Il colpo di stato in Bolivia e la soddisfazione del “democratico" New York Times
di Francesco Erspamer*
Il colpo di stato in Bolivia, “soft” come piace ai liberisti, che della violenza vera si servono solo quando non basta il denaro e nel disinteresse totale dei media per cui è come se non ci fosse stata (lo sanno bene gli afgani o gli irakeni o gli abitanti del Centro America, lasciati in balia di gang brutali perché il bisogno di droga degli americani possa venire soddisfatto pur mantenendo la finzione politica della guerra contro la droga che tanto piace ai piccolo borghesi impoveriti che consolano la loro disperazione con un moralismo da due soldi), dicevo, il colpo di stato in Bolivia e la soddisfazione del “democratico" New York Times, mi ha fatto tornare in mente una pagina del romanzo di Tomasi di Lampedusa, “Il Gattopardo”.
Una scena del terzo capitolo, in cui il Principe di Salina va a caccia con don Ciccio Tumeo, l’organista del Duomo. Nel paese di Donnafugata si è appena tenuto il plebiscito per l’annessione della Sicilia al nuovo Regno d’Italia e il risultato è stato unanime: 512 votanti, 512 sì. Solo che don Ciccio aveva votato no: “S’inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco!” Il Principe allora si rasserena; la manipolazione era stata smaccata ma lui non era riuscito a spiegarsene il motivo: la netta maggioranza dei votanti si era davvero espressa a favore dell’Italia, perché dunque cancellare ogni traccia di dissenso? Ma ora ha capito: lo scopo del broglio era più sottile, era l’indebolimento, fin dagli inizi, di quel troppo potente strumento offerto al popolo, la democrazia: “Sei mesi fa si udiva la voce dispotica che diceva: ‘fai come dico io, o saranno botte’. Adesso si aveva di già l’impressione che la minaccia venisse sostituita dalle parole molli dell’usuraio: ‘Ma se hai firmato tu stesso? Non lo vedi? È tanto chiaro! Devi fare come diciamo noi, perché, guarda la cambiale! la tua volontà è uguale alla nostra’”.
Ambientato al tempo dell’unificazione, il “Gattopardo” parlava però dell’Italia in cui Tomasi di Lampedusa scriveva, quella degli anni cinquanta; e parla anche, come fanno i grandi romanzi, della nostra epoca, dominata dagli usurai (la finanza) e dai loro portavoce, i giornalisti. Che fanno e sfanno governi e parlamenti con leggi elettorali truffa, la corruzione (la chiamano lobbismo), la propaganda e la pubblicità, i sondaggi, il gossip e le calunnie, tutte "parole molli". Molto di più che nell’immaginaria Donnafugata di Tomasi di Lampedusa, nell’Italia e nel mondo di oggi a contare è la rappresentazione virtuale di ciò che, ci dicono, è accaduto da qualche parte nel pianeta. E siccome lo dicono loro allora è vero, e siccome abbiamo votato o avremmo potuto farlo, allora siamo d’accordo, la nostra volontà è uguale alla loro.
No, non lo è. Ma bisogna imparare a combatterli e a batterli sul loro terreno. Con un’informazione “contro” e con una totale mancanza di scrupoli.
*Professore all'Harvard University