Il favoloso mondo razziale di Oz

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Il favoloso mondo razziale di Oz

Frank Baum, autore de Il meraviglioso mago di Oz, un classico della letteratura mondiale per l'infanzia, fu tra i peggiori esponenti del suprematismo bianco, tanto da chiedere apertamente lo sterminio delle popolazioni native d'America. Parole e toni che nulla hanno a che invidiare a quelle del nazismo.

 

di Diego Angelo Bertozzi

 

Nell'articolo precedente abbiamo ripercorso, grazie alla ricostruzione del quadro storico e alla recente pubblicazione di una lettera, le posizioni suprematiste e classiste del celebre scrittore H.P. Lovecraft. Ora, seguendo lo stesso metodo affrontiamo un'altra famosa icona della cultura statunitense e mondiale: L. Frank Baum, l'autore de Il meraviglioso mago di Oz, pietra miliare della letteratura per l'infanzia e più volte oggetto, a partire dal 1939, di riduzioni cinematografiche. Ebbene, anche in questo caso, ci troviamo di fronte a una figura ambigua, tanto genio letterario quanto divulgatore di una visione razziale violenta a crudele della storia statunitense.

A catturare l'attenzione non ci sono lettere private ad un fratello, quanto gli interventi pubblici da direttore dell'Aberdeen Saturday Pioneer. Su questo giornale alla fine del 1890 apparve un suo editoriale che rivelava posizioni apertamente sterminazioniste nei confronti delle popolazioni indigene (i Sioux) del South Dakota. Sono, quelle che ci apprestiamo a leggere, parole degne di un gerarca nazista, tanto a fondo si spinge la de-umanizzazione dell'altro: "La nobiltà dei pellerossa si è estinta, e quei pochi che sono rimasti non sono altro che cagnacci che guaiscono e leccano le mani che li percuotono". In quanto assimilati ad animali della peggior specie non meritano altro che la liquidazione fisica totale e senza pietà:  i bianchi "per la legge della conquista, per la giustizia della civiltà, sono padroni del continente americano e la sicurezza degli insediamenti di frontiera potrà essere assicurata solo con il totale annientamento dei pochi rimasti. Perché opporsi allo sterminio? La loro gloria è svanita, il loro spirito è distrutto, la loro virilità cancellata; meglio morire che vivere nelle terribili condizioni in cui si trovano oggi"[1].

In parte figlio del proprio tempo, nel quale l'incitamento allo sterminio dei nativi era assai diffuso, va prima di tutto rilevato che Baum è degno figlio del peggior razzismo e che le sue parole non avrebbero sfigurato nel Mein Kampf di Hitler! Qualche anno prima il colonnello Chivington, che guidò l'omicida cavalcata al villaggio di Sand Creek (e qui va consigliato l'ascolto della splendida canzone di De Andrè) aveva annunciato che la sua politica verso quelle popolazioni era assai chiara: "ucciderli e raccogliere gli scalpi di tutti, piccoli e grandi" perché "le lendini fanno i pidocchi". Poco meno di un secolo dopo una simile espressione sarebbe stata utilizzata dal nazista Himmler, solo che al posto dei pellerossa ad interpretare i pidocchi sarebbero stati gli ebrei.

Detto questo, torniamo al nostro scrittore perché pochi giorni dopo il suo editoriale avvenne uno dei più celebri massacri della conquista del West: il 29 dicembre a Wounded Knee centinaia di uomini e bambini furono uccisi dai colpi dei potenti cannoni Hotchkiss. Quattro giorni tornò a farsi sentire la voce di Baum e con toni e considerazioni immutate neppure davanti allo scempio: "per proteggere la nostra civiltà sarebbe meglio dare seguito all'evento" così da "cancellare dalla faccia della terra queste indomite e indomabili creature"[2]. Il riconoscimento della loro resistenza, non pone tuttavia in discussione la loro estraneità al consorzio umano.

 

[1] Editoriale del 20 dicembre 1890 citato in David E. Stannard, Olocausto americano, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, pp. 208-209

[2] Citazione in David E. Stannard, op. cit., p. 209

Diego Bertozzi

Diego Bertozzi

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Milano e in Filosofia e Scienze filosofiche all'Università degli Studi di Verona, si occupa da tempo di storia del movimento operaio e di Cina. Ha pubblicato per Diarkos  "La nuova via della seta. Il mondo che cambia e il ruolo dell'Italia nella Belt and Road Initiative" (2019)
 
 
 

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