Lavorare per vivere male
di Federico Giusti
Lavorare, fare sacrifici continui e vivere una esistenza di privazioni, parliamo di una condizione assai diffusa in ogni paese Ue. Una recente inchiesta della Confederazione europea dei sindacati parla di lavoratori impossibilitati ad andare in vacanza anche pochi giorni all’anno, sono oltre 41 milioni e il dato è in continuo aumento. Nel corso del tempo abbiamo raccontato del lavoratore indebitato e impaurito, del part time incolpevole che arriva appena alla terza settimana del mese, a una figura sociale senza identità, debolissima sotto il profilo culturale e sociale, consapevole di non potere offrire ai propri figli un futuro dignitoso.
I tempi del mese di vacanza all’anno, della chiusura di tutti gli stabilimenti industriali, della cabina e dell’ombrellone al mare, della settimana di rela nella montagna dei poveri a un paio di ore da casa sono lontani come è un pallido ricordo la condizione di vita nei tempi neokeynesiani.
Non si tratta di cullare il sogno del ritorno ad una epoca morta e sepolta ma prendere atto che da 40 anni ad oggi la condizione di vita e retributiva della forza lavoro è decisamente peggiorata, si risparmia non solo sulle vacanze ma anche sulle spese sanitarie, sulla istruzione dei figli che un tempo fu un investimento pieno di speranze della famiglia operaia e piccolo borghese.
Per la Confederazione europea dei sindacati tra il 2022 e il 2023 è cresciuto di oltre un milione il numero di famiglie che rinuncia a mare o montagna, quello che era un diritto acquisito sta diventando invece una sorta di lusso, la povertà lavorativa è condizione di fatto ben nota ma destinata a crescere anche nell’immediato futuro.
Eurostat racconta di lavoratori a rischio povertà, una condizione che riguarda oggi un decimo dei lavoratori sopra i 18 anni, una povertà che scaturisce da contratti che sanciscono ad ogni rinnovo la erosione del potere di acquisto, colpisce maggiormente i paesi nei quali precarietà e part time sono più diffusi ma anche quelli nei quali sono nati i distretti industriali dei paesi che hanno delocalizzato alcune produzioni (Romania, Ungheria, Repubblica Ceca, Irlanda, Estonia…), i paesi soggetti a misure draconiane per il debito pubblico (la Grecia), i paesi soggetti a feroci speculazioni finanziarie (Lussemburgo), i paesi infine dell’area Mediterranea che palesano ogni giorno la Europa a due velocità con i paesi del Sud Europa in continuo affanno.
La differenza di reddito tra generazioni viene analizzata anche dall’Ocse che parla di giovani sempre più svantaggiati e della erosione del potere di acquisto in tutte le principali economie europee, in particolare in Italia che nonostante molti rinnovi di contratti nazionali vede i salari di oggi inferiori di quasi l’8% rispetto a quelli del 2021. Pur crescendo i salari reali, in quasi 5 anni è evidente la erosione del potere di acquisto causa inflazione, l’aumento del costo dei prodotti energetici e una tendenza generale a staccare le dinamiche contrattuali dal reale costo della vita. Per la prima volta in 40 anni i salari tedeschi restano fermi, anzi sono in perdita pur lieve, i salari di Francia, Germania e Usa se la passano peggio, se poi guardiamo ai dati futuri il recupero effettivo del potere di acquisto diventa una vera chimera soprattutto per le fasce di età under 40
Chiudiamo estrapolando un passaggio da un articolo del Sole 24 Ore
Negli ultimi trent'anni, i baby boomer hanno goduto di una crescita del reddito significativamente piu' forte rispetto alle coorti piu' giovani e se non si trovera' modo di aumentare i redditi dei piu' giovani, la disuguaglianza intergenerazionale crescera'. Mentre nel 1995 il reddito disponibile delle famiglie dei giovani in eta' lavorativa (25-34 anni) era superiore dell'1% rispetto a quello degli italiani tra i 55 e 64 anni, nel 2016 la situazione si e' ribaltata a favore dei lavoratori piu' anziani, che godono di un reddito superiore del 13,8% rispetto ai colleghi piu' giovani.
*Ocse: in Italia salari reali -7,5% dal 2021, calo piu' ampio tra big - Il Sole 24 ORE