Draghi salvatore della patria?
di Federico Giusti
L’Europa deve affrontare innumerevoli problemi e forse il suo sviluppo è al capolinea, o lo è per alcuni dei suoi membri storici.
Non solo la crisi demografica sempre più forte ma anche l’idea, dura da morire, che il rilancio della produttività sia legato alla riduzione del costo del lavoro e non agli investimenti pubblici e privati, alla modernizzazione della PA, alla ricerca.
Alcune riviste autorevoli, incluse quelle che lanciarono Romano Prodi ai tempi dell’Ulivo, parlano di stagnazione della produttività per invocare la ricetta Draghi come la sola risposta alla crisi del vecchio continente e quindi assumono come via di uscita le posizioni più guerrafondaie.
Ma un altro elemento di riflessione riguarda il welfare la cui presunta insostenibilità è collegata alla crisi economica e non alla deliberata scelta del Riarmo che sottrarrà risorse allo Stato sociale o alle ricette, bipartisan, di sostituirsi ai padroni negli aumenti contrattuali facendo pagare loro meno tasse e riducendo le stesse ai salariati. Passano gli anni ma prima o poi i nodi tornano a galla e prova ne sia che ormai il vecchio continente non innova, su 100 brevetti solo 28 sono europei e nessuno arriva dall’Italia. Inutile cullarsi sugli allori, lo smantellamento della industria di stato (conditio sine qua non per accedere nei salotti buoni della UE) realizzato dal centro sinistra alla fine del secolo scorso è la causa dell’attuale sventura.
La folle pretesa di essere competitivi senza investire, di riarmarsi facendo credere che il welfare state sia ormai un inutile lusso che non possiamo permetterci. Quando si hanno strumenti intellettuali raffinati e conoscenze diffuse diventa fin troppo facile giocare con i termini e i concetti. Il sogno americano si va concretizzando ma non assume le sembianze del secondo dopoguerra bensì quelle tipicamente liberiste che hanno smantellato quel poco di welfare esistente.
Nello scrigno degli europeisti si celano parole magiche, dalla produttività al riarmo, dalla agglomerazione alla lotta contro le disuguaglianze, dal rilancio delle aree urbane alla costruzione di assetti industriali più grandi.
Se guardiamo ai dati ufficiali, il nostro paese ospita molteplici disuguaglianze acuite da 30 anni di ascensore sociale fermo di cui nessuno si è mai seriamente preoccupato, il disinteresse cronico a sinistra verso le questioni sociali produce alla fine la tacita accettazione delle disuguaglianze come frutto non di scelte ma di un avverso destino. È forse becero quanto stiamo per dire ma qualche comparsata in meno al gay pride e qualche visita nei quartieri popolari non guasterebbe per un bagno di umiltà e di realismo della sinistra ztl. E per noi i diritti civili sono un valore aggiunto ma senza quelli sociali diventano uno specchietto per le allodole che regala le classi popolari alle destre.
Le disuguaglianze tra aree geografiche in Europa hanno raggiunto i livelli statunitensi, i divari territoriali poi diventano divari sociali ed economici. Per sfuggire alla decadenza economica stanno pensando di rilanciare aree dedite ad investimenti tecnologici, un ruolo dirimente verrà giocato dalla riconversione di settori dell’economia a fini militari e anche in questo campo la Germania è un passo avanti rispetto agli altri paesi europei
Parlare di centro e di periferia presuppone prima individuare e circoscrivere le aree interessate, siamo certi poi che paesi al centro nell’arco di un ventennio non siano scivolati alla periferia come si evince anche dai dati economici?
Prendiamo i fondi di coesione comunitari che in teoria dovrebbero servire per ridurre le disuguaglianze territoriali: in questi trenta anni sono stati utilizzati in maniera proficua? Nel frattempo, le disuguaglianze sono cresciute e lo saranno in misura ancora maggiore proprio con le politiche del Riarmo, del resto molte risorse sono state distribuite per guadagnare il consenso di singoli paesi senza chiedere in cambio riforme strutturali o quando la Ue si è mossa ha messo in ginocchio, e alla fame, un popolo come avvenuto in Grecia.
L’Italia non è vittima della Germania anzi la nostra manifattura è trainata da quella tedesca, i landers orientali sono decisamente arretrati rispetto a quelli occidentali ma se guardiamo il divario tra Mezzogiorno e centro norditaliano siamo messi decisamente peggio.
Manca la volontà politica di ridurre le disuguaglianze, meglio allora arrampicarsi sugli specchi.
E chiudiamo con il Pnrr, in attesa di conoscere gli effetti sulle economie che hanno attinto da questi fondi, sarebbe opportuno ammettere che una buona parte di queste risorse strada facendo ha preso altre vie rispetto a quelle inizialmente individuate, meno investimenti sociali a vantaggio dei settori trainanti per la economia UE. E i prossimi anni ci diranno se questi capitali sono stati spesi bene o se rappresentano solo una boccata di ossigeno per ritardare la resa dei conti del vecchio continente.