La Libia verso la guerra e il Governo Meloni rinnova i famigerati "accordi"
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Pare che da alcuni giorni la Libia sia in preda all'urgenza, alla fretta. E tutti coloro che ne hanno a che fare. Eppure a queste latitudini non è così frequente. I processi politici, anche quelli militari, sembrano avere tempi lunghissimi.
Eppure il Consiglio Supremo del Fezzan, la regione meridionale della Libia, ha disposto il massimo sostegno a favore del generale Khalifa Haftar nel suo proposito di liberare Tripoli, anzi un "sostegno illimitato".
La ragione è il persistente scontento nei confronti del NOC (National Oil Corporation), il pomo della discordia, quell'ente pubblico che dovrebbe vendere il petrolio per conto di tutti i Libici, ma che al contrario dal 2011 consente alle milizie di sottrarne il 40% per finanziare l'apparato bellico di occupazione, facendo saltare il principio di ripartizione dei proventi.
Ma c'è un'altra dinamica che rende i Libici preoccupati e di fretta: la Turchia si è messa a correre.
Il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu sta facendo pressioni sull'Egitto perché non interferisca nel progetto di trivellazioni turche in acque libiche, secondo un accordo firmato dalla Turchia con il governo di Tripoli del premier Sarraj (dimissionato a inizi 2021).
Il punto è che le legittime autorità libiche, il cosiddetto parlamento di Tobruk e l'Esercito Nazionale Libico, non riconoscevano quel governo, pertanto ancora meno riconoscono oggi tali accordi. E pertanto non hanno nessuna intenzione di vedersi piattaforme turche installate davanti a Bengasi.
La politica estera turca come primo approccio prevede, soprattutto se di fronte a un possibile lauto guadagno, la lusinga persuasiva dell'interlocutore costruita su un sofisticato meccanismo di compensazione.
Non è dato sapere cosa Cavusoglu abbia proposto ad Al-Sisi, ma la Turchia sta facendo di tutto per avvolgere con un grande abbraccio l'intero Nord Africa.
Il problema per i Turchi è Bengasi. Il problema per i Turchi si chiama Haftar.
Ed ecco i due fronti che corrono, di fretta, a prepararsi per il confronto. La Turchia mostra i muscoli davanti alla costa di Tripoli, l'Esercito Nazionale Libico lustra i suoi Mig a Jufra, sulla linea di confine tra la Tripolitania controllata dalla Turchia e il resto della Libia libera.
Questo è lo scenario. Ah, oggi il governo Meloni ha automaticamente rinnovato quelli che la sinistra democratica atlantista arcobaleno italiana chiama "Accordi con la Libia".
Si capisce benissimo, guardando i fatti e non le ricostruzioni fumettistiche della stampa italiana, che il governo usurpatore di Tripoli cui mandiamo soldi non è "la Libia" e che la questione a Tripoli non è fermare i migranti (le milizie infatti hanno moltiplicato la migrazione), ma difendere militarmente la capitale per continuare a saccheggiare il petrolio libico.
Sogni profondi, Italia.
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