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"Lampedusa solo andata": reportage dalla Tunisia di Saied
Migranti subsahariani nel porto di Sfax (Tunisia). Foto: Reuters
di Francesco Fustaneo
Lo scorso 22 settembre l'agenzia di stampa tunisina Tap dava notizia di un comunicato diffuso dalla Commissione dell'Unione Europea che annunciava, a sostegno dell'attuazione del Memorandum of Understanding (MoU), relativo all'ormai tanto decantato partenariato strategico e globale tra l'UE e la Tunisia, lo stanziamento di 60 milioni di euro da destinare al bilancio del paese nordafricano e un pacchetto di assistenza operativa sulla migrazione di circa 67 milioni di euro. Dunque complessivamente 127 milioni di euro che dovrebbero essere, stando ai proclami, erogati a breve.
Contestualmente, nei giorni immediatamente successivi, il ministro degli esteri tunisino, Nabil Ammar, affermava pubblicamente che “la Tunisia non accetterà di diventare una destinazione per i migranti irregolari né tanto meno un luogo di rimpatrio.”
Tali dichiarazioni, è bene leggere tra le righe, non contraddicono i piani sull'accordo prima menzionato; di fatti nelle rispettive uscite pubbliche sia il Presidente Saied che i ministri del governo hanno sempre finora, anche sotto la spinta dell'opinione pubblica, negato la possibilità che la Tunisia possa diventare un “carceriere” di migranti, un paese a cui delegare sic et simpliciter su ordine europeo, il controllo delle frontiere.
Degli sbarchi dalla Tunisia in Italia, si fa in questi giorni un gran parlare, ma a onor del vero, già a marzo scorso sulla base dei dati pubblicati dal Viminale, si evinceva ufficialmente che la Tunisia superava la Libia come paese di partenza degli approdi “ irregolari” via mare. Dall'inizio di quest'anno, dunque, assistiamo a un ribaltamento dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale, dal momento che la Libia era stata “fino a ieri”la prima nazione di partenza dei natanti arrivati in Italia.
IL VIAGGIO VERSO LAMPEDUSA DEI MIGRANTI
Numeri aumentati nelle scorse settimane, come i recenti fatti di Lampedusa hanno dimostrato, complice anche le buone condizioni del mare offerte dal meteo estivo.
Il luogo principale di partenza dalla Tunisia verso l'Italia è Sfax, secondo centro economico del paese e importante città portuale ubicata sulla costa orientale, dove da tempo sarebbero attivi anche trafficanti che vanterebbero collegamenti con “gruppi criminali libici attestati ad Az Zuwarah”, come certificato dalla Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza relativa al 2022 elaborata dall'Intelligence, presentata al Parlamento italiano, resa pubblica lo scorso 28 febbraio.
L'aspetto inedito è che a Sfax i migranti che prima arrivavano prevalentemente oltrepassando il confine libico, ora invece entrano in maggioranza nel paese dalla vicina Algeria.
Ai trafficanti tunisini basta poi pubblicare alla luce del sole, annunci nelle chat e nei social con tanto di foto delle imbarcazioni e numeri di telefono, offrendo a seconda della tipologia di domanda e del denaro a disposizione del richiedente, un viaggio verso le coste siciliane attraverso barchini in legno o addirittura in ferro,la cui fabbricazione alimenta anche una sub-economia presso l'artigianato locale della cittadina.
A salire sui barchini in un viaggio pericoloso, ma statisticamente “meno mortale” di quelli nei gommoni sgonfi libici, sono sia tunisini, ma appunto in gran prevalenza subsahariani, la cui presenza in Tunisia e soprattutto a Sfax negli ultimi tempi è aumentata in maniera abnorme, causando enormi disagi ai cittadini a causa del degrado correlato e finendo per alimentare le classiche guerre tra poveri, degenerate spesso in veri e propri scontri tra autoctoni e migranti, seguiti da contestuali duri interventi e sgomberi da parte della polizia tunisina.
La Tunisia odierna, tutt'oggi paese di emigrazione non è ancora strutturalmente pronta per divenire paese di accoglienza, non ha né le risorse né le capacità, per stessa ammissione di buona parte della sua gente e dei suoi esponenti istituzionali.
In questo quadro buona parte degli analisti è concorde che l'aumento delle partenze dal paese magrebino sia dovuta al fatto che l'esecutivo tunisino abbia lasciato mano libera, chiudendo non uno ma due occhi sui trafficanti di Sfax e delle altre città costiere, anche al fine di poter esercitare con l'arma della pressione migratoria, richieste economiche e politiche all' Europa.
INFLAZIONE E CRISI ECONOMICA
Non dimentichiamoci infatti che al di là dei proclami alla Tunisia ad oggi non è giunto alcun sostanziale aiuto economico e tutt'ora è fermo all'ottobre del 2022 l'accordo preliminare con il Fondo Monetario Internazionale, che prevedeva originariamente un finanziamento esteso di 48 mesi del valore di circa 1,9 miliardi di dollari per sostenere il programma di riforma economica del governo.
Le condizioni imposte dal Fmi, a proposito, sono a dir poco ricattatorie, in quanto prevedono tra i vari punti la privatizzazione di buona parte delle società pubbliche tunisine (con i conseguenti tagli occupazionali che ciò comporterebbe) e il taglio al sussidio pubblico ai beni primari, che chiaramente se attuato nel paese, in cui precarietà e povertà sono in larghe fasce della popolazione ancora diffuse, causerebbe enormi squilibri sociali e rivolte.
Pertanto tra lo stallo con il Fondo e le promesse ancora non corrisposte dall'UE è consequenziale pensare che ci sia stato un atteggiamento permissivo delle autorità tunisine in relazione alle partenze dei barchini. A quanto detto, sono da aggiungersi inoltre, le interferenze malviste da Saied nelle proprie politiche interne da parte di alcune compagini politiche europee, fattore scatenante nel rifiuto della settimana scorsa di autorizzare la visita di una delegazione della Commissione esteri dell'UE.
Quello che alle nostre latitudini però si tarda a capire è la centralità che ha il paese dei gelsomini nel Nord Africa e gli effetti pericolosi che una sua crisi aggravata, politica quanto economica, possa generare sull'Italia e a ruota sull'Europa.
Oltre alla tematica migratoria, occorre ricordare che la Tunisia è uno snodo cruciale per l'approvvigionamento energetico italiano in Nord Africa e occorrerebbe tenere a mente anche le implicazioni commerciali: già nel primo semestre del 2022 l'Italia, infatti, aveva superato la Francia nell'interscambio con la Tunisia ,diventando il suo primo partner commerciale.
Pertanto quando si discute di politica estera occorrerebbe mettere al centro del dibattito la proposta ben strutturata di una nutrita campagna di aiuti al paese.
Personalmente ho avuto modo di girare nei giorni scorsi la Tunisia da nord a sud, rendendomi conto, ancor più rispetto alle mie precedenti visite, di come l'inflazione abbia raggiunto livelli inauditi, contribuendo all'impoverimento dei salari reali della gente.
In un supermercato di un quartiere residenziale di Tunisi ho potuto constatare che una bottiglia di 1 litro di olio di oliva extravergine oscillava a seconda della marca tra i 20,7 e i 32, 8 dinari, ( nda: 1 euro equivale al tasso di cambio attuale a circa 3,33 dinari tunisini), prezzi esorbitanti se commisurati ai salari medi e soprattutto ricordando che il paese è uno dei maggiori produttori di olio di oliva del Mediterraneo.
Contestualmente anche il latte continua a registrare prezzi alti così, come lo zucchero per politiche speculative dei grandi gruppi di vendita e i prezzi di molti altri prodotti alimentari hanno avuto lo stesso trend al rialzo.
La Tunisia, ha seriamente bisogno di sostegno economico: in più ai propri di problemi,si aggiungono ora anche quelli correlati alla spinta migratoria dall'Africa subsahariana.
IL FUTURO DELLE RELAZIONI CON L'EUROPA
Facendo un breve excursus, il paese è stato colpito negli ultimi anni dalle conseguenze della guerra scatenata dall'Occidente contro la vicina Libia, la cui devastazione ha comportato la perdita di lavoro di migliaia di tunisini e sicuramente un impoverimento ulteriore anche di chi nelle aree a ridosso del confine libico campava di lavoro informale; successivamente gli attentati di matrice estremista religiosa hanno inflitto un brutto colpo al turismo, settore chiave per il Paese, poi la pandemia ha fatto il resto, seguita ora dal continuo tira e molla del Fmi e dai colpi bassi subiti delle agenzia di rating che contribuiscono con i loro declassamenti a creare sfiducia istituzionale nel paese agli occhi degli investitori esteri.
Eppure basterebbe pensare che per la sua storia di relazioni culturali, politiche economiche, per la sua vicinanza geografia, la Tunisia è più addentro l'Europa di quanto si possa pensare e seppur per paradosso abbia sfornato migliaia di foreign fighters arruolatisi in passato in formazioni terroristiche come Daesh, ha contestualmente rappresentato sin dalla sua vittoriosa indipendenza coloniale dalla Francia, un baluardo laico e all'interno del Maghreb è sempre stato un esempio per l'emancipazione del ruolo della donna: si pensi anche solo a livello simbolico che proprio, con la nomina di Saied la Tunisia ha avuto il primo premier donna nel mondo arabo (poi rimossa).
Il paese con tutti i suoi difetti endemici, pur con la svolta presidenziale e a tratti autocratica di Saied merita aiuto ed esige rispetto della propria sovranità.
In Italia non se ne parla ma la Tunisia con il governo di Ennahda, partito islamista vicino alla Fratellanza Musulmana, e i suoi gruppi politici satelliti ha rischiato negli anni scorsi un'involuzione seria in tema di diritti acquisti, rischiando un salto indietro nel tempo.
Basti pensare che all'indomani della rivoluzione dei gelsomini, di cui ad oggi buona parte dei tunisini è rimasta delusa dagli sviluppi, dopo la presa del potere politico appunto da parte di Ennadha, come mi ha confidato un docente universitario che ho avuto modo di incontrare nella capitale tunisina, furono diversi i gruppi radicali a forzare la mano nelle Università per cercare di far ritornare le lezioni ai corsi separati per genere (uomini da una parte e donne da un'altra), ancora a provare a far abolire alcune materie e far zittire docenti e intellettuali: in quei frangenti si riuscì a non cedere grazie alla dura opposizione degli studenti, donne incluse.
Ad oggi tramontata l'esperienza politica di Ennahda, la Tunisia di Saied, uomo che sulla lotta alla corruzione, contrariamente al partito islamista prima citato, ha basato la sua ascesa politica, chiede oggi alla comunità internazionale rapporti paritari e rispetto della sovranità, anche se dal punto di vista delle politiche economiche, sia per la propria impostazione teorica che per la cerchia delle persone di cui si circonda, il suo esecutivo lascia a parere dello scrivente, ampiamente a desiderare.
In ogni caso la Tunisia è al classico bivio e da lei dipende buona parte della stabilità nell'area mediterranea, oltre che l' attuale gestione dei flussi migratori. E al di là della retorica occorrerebbe da parte della miope Europa (che rivolge il proprio sguardo e i propri denari solo all'Ucraina) un serio e duraturo programma di aiuti.