Caesar evergreen: “La macchina della morte” o della "menzogna di massa" sulla Siria?
“Tu dammi le fotografie e io ti darò la guerra”: l’editore William Hearst al suo fotografo Frederick Remington che, nel 1898, non trovava a Cuba nessuna scena che giustificasse una invasione USA.
di Francesco Santoianni
“Si spengono le luci. Sulle note composte da Itzhak Perlman per il film Schindler's List, sfilano sullo schermo le fotografie (…) Ammutoliti, i ministri lasciano la stanza con un'espressione grave e turbata stampata in volto. John Kerry è pallido come un cencio. A pranzo toccano a malapena il cibo. Laurent Fabius confiderà ai propri collaboratori: «È spaventoso, abominevole. Ci vorrà molto lavoro, ma va fatto ogni sforzo per scoprire la verità riguardo a documenti così importanti>>”.
Comincia con questa improbabile scena il tentativo di Garance Le Caisne – autrice del libro “La macchina della morte”, sbarcato nelle librerie italiane – di riesumare la credibilità di “Caesar” - sedicente “fotografo della polizia siriana”- e delle sue “55.000 foto di prigionieri uccisi dal regime di Assad”. Credibilità già messa in dubbio da l’Antidiplomatico e, soprattutto, dal sito Sibialiria (vedi qui e qui).
Credibilità che ora Garance Le Caisne e i suoi sponsor tentano di recuperare con un libro grondante di incredibili episodi - come (pag. 68) cadaveri di prigionieri trasportati in camionette da Homs a Damasco “certamente per mostrare ai capi dei reparti di sicurezza che quegli uomini erano stati arrestati e uccisi” - incalzanti colpi di scena - “Una storia degna di un romanzo di spionaggio” annuncia Le Figaro in quarta di copertina - e “precisazioni” su quanto finora già detto da “Caesar” che finiscono per essere una toppa peggio del buco.
Ad esempio, alla domanda perché mai la Polizia militare di Assad avrebbe dovuto trasportare in un ospedale militare i prigionieri, ammazzarli, fotografarli e realizzare così questa macabra collezione, Caesar (nel Report “into the credibility of certain evidence with regard to Torture and Execution of Persons Incarcerated by the current Syrian regime”) rispondeva così: “(...) era permettere un certificato di morte da prodursi senza che le famiglie necessitassero di vedere il corpo, evitando così alle autorità di dover dare un resoconto veritiero della loro morte.” Ma per quale assurdo motivo le autorità avrebbero dovuto esibire un certificato di morte (“per problemi cardiaci e attacchi respiratori”) alle famiglie degli oppositori scomparsi nelle carceri siriane? Per spingerle ad avere indietro il corpo del loro caro e constatare così i segni delle torture? E poi, quale regime conserverebbe una documentazione così dettagliata sui propri crimini?.
Ovvie considerazioni che hanno spinto “Caesar” (e quindi Garance Le Caisne, pag. 130) ad archiviare la storia dei “certificati di morte” e delle “famiglie da informare” e abbandonarsi a strampalate precisazioni: “Per quale ragione il regime classifica e conserva tutte quelle foto? Ma io sono un uomo semplice, non un politico: vi darò una risposta semplice. I servizi di sicurezza dell’Intelligence (siriana) non sono coordinati direttamente dal regime. Ciascuno di questi dipartimenti non sa cosa fanno gli altri (…) Il regime documenta ogni cosa per non dimenticare nulla. Perché allora non documentare quelle morti? (…) Ci siamo limitati a seguire la solita routine, senza che il regime sospettasse neanche lontanamente che un giorno tutto questo gli si sarebbe rivoltato contro.(…) A volte mi domando se i responsabili dei servizi di sicurezza non siano in realtà più stupidi di quanto si pensi.”
Sono innumerevoli le incongruenze, come queste, che affollano il libro; limitiamoci qui a segnalarne solo un’altra e che riguarda le famose foto. Come mai su internet il presunto archivio di Caesar non viene messo a disposizione dei tanti che in Siria sono nella trepida ricerca dei loro cari? Garance Le Caisne assicura (pag. 36) dell’esistenza di “migliaia di foto che oggi possiamo consultare su internet”. Così non è. E anche in siti che avrebbero dovuto essere deputati a questo scopo - come il celebratissimo Syrian Human Rights Committee (SHRC - le uniche foto presenti - al più, qualche decina – sono sempre le stesse. E con una attendibilità pari a quelle di Timisoara: foto, scattate, verosimilmente, in qualche edificio (ad esempio, questa scuola) occupato da miliziani e che, in alcuni casi, porta ancora i segni di una battaglia (si veda, ad esempio, qui o qui); foto, addirittura, nelle quali - per inspiegabili “motivi di sicurezza e privacy” - il volto delle vittime è celato da un rettangolo nero o da pixel. A volte, invece, la foto del soggetto vivo (di cui ci viene fornito il nominativo e l’assicurazione che si trattava di un inerme oppositore di Assad) viene affiancata a quella della sua presunta morte. Ma, anche in questi casi, le sorprese non mancano. Come nelle presunte foto di Ayham Ghazzoul, Oqba al-Mashaan e Mohammed Tariq Majid nelle quali la barba del soggetto che sarebbe stato ucciso è esattamente identica – curata, presumibilmente, con un rasoio elettrico – a quella del soggetto vivo. Un dettaglio questo che, insieme alla mancanza di evidenti tracce, sembrerebbe inficiare l’ipotesi di una esecuzione dopo una presumibilmente lunga detenzione.
Ma Garance Le Caisne, scrive (pag. 207) che l’attendibilità di queste foto sarebbe stata attestata dall’FBI “...l’FBI finirà per annunciare ufficialmente che le foto del dossier sono autentiche. In un rapporto di cinque pagine consegnato al Dipartimento di Stato nel giugno 2015 e di cui il sito Yahoo News è riuscito ad ottenere una copia, l’FBI dichiara che le foto in esame non sono state manipolate…. Bensì ritraggono eventi e persone reali. Una bella patata bollente.” In realtà, questo ormai celebre rapporto dell’FBI, al pari dell’Araba Fenice, è introvabile. Yahoo, che lo avrebbe, più o meno, trafugato, non lo ha mai pubblicato e così l’FBI e il Dipartimento di Stato.
Intendiamoci, per la maggior parte delle “foto di Caesar”, sono certamente condivisibili le conclusioni di questo presunto Rapporto: “... ritraggono eventi e persone reali“ anche se sarebbe stato più interessante sapere chi sono le vittime e in che contesto sono state fotografate. Ma occupiamoci di un’altra questione: perché Garance Le Caisne considera questo Rapporto una “patata bollente”?
Per saperlo bisogna soffermarsi sul davvero penoso capitolo – la “congiura” ordita dal Congresso USA dopo l’audizione di Caesar – che conclude questo incredibile libro; una cinica macchinazione dettata dall’impossibilità di Obama a bombardare la Siria e da non meno precisate canagliate diplomatiche. Il regista di questo ennesimo tradimento dell’Occidente verso i valori della Democrazia e della Libertà? Stephen Rapp, ambasciatore americano incaricato alla Giustizia internazionale. Che così dichiara (pag. 206) all’autrice del libro: “Quando abbiamo lanciato il progetto di riconoscimento facciale ero convinto che avremmo riscontrato un centinaio di corrispondenze. Nelle nostre banche dati abbiamo milioni di foto ma alla fine ci siamo ritrovati con meno di dieci corrispondenze.” Ma il peggio Garance Le Caisne lo rivela più avanti: “Di passaggio a Londra nel marzo 2015, Rapp apre il computer e ci mostra due foto di uomini che in effetti presentano una strana somiglianza: uno è morto in un centro di detenzione siriano, l’altro è vivo e vegeto su una carta di identità. Rapp continua: <Non siamo sicuri al 100% che si tratti della stessa persona. Dovremmo fare delle indagini supplementari
In realtà, il battage pubblicitario – organizzato soprattutto dalla Francia - che aveva accompagnato “Caesar” nella sua audizione al Congresso USA, si è rivelato un boomerang. E sono stati non pochi a mettere in dubbio, non solo la credibilità, ma la stessa identità di “Caesar” che ci si ostina a mantenere celata. E questo nonostante egli viva con la sua famiglia da tre anni in Occidente e il suo nominativo ormai noto al governo di Damasco (certamente aiutato in ciò dal suddetto Report che specificava: “Caesar ha lavorato come fotografo per 13 anni nella Polizia militare siriana”).
Questo fallimento dell’operazione mediatica ha impedito al “caso Caesar” di approdare alla Corte Penale Internazionale. La Francia, quindi, si è consolata, nell’ottobre 2015, facendo incriminare Assad dalla Procura di Parigi proprio sulle “prove” prodotte dal duo Caesar - Garance Le Caisne.
Certamente, gioverà alla vendita del libro.
nella foto Garance le Caisne