnesty lo da’ riportando dichiarazioni come questa:


La stanza dell’impiccagione a Saydnaya è stata ampliata dopo il giugno 2012, così da poter uccidere più persone in una sola volta. I cappi sono allineati al muro. Le vittime restano sempre bendate e non sanno che stanno per morire. Viene poi chiesto loro di presentare le proprie impronte digitali per documentare la loro morte. Infine, sono portati, ancora bendati, su piattaforme di cemento e impiccati. Non sanno come o quando l’esecuzione avverrà fino a che non si ritrovano con il cappio intorno al collo. I detenuti dei piani superiori hanno raccontato di aver sentito il rumore delle impiccagioni.


o questa:


Se appoggiavi un orecchio al pavimento, potevi sentire un suono simile a un gorgoglio. Durava circa 10 minuti. Dormivamo sopra alle persone che soffocavano a morte. Alla fine, era diventata una cosa normale


o questa:


Li lasciavano appesi per 10, 15 minuti. Alcuni non morivano perché troppo leggeri, soprattutto i più giovani pesavano troppo poco per morire. Allora gli assistenti li tiravano giù fino a quando non gli si spezzava il collo”, ha raccontato un ex giudice che ha assistito alle impiccagioni.

 

Sulle altre innumerevoli incongruenze del Report varrà la pena di ritornarci. Anche perché – come evidenzia qui Syriana Analysis - questa nuova gigantesca campagna mediatica di Amnesty International - rinfocolando gli odi e impedendo una qualsiasi soluzione negoziale - sta diventando una sorta di appello per una ancora più feroce guerra alla Siria. Intanto, il governo di Damasco – tramite il suo ministro della Giustizia - ha smentito l’attendibilità del rapporto di Amnesty International su Saydnaya. Ovviamente, nessun media mainstream ha riportato questa notizia.

 

Francesco Santoianni

 

 

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