Il coronavirus visto dallo Yemen
Sara Ameri vive a Sanaa, Yemen. Ha scritto una lettera al gruppo di attivisti che, in diversi paesi, sta(va) cercando di organizzare eventi pubblici per ricordare l’inizio – il 26 marzo 2015 – dei bombardamenti aerei chiamati «Tempesta decisiva», a cura delle petromonarchie del Golfo.
Dall’epicentro di una gravissima crisi alimentare e umanitaria (e potevano mancare colera e locuste?), e mentre la coalizione a guida saudita sta bombardando il governatorato di Nimh, Sara scrive: «I cittadini del primo mondo sono nel panico: provano esperienze per noi ordinarie. Non puoi viaggiare? Neanche noi ci muoviamo, da cinque anni. Non puoi uscire di casa? Sulle nostre piovono bombe. Scarseggiano le merci nei supermercati? Da noi con guerra le attività produttive sono alla paralisi, le importazioni ridottissime. Un temibile virus si sta diffondendo? Abbiamo provato lo stesso con il colera. Siete preoccupati per i bambini? Benvenuti nel nostro mondo di sempre. Vi sentite tagliati fuori come nazione? A noi è successo con il 90% dei paesi? Posti di lavoro che si perdono? Da noi in tanti non ricevono salario da cinque anni. Le scuole chiuse? Da noi succede da anni. Sistema sanitario in crisi? Da noi succede per qualunque tipo di malattia si contragga. Tranquilli, all’inizio è dura. Poi un po’ ci si abitua.»
Intanto Oxfam lancia l’allarme per un possibile nuovo picco di casi di colera in Yemen, con l’arrivo della stagione delle piogge in aprile. Dal 2017 hanno contratto la malattia 2,2 milioni di persone, e 56mila dall’inizio del 2020. Nel 2019, oltre mille le vittime. Lo Yemen del Nord rimane ad alto rischio per la mancanza di acqua potabile.
Invece in Bangladesh fra pochi mesi si commemorerà il ciclone Bhola del novembre 1970, centinaia di migliaia di persone. Una tragedia così lontana da noi. Che diligentemente stiamo a casa.
Marinella Correggia