Lukoil cede la raffineria siciliana di Priolo ad un fondo cipriota
La raffineria di Priolo in Sicilia, la più grande d’Italia, si accinge a cambiare assetto proprietario.
Di fatto la Lukoil, che attraverso Litasco controlla la Isab Srl, ha raggiunto un accordo preliminare per la cessione a Goi Energy, ramo energetico del fondo di private equity Argus di Cipro.
Ad annunciarlo il 09 gennaio con un comunicato stampa la stessa Lukoil:
“La Lukoil- si legge nella nota diffusa per la stampa - comunica che LITASCO S.A., controllata al 100% da LUKOIL, e G.O.I. ENERGY LIMITED (di seguito "G.O.I. ENERGY") hanno raggiunto un accordo relativo alla cessione di ISAB S.r.L. (di seguito "ISAB") a G.O.I. ENERGY. Il completamento dell'operazione è previsto entro la fine di marzo 2023 al verificarsi di alcune condizioni sospensive, tra cui il ricevimento delle necessarie approvazioni delle autorità competenti, in particolare del governo italiano.
ISAB S.r.L. possiede un grande complesso petrolchimico in Italia che combina impianti di raffinazione, gassificazione e cogenerazione elettrica. Per il funzionamento efficiente del complesso dopo la sua acquisizione, G.O.I. ENERGY ha stretto una partnership con TRAFIGURA, uno dei maggiori commercianti internazionali di petrolio e prodotti petroliferi del mondo, che assicura forniture ininterrotte di materie prime alla raffineria e fornisce il prelievo di produzione e il livello di capitale circolante necessario. Il nuovo proprietario manterrà i posti di lavoro e garantirà le condizioni di salute e sicurezza.”
Questa l'evoluzione, sempre che il governo approvi la cessione, di quello che era diventato un rognoso nodo per l'esecutivo Meloni, una vera e propria bomba economica e occupazionale pronta a esplodere.
I problemi infatti erano divenuti di difficile risoluzione, dopo l’embargo U.E. al petrolio russo, scattato il 5 dicembre 2022.
Problemi connessi innanzitutto alle difficoltà di reperire le forniture; la Isab stentava poi a ottenere linee di credito con le banche, nonostante le pressioni governative sugli stessi istituti di credito.
Le stesse banche interessate non si erano presentate al tavolo convocato dal Ministro dello Sviluppo e non avevano accettato le proposte di garanzie Sace per permettere alla raffineria di importare da altri paesi.
Nelle scorse settimane visto lo stallo, si erano paventate due ipotesi: quello della nazionalizzazione, oltre alla possibilità di richiedere una deroga all'embargo.
In gioco il futuro di mille dipendenti e di quasi 2mila lavoratori dell’indotto, ma considerata la rilevanza dell’impianto e la connessione tra imprese del tessuto produttivo locale, a rischio erano almeno 10mila posti di lavoro