La "guerra" delle donne e degli Lgbt in Polonia

La "guerra" delle donne e degli Lgbt in Polonia

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di Lorenzo Ferrazzano
 

«Sama sie abortuj», abortisci da sola. Uno studente scriveva questo slogan su un foglio, sotto il mio naso su un autobus del centro di Varsavia. Si dirigeva verso una manifestazione pro-aborto. Al telefono organizzava una sassaiola.

Un paese diviso in due come una mela. Il 12 luglio Andrzej Duda, candidato del partito ultraconservatore PiS, vince per un pugno di voti al ballottaggio delle presidenziali contro il liberale Trzaskowski, già sindaco della capitale. Sullo sfondo il Covid, l'incertezza sul voto, la paura dei brogli, la necessità di cambiare pagina.
 
Sono tornato a Varsavia per un paio di mesi quest'estate. Il clima era incandescente, parlavo tanto con gli amici in fermento. «Non volevo votare per Trzaskowski, ma la sinistra in Polonia è al 6%. Perciò va bene tutto tranne che Duda!».
 
Per strada incontravo molta gente che indossava una borsa a tinte arcobaleno. I primi giorni pensai ad una moda del momento, noiosa, persino retorica. Non avevo capito subito che si trattasse di un simbolo politico, di uno strumento di protesta. Qualche giorno prima Duda aveva detto durante un comizio che quella Lgbt è una «ideologia più pericolosa del bolscevismo».
  
In quei giorni così caldi quando conoscevo nuove persone, al momento della presentazione, prima ancora che il nome mi veniva domandato da che parte stessi. «Sei con Duda o con noi?», e soltanto dopo aver liquidato con una battuta questa insolita domanda scherzosa ma significativa si poteva procedere alle strette di mano.
 
Non era soltanto il clima delle elezioni a creare quella polarizzazione così estrema: questi erano tutti segnali evidenti di una trasformazione antropologica della Polonia. Riguarda quella metà del paese che per motivi anagrafici, politici o culturali, non ne vuole sapere di vivere all'ombra della retorica ultranazionalista del governo; quella parte del paese che si sente strangolata dai valori ultraconservatori in cui credono gli altri polacchi.
 
La comunità Lgbt oggi vuole essere soltanto riconosciuta nella sua dignità umana e civile. E ora si stanno facendo sentire anche con metodi violenti. Le donne, semplicemente, vogliono restare tali senza dover essere per questo considerate “madonne”: persone autonome e non figure sacre da proteggere. Di queste premure maschili le donne che sfilano a Varsavia, Cracovia, Stettino, Pozna? e Danzica ne fanno volentieri a meno.
 
Studiando la storia recente polacca mi sono sempre chiesto dove affondassero le radici di questo moderno nazionalismo. Perché è sbagliato, oltre che stupido, liquidare la Polonia come un mostro fascista che si ubriaca allo stadio e picchia donne e “finocchi”. Un'operazione di mistificazione, questa, tanto cara ai sedicenti progressisti occidentali che non hanno idea di cosa sia l'est Europa. Di cosa sia stata negli ultimi anni e, figurarsi, negli ultimi secoli.
 
“Bóg, Honor i Ojczyzna”: Dio, Onore e Patria, lo slogan di tutte le manifestazioni nazionali. Le parole chiave di un Paese profondamente cattolico a cui il comunismo ha negato il diritto alla preghiera. Durante la PRL la rivendicazione dei valori nazionali, profondamente contrari rispetto a quelli marxisti, hanno formato la cornice ideologica e morale che fece da sfondo alle proteste sindacali dei lavoratori, uccisi come cani durante gli scioperi degli anni '70 e '80. Il partito di Kaczy?ski è figlio di quei giorni, e per questo rappresenta una grande parte del paese.
 
Ad agosto camminare per il centro di Varsavia significava doversi fare strada tra i poliziotti. Tutti quegli uomini in divisa non erano schierati per vigilare le strade dal Covid, ma avevano il compito di proteggere statue e chiese. Gli attivisti Lgbt nella notte avevano issato delle bandiere arcobaleno su alcuni simboli religiosi, provocando rabbia e indignazione.
 
Interrompevano le messe per diventare essi stessi la contraddizione. Nelle stesse ore per le strade della capitale girava un furgone pubblicitario finanziato da un'associazione pro-life su cui era scritto:«Stop pedofilia. La lobby Lgbt vuole insegnare ai bambini di quattro anni la masturbazione, a quelli di 6 il consenso al sesso, a quelli di 9 le prime esperienze di sesso ed orgasmo».
 
Ricordo una sera sulla Vistola, seduti tra amici sul prato a bere e a parlare. Eravamo tutti sconvolti da cosa stava succedendo in quei giorni, da quella strana repressione. Non erano i soliti episodi di violenza bigotta. Non era la consueta violenza contro i gay. Agata si chiese con un sorriso amaro:«Ma cosa sta succedendo in questo paese?».

È contro questa Polonia che stanno sfilando le donne dello Strajk Kobiet, lo “sciopero delle donne”. Non c'è spazio per chi ti costringe a rinnegare te stesso, per chi ti costringe agli aborti clandestini. «To jest wojna», dicono. “Questa è guerra”. Io sono con loro.

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