Disastri naturali, il modello di Cuba e il baratro italiano

Disastri naturali, il modello di Cuba e il baratro italiano

Al di là delle differenze tra un uragano (prevedibile) e un terremoto (imprevedibile), valga l’esempio di Cuba come buona ragione per interrogarci su alcune questioni, tutt’altro che tecniche

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di Davide Angelilli
 

“Il segreto dell’esito della Difesa Civile Cubana è non pensare al costo che suppone fermare imprese, traslocare centinaia di migliaia di persone, alimentare gli sfollati, paralizzare economicamente il paese quando è imprescindibile. L’esito radica nel dare la massima priorità alla salvaguardia della vita umana.”  


Così terminava un articolo di Fernando Ravsberg, giornalista uruguaiano corrispondente a Cuba per la BBC, uscito sul giornale spagnolo Público. L’articolo spiegava perché l’uragano Matthew, lo scorso ottobre, non ha causato vittime a Cuba, mentre nelle altre isole caraibiche il ciclone mortale aveva provocato moltissime vittime mortali.


Il giornalista del canale informativo britannico, tutt’altro che vicino al Partito Comunista Cubano, descriveva l’incredibile capacità di resistenza e risposta del modello cubano alle molteplici calamità naturali che si abbattono sull’Isola. Un modello basato sulla partecipazione e l’informazione, in cui la chiave per garantire la protezione alla cittadinanza è la solidarietà tra gli abitanti. Una solidarietà, però, tutt’altro che spontanea o caduta dal cielo, bensì organizzata nei minimi dettagli, sia a livello istituzionale che sociale, a livello statale ma soprattutto comunitario.


In situazioni di emergenza, tutte le famiglie cubane evacuate trovano sistemazioni in scuole, istituzioni, qualsiasi edificio è messo a disposizione in caso di pericolo per calamità naturale. Durante l’ultimo uragano, qualche mese fa, queste operazioni hanno coinvolto più di un milione di persone (su una popolazione di undici milioni). La Difesa Civile è, per l’appunto, composta soprattutto da civili: solo una piccola parte degli uomini e delle donne che si attivano in caso di rischio fanno parte dei corpi statali, il resto sono persone che nella vita quotidiana svolgono altri mestieri. Infatti, in un altro articolo, Alexis Lorenzo, psicologo e membro della “Rete Latinoamericana di Psicologia per i casi di Emergenze e Disastri”, spiega: ‹‹se chiedessimo a un cubano cos’è la Difesa Civile, risponderebbe: siamo noi, ogni persona partecipa nelle diverse tappe di preparazione››. 


“Vale milioni di volte di più la vita di un solo essere umano, che tutte le proprietà dell’uomo più ricco del terra”, scriveva il Che in una lettera ai suoi genitori. A Cuba, nonostante gli ingenti danni materiali, l’organizzazione, la solidarietà e la protezione della vita ad ogni costo hanno impedito all’uragano Matthew di spazzare via altre vite umane… dopo le centinaia di vittime provocate ad Haiti, le 34 negli Stati Uniti e le 4 nella Repubblica Dominicana. 


Appena iniziato il rischio per la popolazione, tutti i mezzi d’informazione statali si sono messi a disposizione della Difesa Civile, utilizzando i propri canali per informare i cittadini e le cittadine. Non c’è stato modo, come qui in Italia, di catturare l’attenzione pubblica con sensazionalismo e sciacallaggio mediatico; tutta l’informazione si è messa al servizio della salvaguardia della vita umana.


Myrta Kaulard, coordinatrice dell’Onu a Cuba, ha spiegato che il paese deve essere un esempio per il resto del mondo, perché “le forze che investe per proteggere le vite umane e i beni materiali sono straordinarie”. 


Al di là delle differenze tra un uragano (prevedibile) e un terremoto (imprevedibile), valga l’esempio di Cuba come buona ragione per interrogarci su alcune questioni, tutt’altro che tecniche. Forse anche noi, in quest’Italia martoriata da una lacerante crisi politica e sociale, dovremmo cominciare a guardare al modello cubano per ristabilire una dignità di paese, proprio a partire dalla filosofia e dalla prassi con cui si affronta una calamità territoriale. Una filosofia che pone la solidarietà tra le persone e la salvaguardia della vita umana al primo posto; una prassi che si basa sulla partecipazione e la cooperazione, l’educazione e l’organizzazione territoriale e comunitaria. 


Purtroppo non sarà la mano invisibile del mercato, a cui tutto affida il dogma neoliberista, a poterci dotare di un sistema di protezione civile efficace; la competizione e l’individualismo non serviranno certo a metterci in sicurezza più rapidamente. Invece, proprio in questi giorni di dolore e indignazione, dovremmo confrontarci con il senso più profondo della deriva morale che vive un paese come l’Italia. E, magari, ricominciare a guardare con interesse e creatività a modelli di società alternativi al capitalismo neoliberista.  


 

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