TFR e TFS, i tempi lunghi della Giustizia e del Legislatore

TFR e TFS, i tempi lunghi della Giustizia e del Legislatore

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di Federico Giusti

Sono trascorsi otto mesi dal pronunciamento della Corte costituzionale che dichiarava anticostituzionale differimento e rateizzazione del Tfr e del Tfs dei dipendenti pubblici,  dopo tanto tempo la situazione è ancora irrisolta e il Governo, nel silenzio assenso dei sindacati complici, non ha dato attuazione alla sentenza.

Quando si tratta di tutelare gli interessi della forza lavoro i tempi della giustizia e del legislatore si allungano inesorabilmente reiterando iniquità e vessazioni.

Andiamo a vedere di cosa stiamo parlando.

Il TFS, cioè trattamento di fine servizio, rappresenta la liquidazione dei dipendenti pubblici dopo avere completato il rapporto di lavoro andando in pensione. Dal 2001 nel regime del TFS rientrano anche Militari, Docenti e ricercatori universitari, Magistrati, avvocati e procuratori dello Stato.

L’indennità invece corrisposta per tutti gli altri lavoratori dipendenti pubblici viene disciplinata dal regime del TFR.

Rilevante è soffermarsi sulle tempistiche di erogazione del trattamento, in una o più rate a seconda dell’importo e della tipologia di pensionamento.

Se per il TFS la buonuscita è prevista a seconda dei casi in una o più rate e tuttavia mai prima di 12-24 mesi, Il TFR invece viene corrisposto secondo le tempistiche previste dal proprio contratto collettivo di riferimento.

Troviamo vergognoso il trattamento riservato al personale della Pa una volta andato in pensione, le tempistiche di erogazione del Tfs ai dipendenti pubblici variano da 105 giorni in caso di inabilità o decesso fino a 5 mesi se il pensionamento arriva per il raggiungimento del limite di età. Ma ci sono casi, specie per le pensioni anticipate, nei quali l’attesa arriva perfino a 24 mesi o anche oltre.

Per anni questo trattamento vessatorio è stato giustificato con la classica motivazione di ridurre la spesa pubblica, nelle settimane scorse in Parlamento è stata presentato un disegno di legge che avrà bisogno del solito lungo iter prima di una eventuale approvazione.

In questi anni la prima rata di erogazione del Trattamento di fine servizio (TfS) è stata limitata a 50mila euro mentre liquidazioni di importo superiore subiscono attese ancora più lunghe.

Non si capisce il motivo per il quale si debba assistere, anzi subire, trattamenti diversificati tra dipendenti pubblici e privati in violazione degli stessi principi Costituzionali.

Non è dato sapere cosa ne sarà della proposta di legge, resta il ritardo inaccettabile di attuazione della Sentenza e permangono trattamenti di peggior favore per il personale della Pa.

Per ricevere la liquidazione in tempi accettabili si sono perfino inventati una norma legislativa, il decreto-legge 28 gennaio 2019 che all’articolo 23, comma 2, prevede la possibilità di ricorrere, pagando interessi a tasso agevolato ma pur sempre interessi, alle banche e agli intermediari finanziari che hanno sottoscritto l’intesa per l’anticipo. Una doppia beffa e per esercitare un diritto, avere la liquidazione in tempi congrui, sarà necessario rivolgersi al capitale finanziario pagando interessi per il prestito.

Una situazione paradossale che non sembra suscitare alcuni interessi nel mondo sindacale ormai abituato, nella Pa, a una tacita attesa che la dice lunga sulla passività imperante dentro comparti che raccolgono 3,2 milioni di dipendenti.

Stesso discorso vale per la riduzione del danno rappresentata dai prestiti erogati dalle banche, una autentica intromissione del capitale finanziario a supporto delle logiche di riduzione dei costi di cui a pagare il fio sono sempre e solo lavoratori e lavoratrici.

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