L'ultima fase del neo-colonialismo negli Usa: "Xi non sia chiamato presidente"

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L'ultima fase del neo-colonialismo negli Usa: "Xi non sia chiamato presidente"


di Francesco Erspamer*


Distratta dai pettegolezzi che hanno sostituito la politica, la gente neppure si accorge del neocolonialismo che si sta diffondendo incontrastato, con il patrocinio sia dei libertari di destra che dei liberal di sinistra. Un esempio? La proposta di un repubblicano americano di impedire per legge che il presidente cinese Xi Jinping sia appunto chiamato presidente. Come mai? Perché il modo in cui ha raggiunto il potere non sarebbe democratico, ossia conforme ai riti stabiliti quasi tre secoli fa da un gruppetto di ricchi possidenti e inserito senza reali possibilità di modifiche nella Costituzione degli Stati Uniti. Da notare che il disegno di legge si intitola “Name the Enemy”; chi non si adegua è un nemico. Ma CNN, a chiacchiere antitrumpista, non è scandalizzata né dal nome né dal contenuto della proposta; rileva solo che potrebbe essere inefficace.

Di simili articoli i giornalisti americani e italiani ne sfornano ogni giorno. Per distogliere l’attenzione dal fatto che la Apple è ormai uno stato nello stato, più ricca di molte nazioni, e che Jeff Bezos ha approfittato della pandemia per portare la sua fortuna personale a più di 200 miliardi, cifra così assurda che si tende a non notare che equivale a duecentomila milioni.

Si guardano bene, i giornalisti, dal ricordare che negli Stati Uniti il presidente viene scelto, sì, da tutti i cittadini che vanno a votare (peraltro poco più della metà degli aventi diritto), ma solo fra due candidati, selezionati da un numero ristretto di elettori (meno del 20%) nelle primarie, americanata entusiasticamente importata in Italia per consentire l’occupazione del Pd da parte del democristiano Renzi; e che alla fine a vincere può essere, come nel caso di Trump, il candidato che abbia ottenuto meno voti (nella fattispecie, tre milioni). Per non dire del fatto che il ruolo determinante del denaro viene ormai accettato come inevitabile, se non glorificato in nome del libero mercato – e dei profitti che arrivano ai giornalisti stessi.

L’unico universalismo è questo, quello dei soldi; chi si riempie la bocca di valori “umani”, ossia decontestualizzati e destoricizzati, o più trasparentemente di destini manifesti di crescita e di globalizzazione, è un profeta del pensiero unico liberista. Penso che invece non esista una singola forma “giusta” di governo o di società, e che a nessuno debba essere permesso di sindacare sul modo in cui i cinesi decidono chi sia il loro presidente. Fatti loro. Lo stesso gli americani, e se il meglio che sanno trovare sono Trump e Biden, ne subiranno le conseguenze. Ma non dovremmo subirle noi.
La politica, come la morale, ha senso solo a livello locale; il resto è imperialismo, cioè il dominio del più forte. Non si tratta solo delle basi militari ospitate in Italia; le vere forze di occupazione, nel nostro paese, sono Amazon, le banche straniere, le catene commerciali. Serve una nuova Resistenza, una nuova lotta di liberazione, un nuovo anticolonialismo.


*Professore all'Harvard University

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