Il partito 'pacifista' di Zelensky ha scelto il conflitto
di Giuseppe Acciaio
Nella memoria degli ucraini che hanno eletto Zelensky nel 2019, sono ancora freschi i ricordi delle promesse elettorali di riappacificazione con il Donbass, egli prometteva ai suoi elettori di porre fine alla guerra, e sottolineava l’importanza del rispetto degli “accordi di Minsk” e l’importanza della riunificazione territoriale del paese. Durante i suoi discorsi elettorali contrapponeva sé stesso a Poroshenko, dichiarando che le politiche interne ed esterne dovevano essere rivalutate, e lo Stato si sarebbe messo con la “faccia rivolta al popolo”. Molto probabilmente erano solo gli slogan necessari per fargli ottenere la vittoria alle elezioni.
Sono passati solo tre anni e possiamo constatare, che una sola promessa elettorale non è stata ancora mantenuta. Il lavoro di Zelensky come Capo di Governo, ricorda sempre di più il periodo di Poroshenko. Con questo quadro politico il consenso del suo predecessore e del suo partito politico stanno riuscendo a prendere la rimonta. Con una situazione del genere, un qualsiasi tentativo di cambiare il Governo nel paese (basterebbero le elezioni Parlamentari o anche quelle Presidenziali come è già successo nel passato) sarebbe destinato al successo. Poroshenko ha l’esperienza politica e saprebbe trarre vantaggio dall’instabilità del Governo attuale, avendo ancora ottimi rapporti con i nazionalisti, i quali non apprezzano le politiche di Zelensky.
La squadra di Zelensky è ben consapevole di questa situazione, e sta cercando di sfruttare il conflitto con la Russia a suo favore. Di questo parlano anche le ultime dichiarazioni del «servitore del popolo» che già ha smesso di riconoscere gli accordi di Minsk, e non vuole condurre i negoziati con le autoproclamate repubbliche, continuando a reagire in modo spropositato ai tentativi di Biden e Johnson di istaurare un dialogo con il leader russo. In poche parole, Zelensky non vuole aprire il dialogo politico con i territori occupati, riconoscere i diritti e lo statuto previsto dagli accordi di Minsk. Per il Capo di Stato in carica, questo equivale ad ammettere la sua incompetenza politica. L’insieme si presenta come l’accensione della miccia, per far esplodere il conflitto armato tra gli oppositori. I mass-media già stanno diffondendo diverse notizie sui diversivi e provocazioni da parte delle truppe ucraine che hanno preso di mira le repubbliche. Non sembra nemmeno una coincidenza l’arrivo di un ordigno militare da parte degli ucraini sul territorio russo. Molto probabilmente ci saranno altre informazioni sulle provocazioni e violazioni degli accordi sul cessato fuoco.
La risposta alla domanda “a cosa porta tutto ciò?” sembra alquanto ovvia.
Prima di tutto, le Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsk non hanno spazio all’interno dello Stato ucraino. Più si propaga il conflitto e sempre meno dialogo c’è tra Kiev, Donetsk e Lugansk, maggiore è la probabilità che gli attori esterni intervengano a risolvere questo conflitto. Zelensky, ovviamente, non può essere definito un politico esperto e indipendente, ed è improbabile che i suoi tentativi di scuotere l'opinione pubblica, per poter rimanere al potere sullo sfondo di una minaccia esterna gli farà guadagnare dei punti.
In secondo luogo, una politica così sconsiderata di armamento dei gruppi dei militanti nazionalisti, che combattono contro il Donbass, porterà prima o poi al fatto che queste armi arriveranno ai confini dell’Unione Europea, se non al suo interno. È noto che in molti paesi europei i militanti nazionalisti non hanno solo simpatizzanti, ma anche commilitoni abbastanza organizzati. Per qualche ragione, questa minaccia non è considerata seriamente dai politici europei, tuttavia, insieme alla crisi migratoria, il flusso dei militanti nazionalisti ucraini, con una reale esperienza di combattimento può avere un impatto estremamente negativo sulla situazione socio-politica nell'UE.