L'ammissione del portavoce internazionale dell'esercito israeliano su Gaza

L'ammissione del portavoce internazionale dell'esercito israeliano su Gaza

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PICCOLE NOTE


Il tenente colonnello Jonathan Conricus, portavoce internazionale delle forze di difesa israeliane, in un intervento all’Aipac, l’organismo ebraico che cura gli interessi di Tel Aviv negli USA, ha esortato i suoi interlocutori a rimanere al fianco di Israele anche quando le cose “si faranno brutte” e “le immagini [della guerra] saranno difficili da digerire all’esterno di Gaza”, cioè dal mondo.

Così il Timesofisrael, che riferiva come Conricus abbia spiegato che nelle precedenti guerre di Gaza non erano riusciti a smantellare Hamas a causa della pressione internazionale, inorridita dalle scene dei bombardamenti sui civili. Ma stavolta sarà diverso perché l’esercito israeliano non si fermerà.

Immaginare che una ecatombe ponga le basi per la sicurezza e la pace israeliana è arduo, perché in genere chi semina caos raccoglie tempesta, ma tale è la decisione del governo israeliano, che sembra navigare a vista.

Infatti, al di là della sete di vendetta e della più legittima aspirazione alla giustizia e alla sicurezza, non sembra ci sia una strategia sottesa all’operazione militare in corso, tanto che Haaretz titola: “Persino il presidente israeliano non sa quale sia il piano di Israele per Gaza”.

Infatti, non sembra ci sia alcuna prospettiva per il dopo: la Striscia tornerà sotto il tallone israeliano? E con quale popolazione, quei due milioni di palestinesi oggi sotto le bombe? Oppure si pensa di portarla sotto l’amministrazione palestinese guidata da al Fatah?

Sul punto, un’acuta osservazione di Zvi Bar’el su Haaretz: “il ‘concetto’ di terra bruciata adottato da Israele rende impossibile per qualsiasi leadership locale alternativa [ad Hamas] riempire il vuoto e prendere il potere sulla punta delle baionette israeliane senza una soluzione diplomatica globale che garantisca un governo palestinese indipendente e unificato su entrambe le parti del territorio, cioè uno Stato palestinese”. Ma l’ipotesi non è nemmeno presa in considerazione da questo governo, conclude il cronista.

L’appello di Jewish voice for peace per evitare l’ecatombe di Gaza

Su tale questione, ma soprattutto a commento delle parole alquanto allarmanti del portavoce dell’esercito, riportiamo un appello al Congresso degli Stati Uniti lanciato dall’organismo ebraico statunitense Jewish voice for peace.

“Il governo israeliano ha dichiarato una guerra genocida contro i palestinesi di Gaza. I funzionari israeliani stanno apertamente pianificando di aprire ‘le porte dell’inferno’ su Gaza, riferendosi ai 2 milioni di palestinesi intrappolati all’interno come ‘animali umani'”.

“Il governo israeliano ha tagliato tutta l’elettricità a Gaza. Gli ospedali non potranno salvare vite umane, Internet crollerà e le persone non avranno telefoni per comunicare con il mondo esterno. Gaza sarà immersa nell’oscurità mentre Israele ridurrà i suoi quartieri in macerie”.

“Ancora peggio, Israele ha apertamente dichiarato l’intenzione di commettere atrocità di massa e persino un genocidio, con il primo ministro Netanyahu che ha affermato che la risposta israeliana ‘riecheggerà per generazioni’. Tutto ciò con il pieno sostegno degli Stati Uniti”.

“Venerdì l’esercito israeliano ha invitato tutti i civili di Gaza City – 1.1 Milioni di persone – a trasferirsi a sud entro 24 ore, mentre accumulava carri armati per la prevista invasione di terra. L’ONU ha affermato che evacuare tutti è impossibile stante l’interruzione dell’elettricità, del cibo e dell’acqua nell’enclave palestinese dopo che Israele ha posto Gaza sotto assedio totale, e ha affermato che ciò avrebbe avuto ‘conseguenze umanitarie catastrofiche’”.

“È assolutamente urgente che Biden e il Congresso chiedano una riduzione della tensione, un cessate il fuoco e che venga consentita l’assistenza umanitaria nella Striscia di Gaza. Non dobbiamo, inoltre, esacerbare e alimentare la violenza armando ulteriormente il governo israeliano mentre commette atrocità di massa”.

“C’è solo un modo per porre fine alla violenza ed è affrontare le cause profonde di quanto sta accadendo: 75 anni di occupazione militare e apartheid israeliani e porre fine alla complicità degli Stati Uniti in questa oppressione sistemica”.

Sebbene la reazione israeliana sia più che legittima dati gli orrori subiti, dovrebbe rispettare i doverosi limiti umanitari, come da invito non troppo sommesso del presidente Biden.

E se non sarà accompagnata, come sembra, da una qualche politica ad ampio raggio nei confronti dei palestinesi, sarà percepita da questi e dai popoli arabi, e non solo, come una semplice vendetta collettiva. E vendetta, si sa, chiama vendetta. Non porterà la sospirata pace, ma farà scorrere altro sangue.

Allarmi inascoltati, palloni spia rotti…

Concludiamo con un’altra informazione sulla debacle israeliana al momento del raid. In precedenza abbiamo dato notizia di un avvertimento egiziano su quanto stava avvenendo. Avvertimento serio e reale. Così su Indianpunchline: “il presidente della commissione per gli affari esteri della Camera degli Stati Uniti, Michael McCaul, dopo un briefing dell’intelligence a porte chiuse tenutosi mercoledì a Washington, ha detto ai giornalisti: ‘Sappiamo che l’Egitto, tre giorni prima, aveva avvertito gli israeliani che poteva accadere quanto poi avvenuto. Non voglio entrare troppo nei dettagli, ma è stato inviato un avvertimento”.

La nota di Indianpunchline aggiunge che non si sa a che livello sia giunto l’allarme, ma Yedioth Ahronoth ha fornito dettagli: il capo dell’intelligence egiziana avrebbe informato lo staff del premier (e non tre giorni prima, ma dieci).

Oggi Haaretz aggiunge ulteriori dettagli: “I vertici dell’esercito israeliano hanno ricevuto informazioni preoccupanti la notte prima dell’attacco di Hamas”. Questo il titolo di un articolo nel quale si spiega che, a seguito di tali informazioni, i vertici dell’intelligence e dell’esercito hanno dato vita a un concitato giro di telefonate durato ore, al termine del quale si è concluso che quella di Hamas era solo l’ennesima esercitazione.

A ciò si aggiunge un’altra notizia. Sempre da Haaretz: “Tre palloni di osservazione utilizzati dalle forze di difesa israeliane per monitorare il confine di Gaza si sono rotti nelle ultime settimane ma non sono stati sostituiti con misure alternative“.

“I palloni di osservazione rappresentano uno strumento significativo tra i vari sistemi di allarme rapido che proteggono il confine di Gaza e sono dotati di apparecchiature tecnologiche e telecamere avanzate. I tre palloni operavano nelle sezioni settentrionale, centrale e meridionale del confine”. Cioè praticamente tutto il confine con Gaza.

L’esercito ne aveva chiesto il ripristino, ma “un  tecnico inviato la settimana scorsa non è stato in grado di ripararli e la riparazione è stata rinviata a questa settimana”… neanche se fosse andato ad aggiustare la lavatrice di casa.

L’esercito, secondo il cronista di Haaretz Yaniv Kubovich, si sta interrogando se per caso non siano stati danneggiati da Hamas. Ci permettiamo di porre altre domande: perché, dato che era collassato una parte significativa del sistema di controllo, non sono state prese misure alternative? E perché la disattivazione di ben tre palloni spia in così poco tempo non è suonato come campanello d’allarme?

Resta che Gaza è sicuramente sotto osservazione dei satelliti, almeno a stare alle immagini diffuse dalle forze israeliane nei precedenti raid sulla Striscia (Timesofisrael, maggio 2018). Difficile che Hamas riesca a sabotare anche quelli, così restano la domande su come sia stata possibile l’infiltrazione massiva di Hamas. Ma le forze israeliane, interpellate da Haaretz, hanno fatto sapere che nessuna indagine sarà svolta durante la guerra.

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