Londra, Pechino e la Brexit: il futuro delle relazioni tra Cina e UE

Londra, Pechino e la Brexit: il futuro delle relazioni tra Cina e UE

L'economista Li Daokui, professore di economia presso l'Università Tsinghua vede nell'uscita di Londra dall'Unione Europea l'opportunità per lo yuan cinese di internazionalizzarsi

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di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
 
Con questo intervento voglio soffermarmi su un particolare aspetto della cosiddetta “Brexit”: le conseguenze su Pechino.

Perché? Non soltanto per i rapporti sempre più stretti che negli ultimi tempi hanno legato – soprattutto dal punto di vista finanziario e infrastrutturale – Londra e Pechino, ma perché a sinistra si è diffusa  - e si va diffondendo - una lettura secondo la quale l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea sarebbe un fattore negativo sul piano degli sviluppi internazionali perché la dirigenza cinese – o una parte di essa - si era augurata esattamente il contrario.

Insomma, gettato dalla porta, il principio del “partito-guida”  parrebbe essere rientrato dalla finestra sotto forma di una particolare lettura: gli interessi della Cina, sul piano economico, coinciderebbero con quelli del movimento comunista internazionale.  Peccato che a rifiutare questo principio e questo ruolo da ormai quarant'anni siano gli stessi comunisti cinesi.
 
Chi scrive riconosce alla Repubblica popolare il ruolo essenziale svolto per rendere più democratiche le relazioni internazionali, nello sconfiggere il sottosviluppo e nel gettare le basi per un ordine internazionale cooperativo, ma non può evitare di ricordare come la seconda potenza economica mondiale abbia tutto il diritto di proteggere e perseguire interessi economici nazionali collegati alla sua posizione.
 
La lettura di cui stiamo trattando, tra l'altro, si fonda anche su di un presupposto errato quale la monoliticità della posizione cinese a riguardo e sorvola sulle basi storiche ed ideologiche del benevolo atteggiamento di quest'ultima nei confronti del processo di integrazione europea.

L'economista Li Daokui, professore di economia presso l'Università Tsinghua vede nell'uscita di Londra dall'Unione Europea l'opportunità per lo yuan cinese di internazionalizzarsi ancora di più sfruttando un possibile indebolimento della posizione dell'Euro. A questo aggiungiamo anche le preoccupazioni di Washington – oggetto di attenzione nel gigante asiatico - sulle ripercussioni all'interno del blocco occidentale e della Nato, sulla sua compattezza di fronte alla Russia e alla Cina. Secondo il prestigioso Brookings Institute la “Brexit” segnerebbe il declino dell'Occidente e di un'Europa che vedrebbe ridotta la sua influenza a causa delle preoccupazioni interne e, di conseguenza, darebbe ulteriore spinta all'ascesa cinese con Pechino che potrebbe attuare a suo vantaggio una politica di “divide et impera”.
 
Certo ci sono legittime preoccupazioni su aspetti particolari che possono avere effetti dirompenti sulla stessa potenza asiatica e ai quali dobbiamo prestare massima attenzione per comprendere la posizione “ufficiale” cinese. E tra questi c'è quello del diffondersi dei nazionalismi e del separatismo che potrebbero seguire in Europa al risultato del referendum britannico e fornire quindi un esempio e una spinta ideale ai movimenti secessionisti presenti nello Stato-continente multietnico cinese, sfruttando anche il sostegno e la simpatia occidentale.  

Anche in questo caso non ci troviamo di fronte a nulla di nuovo visto che basterebbe ricordare la stessa “precauzione” con la quale Pechino ha accolto il referendum che ha sancito la separazione della Crimea dall'Ucraina e il suo ritorno alla Russia. Come comunisti e antimperialisti, avremmo forse dovuto tenere un atteggiamento di equidistanza sorvolando sul fatto che gli avvenimenti ucraini rientravano nella strategia di accerchiamento della Russia e che i russi di Crimea sarebbero stati con ogni probabilità oggetto di violenze da parte della junta di Kiev e delle milizie fasciste a questa collegate? Di fronte a noi stavano le terribili immagini del pogrom anti-russo di Odessa! Avremmo dovuto sorvolare sul concreto rischio di una conflagrazione bellica tra superpotenze? Difficile crederlo.
 
Per quanto riguarda il secondo aspetto – la favorevole e tradizionale posizione nei confronti del processo di integrazione del Vecchio Continente - Pechino sembra restare fedele ad una considerazione dell'Unione Europea come polo politico-economico potenzialmente autonomo da Washington. L'ufficiale tabloid Global Times, in linea con questa posizione, ha commentato con preoccupazione il risultato della “Brexit” soffermandosi sul fatto che gli Usa avranno un rivale in meno nella “guerra” tra le monete e potranno influenzare politicamente con maggior successo un'Europa divisa e ripiegata sulle proprie difficoltà.  Sempre lo stesso quotidiano, tuttavia, ha citato altri esperti secondo i quali la nuova condizione della Gran Bretagna permetterebbe proprio alla Cina di approfondire con essa la cooperazione nei settori della tecnologia, delle infrastrutture e della difesa. Non tutto sembrerebbe negativo, quindi, sotto il cielo.
 
Vanno comunque ricordate origini e premesse di una benevolenza cinese nei confronti dell'unità europea che risale sostanzialmente agli esordi della politica di riforma e apertura e, soprattutto, alla svolta nei rapporti con gli Stati Uniti di Nixon: sì, l'Europa – insieme al Giappone - poteva essere considerata come un utile alleato nella lotta ingaggiata contro quello che veniva definito come “l'egemonismo sovietico”.
 
Oggi dobbiamo chiederci quanto l'Unione Europea sia davvero un polo autonomo e indipendente rispetto alle politiche di guerra e alle spinte egemoniche di Washington.

Soffermiamoci su quanto accade nelle “surriscaldate” acque del Mar cinese meridionale oggetto di una particolare preoccupazione di Pechino e sulle quali si dipana il “Pivot to Asia” dell'amministrazione Obama: qui, in nome della libertà di navigazione, la Us Navy ha messo in atto diverse forme di provocazione militare. Ebbene recentemente la Commissione Europea ha fatto propria la posizione di Washington chiedendo – il riferimento a Pechino, alle sue rivendicazioni e alle attività di costruzione nelle isole sotto controllo era ovvio – la fine di “azioni unilaterali” che potrebbero  mutare lo status quo e mettere a repentaglio la libertà di navigazione. Ad essere più esplicita è stata la Francia, Paese fondatore dell'Unione Europea: il ministro della Difesa del governo socialista Jean-Yves Le Drian ha dichiarato di vedere positivamente l'Unione Europea impegnata in prima persona, attivando un maggior coordinamento, in pattugliamenti “regolari e visibili” nella zona del Mar cinese meridionale.

Quanto prospettato è di fatto il più completo allineamento politico-militare alla politica statunitense. Così, in uno dei punti più caldi del pianeta, all'interno del quale si sono riattivate alleanza militari che vedono Washington al centro, l'Unione europea si rivela l'esatto contrario di un polo autonomo e di una diga all'espandersi dell'influenza politica a stelle e strisce.

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