Democrazia e assedio

Democrazia e assedio

In Italia manca una disciplina ragionata del rapporto tra politica e gruppi di pressione. Transparency International Italia

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di Mariangela Cirrincione per Das Andere 
(@mari_cirri)
 
«Adesso, dopo la sentenza di Napoli, bisogna condannare i duecento parlamentari che in questa legislatura hanno cambiato casacca, hanno cambiato partito, hanno cambiato posizione politica, in cambio di posti, di prebende, di ministeri, di presidenze di Commissione o della promessa di essere rieletti. Perché se hanno condannato Berlusconi a tre anni, contro gli articoli 67 e 68 della Costituzione, allora vanno condannati Alfano e compagni, vanno condannati tutti i deputati e i senatori che hanno cambiato partito. Questo è il paradosso e ci aspettiamo che la procura di Napoli applichi gli stessi criteri ai duecento di questa legislatura, ma anche ai quattrocento della passata legislatura. Questo è ovviamente un paradosso».
 
Lo ha detto il forzista Brunetta e noi siamo d'accordo – gravità delle gravità – senza essere berlusconiani, perché, usando la celeberrima argomentazione di Edmund Burke “formulatore” del principio del divieto di mandato imperativo «Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale». Così sia. Ma!
 
C'è qualcosa da dire sulla rappresentanza qui interessata che viene a configurarsi peculiarmente come politica, assodato che il 'mio' votato non sia il mio ragazzo di bottega, che... faccia quello che dico, altrimenti son schiaffoni, e assodato che la reazione originale alla condanna per compravendita di senatori secondo i giudici posta in essere dal Cavaliere al fine di causare la caduta del governo Prodi, fatto che peraltro si avvia alla prescrizione, ci interessi ora solo come bizzarro spunto di riflessione sull'istituto del vincolo di mandato.
 
Del resto, sarebbe anche superfluo discutere sul fatto che, un conto sia l'autodeterminazione brunettiana, altro conto sia l'autodeterminazione mediata a moneta. Se questa non fosse la società che ha bandito l'ovvio, se questa non fosse la società dell'abbandono lento della divisione dei poteri, in un amalgama che appare sempre più senza possibilità di ritorno, l'eccentrica dialettica mediatica della cerchia del Cavaliere, dinanzi a una giustizia che tenda ad essere irreprensibile, suonerebbe come barzelletta e basta, questa volta non del maestro di barzellette ma dell'entourage, e invece l'assurdità ha una certa ratio.
 
Ragionando di costruzione della fedeltà elettorale, lo slancio ideale di Grillo tutto ruotante intorno alla figura del cittadino responsabile postmoderno e al principio della pan-responsabilità del cittadino, si ferma un attimo prima del rischio di denaturazione del patto a cinque stelle, e chi tradisce va fuori, in un microcosmo del tutto simile ai macrocosmi delle migliori repubbliche socialiste sovietiche (che il vincolo di mandato lo mantengono con fierezza, salvo poi raramente ricorrervi), tumulto destando nei cuori di quelli per i quali – rubando e invertendo le parole della Thatcher – la democrazia non sia soltanto una forma di governo, ma il lasciapassare per il paradiso. 
 
La sanzione pentastellata è dunque partitica, prima che elettorale e certamente, se rende “semplice” la sovranità popolare, mal aderisce all'art. 67 della Legge Fondamentale dello Stato secondo cui «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Disposizione questa mitigata dalla tolleranza o più propriamente dalla non interferenza, ad esempio, dei regolamenti parlamentari volti alla tutela delle libertà dei singoli soggetti eletti, con le sanzioni disciplinari in taluni casi appunto irrogate dai partiti.
 
È sempre Grillo ad auspicare l'introduzione del vincolo come argine irrinunciabile a quello che il pm Woodcock, commentando il processo a Berlusconi, definisce «banale contratto illecito, questione di vile pecunia, di scambio, di baratto tra soldi e tutto ciò che rientra nella funzione parlamentare» e non solo, lui che – dicevamo –  una punizione preventiva per i grillini con troppi grilli per la testa l'ha praticata in barba a qualsiasi distraente emotivo costituzionale, ponendo in essere un ragionamento di reazione, e poco di ragione.
 
In pieno costituzionalismo liberale fare della rappresentanza parlamentare mera rappresentanza fiduciaria, e di questa un feticcio, e dell'eletto quindi un mero esecutore, potrebbe significare indirettamente “istituzionalizzare” i gruppi di pressione e ammettere una quasi piena giuridicità alle influenze delle più variopinte; l’istituto, inoltre, purtroppo, ben si presta a diventare strumento di abusi, in qualche caso già documentati.
 
Grillo non sa forse che, in Ucraina, la persistenza del vincolo di mandato divenne mezzo giustificativo dello scioglimento del Parlamento ad opera del presidente, scioglimento placidamente motivato dai cambi di casacca di alcuni parlamentari. A Grillo, cui comunque riconosciamo profili di grande innovazione politica, ricordiamo dunque che la democrazia va maneggiata con cura e che gli eletti non sono i pupi di Cuticchio, nemmeno quando, iniziano a somigliare a Scilipoti. Paradosso dei paradossi, punire i riottosi, anziché essere padrebuono, talora, addirittura incentiva il trasformismo.
 
In un'intervista a La Repubblica del novembre 2012 il costituzionalista Zagrebelsky così esprimeva disapprovazione verso le prassi interne del Movimento e il loro impatto col sistema istituzionale, ravvedendovi le potenziali degenerazioni riscontrate anche negli ordinamenti nei quali il vincolo è ammesso. «La logica parlamentare consiste nel dialogo e nel compromesso. Quando una spina di - si dice - centocinquanta deputati diretti dal web sarà piantata in Parlamento, che ne sarà di questa logica? La nostra democrazia rappresentativa già fatica, anche a causa dei tanti "vincoli di mandato" che legano i deputati a lobbies e corporazioni. Che cosa succederà in presenza d'un gruppo consistente che, per statuto, deve operare irrigidito dalla posizione che è in rete: o sarà ridotto all'impotenza, o ridurrà all'impotenza l'istituzione parlamentare?»
 
Non è un segreto per nessuno – «l'ho cominciato a capire quando portavo i pantaloni alla zuava» Craxi docet – che il rischio di pressioni particolari sia reale e presente a più livelli. E non sia soltanto panno sporco da lavare nella fontana del partito. Per tale ragione, appare ancora più grave la lacuna legislativa persistente nella regolazione dei rapporti tra politica e lobbies, e certamente a Grillo deve riconoscersi il merito di avere, con posizioni più o meno condivisibili, riposto la stringente questione sui tavoli istituzionali.
 
È proprio in siffatto vuoto regolamentare, tuttavia, che verosimilmente, l’eliminazione del divieto di vincolo di mandato, produrrebbe dinamiche consequenziali ambigue quanto ingestibili. Quale sarebbe ad esempio il discrimine tra “influenza” e voto di scambio, fattispecie quest'ultima spesso già difficilmente isolabile in modo univoco? E quale quello tra interesse dei pochi e interesse della Nazione (art. 67 Cost.), in un temperie culturale sempre più relativista, in cui tutte le istanze appaiono interessanti?
 
Il recentissimo rapporto di Transparency International Italia ricorda infatti come il vuoto normativo nazionale nella regolamentazione delle “influenze” sia stato colmato validamente a livello locale e solo in tre regioni (Toscana, Abruzzo e Molise), e che l'unico tentativo nazionale pressoché riuscito sia stato il decreto del Ministro Catania che, per ordinare la partecipazione dei gruppi di interesse ai processi decisionali del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, stabilì l’adozione di un registro di lobbisti, introdusse una procedura di consultazione permanente, istituì un’Unità di Trasparenza per la gestione delle iscrizioni.
 
«Lobby è quella forma di pressione che rappresenta esclusivamente l’interesse particolare e che pertanto non dovrebbe trovare spazio, a prescindere, nell’interlocuzione con le istituzioni. Le lobby ‘all’italiana’ hanno già fatto sufficientemente del male al paese per poterle legittimare in qualsivoglia forma» ebbe modo di tuonare però Sergio Marini, ex presidente della Coldiretti, in una chiosa polemica quanto conclusiva, che pur lanciando un allarme preciso, sembrò portare con sé quasi una rinuncia ad approfondire la questione, e intanto l’organizzazione, una delle più influenti del settore, scelse di non essere inserita nell’albo.
 
Sappia Grillo, dunque, che manca una disciplina delle influenze, e, ove si inserisca il vincolo sanzionante l'infedeltà elettorale, mancano i meccanismi complementari necessari successivi, quale ad esempio il recall statunitense, che consente la sostituzione in corso di mandato del Parlamentare traditore del patto elettorale. O ancora potrebbe adottarsi un modello all'inglese. Nella perfida Albione, la vigenza del principio di vincolo di mandato imperativo è mitigato all'interno del Parlamento dall'azione delle Opposition Whips (lett. fruste) che vigilano sull'operato dei gruppi verificandone l'obbedienza ai partiti e riferendo ai vertici di questi eventuali libertine perdite di rotta, in posizione di riconosciuta autorevolezza.
 
Attivisti del M5S o ex attivisti confermano, inoltre, che le pubblicizzate verifiche semestrali grilline seguite dall’eventuale remissione del mandato, purtroppo non sempre funzionano, nemmeno nei contesti più virtuosi, ma non vorremmo altro – eventualmente così non fosse – che essere contraddetti e sorpresi in positivo, apprendendo che sia stata davvero naturalizzata, nell'orizzonte dialettico della nuova partecipazione, la pretesa dell’opinione pubblica votante che, gli eletti, si attengano al programma, ridando così un colore vivo alla democrazia parlamentare, oggi un po’ spenta. 
 
In attesa, quindi, di una disciplina ragionata del rapporto tra politica e gruppi di pressione, esigenza irrimandabile (per dovere di cronaca, di recente avvertita, ma senza considerevoli risvolti, dal governo Letta), che potrebbe iniziare da un ragionamento diverso sulla pubblicità delle audizioni parlamentari, in attesa di norme severe che rendano trasparenti i finanziamenti ai partiti, si auspica che la celebre deposizione del 17 dicembre 1993 al processo Cusani-Enimont dell'imputato Craxi sia presto solo una fotografia di un mondo che non è più. «Perché imprenditori, società enti e cooperative, sentivano questo bisogno di pagare i partiti?» fu la domanda del pm Di Pietro, e la risposta: «...ci sono gruppi industriali che in Italia sono una potenza… che sono più potenti dei partiti… […] potevano spaventare, non essere spaventati… […] ...che avevano grandi influenze nella vita pubblica».
 
Infine, un po' di solletico geopolitico… Il greco Tsipras, dopo un referendum dalla portata storica, reclama, in risposta al sentimento di delusione generale scaturito dalle sue (?) mosse (?), di non avere avuto mandato per il Grexit, forte di un programma elettorale, ormai certamente disatteso o tacitamente abbandonato per far spazio a Bruxelles, che ha comunque costituito la base del successo elettorale di Syriza. Elezione, mandato, verifica, eventuale damnatio memoriae in salsa democratica, che nel sistema di pesi e contrappesi della civiltà costituzionale, revoca l'eletto inadempiente per mano dell'elettore, perché – citando il giudice Borsellino – il cambiamento si fa nelle urne con la matita in mano.
 
Syriza è spaccata, e il principio del divieto di mandato imperativo, che in Grecia vige, come in quasi tutte le migliori democrazie e nella nostra, si estende ovviamente al rapporto tra candidato eletto e partito o e gruppo parlamentare, e così l’indisciplinato Tsipras può forse auto-assolversi da una clamorosa indubbia responsabilità politica. «Non ho mandato per il Grexit» ha tutto un sapore definitivo ed esaustivo di qualsivoglia domanda velleitaria sull'euro-abbandono. Tsipras dall'euro non è uscito e non uscirà, non di suo pugno. Non è stato votato per questo.
 
Improvvisamente, insomma, la coperta libertaria che protegge la regalità costituzionale dell'istituto si restringe, diventando pezza d'appoggio piccola piccola, non riuscendo più ad occultare il vulnus vero della rappresentanza, oggi sanguinante come mai. La perdita dello spirito.
 
Fonti essenziali non esplicitate nel testo:
 
R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, Giappichelli, 2006
PERCORSI E VICENDE ATTUALI DELLA RAPPRESENTANZA E DELLA RESPONSABILITÀ POLITICA a cura di N. Zanon e F. Biondi, MILANO - DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE - 2001 http://documenti.camera.it/bpr/9588_testo.pdf
LOBBYING E DEMOCRAZIA - LA RAPPRESENTANZA DEGLI INTERESSI IN ITALIA https://www.transparency.it/wp-content/uploads/2014/11/LobbyingDemocrazia_Transparency_International_Italia_cor.pdf

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