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Denuncia dell'ONU: in Messico donne e attivisti per i diritti umani sono in pericolo
Il relatore delle Nazioni Unite in Messico ha denunciato che il governo di Enrique Peña Nieto criminalizza e ostacola il lavoro dei difensori dei diritti umani
di Fabrizio Verde
Il Messico è uno dei paesi più pericolosi al mondo per le donne e che è attivo della difesa dei diritti umani. Questo è quanto denunciato da Michel Forst, relatore speciale per l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
L’inviato ONU ha inoltre accusato il governo di ostacolare il lavoro di queste persone e criminalizzarle, attraverso l'uso improprio della legislazione e la manipolazione di poteri punitivi, sia statali che non statali, per ostacolare e persino paralizzare gli sforzi per esercitare il loro legittimo diritto di promuovere e proteggere i diritti umani.
La criminalizzazione governativa inizia con accuse infondate, quindi procede con molteplici violazioni dei diritti umani, che includono molestie, procedimenti penali per crimini inventati fino a giungere alla detenzione senza alcun ordine del tribunale.
Los niveles de violencia contra defensores de DDHH en América son alarmantes. Defender derechos puede costar la vida. #Porquienesnosdefienden hemos publicado un informe sobre políticas integrales de protección para personas defensoras https://t.co/ThIXxmnUnj pic.twitter.com/pWWlMXcXmV
— CIDH (@CIDH) 1 marzo 2018
Forst ha inoltre chiesto al governo messicano di attuare politiche di tolleranza zero contro la corruzione e il crimine organizzato e ricordato gli omicidi della giornalista Pamela Montenegro e del leader indigeno Guadalupe Campanur.
Per poi evidenziare che tra i soggetti maggiormente a rischio vi sono gli attivisti per i diritti economici, sociali e culturali; i difensori dell’ambiente, parenti e vittime dei ‘desaparecidos’ (scomparsi) ed attivisti in difesa dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT).
Il relatore delle Nazioni Unite ha deplorato che il risultato "di questo clima di paura colpisce l'intera società e può portare all'autocensura".
A tal proposito risulta essere assordante il silenzio dei grandi media. Di fronte a numeri che sono spaventosi: in Messico ancora non sono stati individuati i responsabili della strage di Ayotzinapa. Uno dei capitoli più oscuri della storia messicana dove 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa furono attaccati da uomini incappucciati e agenti di polizia locale, mentre si recavano alla marcia che si tiene ogni anno il 2 di ottobre alla marcia per la commemorazione del massacro di Tlatelolco, avvenuto nel 1968. Oppure si pensi alla Colombia dove risultato morti 120 attivisti in 14 mesi. Dove continua la mattanza degli ex guerriglieri della FARC nonostante questi abbiano deposto le armi e fondato un partito, denominato Fuerza Alternativa Revolucionaria del Comun (FARC), per partecipare pienamente alla vita politica del paese.
México aún pide ver los rostros de los 43 normalistas desaparecidos #Ayotzinapa https://t.co/5zqXuboVmF #JusticiaYA pic.twitter.com/nYPGHzJRMU
— teleSUR TV (@teleSURtv) 26 luglio 2017
Adesso immaginiamo se situazioni del genere si verificassero in un paese come il Venezuela. Quale sarebbe il tono e la reazione dei media mainstream?
A stridere, infine, è il silenzio di Luis Almagro. Il presidente dell'Organizzazione degli Stati Americani in servizio permanente contro la Rivoluzione Bolivariana.
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