Coronavirus, Milano come al tempo della peste

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Coronavirus, Milano come al tempo della peste



di Leo Essen - Contropiano
 

Le scuole sono chiuse da Lunedì, e lo rimarranno fino a domenica, o fino a nuovo ordine. L’ordine è arrivato da una direttiva emanata congiuntamente dal ministro e dal Presidente (Governatore!) della regione, ma è diventata effettiva quando il Preside (Dirigente Scolastico!) ha diramato, a mezzo registro elettronico, una circolare attuativa. A sbarrare le porte sono stati i Bidelli (Collaboratori scolastici!).


Adesso siamo qui, gli alunni giocano con la Nintendo Switch, i nonni si avventurano fino all’Esselunga di piazzale Lodi, fuori le mura, per fare incetta di fagioli e tonno in scatola, manco fossimo in Baudolino di Umberto Eco, durante l’assedio di Alessandria. Le cassiere dell’Esselunga, con guanti di gomma blu, ma senza mascherina (ma serve a qualcosa?) sperano di murare gli starnuti degli anziani e di quei pochi lavoratori esentati dal servizio – esentati fino a nuovo ordine.


Abbiamo fretta di tornare a casa con le nostre buste piene di latte, pasta, pomodoro, merendine, uova fresche e flaconi di alcol denaturato, perché l’amuchina è finita, e su ebay ha superato le quotazione dell’oro; abbiamo fretta di sistemare la spesa nel frigo e tornare al divano, con le bacche di goji al posto dei popcorn, a seguire il festival degli appestati di Codogno, spiegato da showman e professori a contratto, che dicono tutto e il contrario di tutto.


Ma tanto basta per tenerci in stato di ipnosi sul divano. Perlomeno finché durano le merendine mulino bianco.


Giungono notizie di assemblee spontanee di lavoratori che chiedono di essere esentati dal servizio. Anche loro sono a contatto con il pubblico, anche loro sono esposti, anche loro hanno figli. L’idea è di stare tutti a casa finché passi la nottata, di stare al caldo, con una scorta di serie tv e di salmone congelato, sintonizzati h24 su La7 e Rete 4, con la mappa del COVID-19 Global Cases della Johns Hopkins stampata sul tablet, e le notizie Ansa sullo smartphone.


L’idea è di stare al sicuro nel proprio fortino, senza pensare alle cassiere dell’Esselunga con i guantini blu e senza mascherine, sfiancate da turni frammentati, l’alito sul collo dei capireparto, debilitate e sotto attacco; senza pensare ai lavoratori che si alzano la mattina per far trovare negli scaffali dei negozi il pane fresco, il latte fresco, il giornale, la luce elettrica, l’acqua potabile, il segnale radio dei telefonini, il cristallo e il silicio degli schermi. Anche questi lavoratori attraversano luoghi affollati, prendono il pullman e la metropolitana, anche loro dovrebbero stare a casa.


Per adesso ci si muove in ordine sparso, e quando si decide di programmare qualcosa si scopre che se si tengono a casa i Bidelli, poi è difficile per i Presidi entrare nelle scuole per emanare le circolari; che se si tengono a casa le cassiere dell’Esselunga, poi è difficile tenere sui divani gli impiegati dell’INPS; che se si tengono a casa gli autisti dell’autobus e i dipendenti dell’Enel, poi sarà difficile per i professoroni e i giornalisti raggiungere gli studi e intimarci di stare a distanza di sicurezza mentre loro sbraitano e si sputano in faccia come se fossero in una bolla, separati dalle miserie umane.


Il lavoro di ogni persona è collegato funzionalmente e geograficamente a quello di tutti gli altri. Si chiama divisione del lavoro, ognuno fa un pezzettino, e tutti insieme collaborano alla realizzazione del prodotto finito. Non è una novità, esiste da tre secoli. Il medico ti cura, e tu gli prepari la pasta. Ma se tu non gli prepari la pasta, lui non ti può curare. Che tu sia medio o insegnante, che tu sia imbianchino o cassiera dell’Esselunga, che tu pulisca i cessi o insegni all’università, fai il tuo pezzettino, fai la tua parte. Ognuno è indispensabile.


Ci vuole rispetto per il lavoro altrui – questo ti insegnano al Sindacato. Questo ci insegna il Coronavirus.


Quando il Sindacato richiama all’unità del lavoro, sia territoriale sia intercategoriale, e denuncia i tentativi di frammentazione contrattuale e territoriale, e lo denuncia da tempo; quando il Sindacato denuncia, da un lato, la frammentazione statuale, e, dall’altro, l’espropriazione delle competenze giurisdizionale da parte di poteri deterritorializzati, vuole richiamare l’attenzione sull’unità del lavoro.


Ma unità del lavoro significa unità dello Stato. Si attacca lo Stato per attaccare il lavoro. Si attacca il lavoro per attaccare lo Stato. Senza Stato siamo allo sbando.


Il sogno di un lavoro frammentato e di uno Stato minimo e frantumato in mille istanze inconcludenti, lo Stato del Laissez faire, si infrange sull’immagine di quel treno fermato a Casalpusterlengo, non si sa da chi, si dice per un malore del capostazione, malore auto-diagnosticato; si infrange su quei meridionali scappati dai ghetti del lodigiano e reclusi in Basilicata.


L’idea di Europa, sopravvissuta, se sopravvissuta, allo sfacelo della Grecia, e ci piange ancora il cuore vedere i malati di Atene assumere medicine scadute, si infrange sul pullman di Milanesi fermato a Lione per uno starnuto dell’autista, sull’aereo carico di milanesi e veneti rispedito al mittente dalle isole Mauritius.

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