“True Detective” 10 anni dopo: indagini gnostiche per un viaggio dantesco

“True Detective” 10 anni dopo: indagini gnostiche per un viaggio dantesco

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Nasce l’uomo a fatica,

Ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento

Per prima cosa; e in sul principio stesso

La madre e il genitore

Il prende a consolar dell’esser nato.

Leopardi, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”


di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico


“L'universo è una cloaca”, esordisce Rustin Cohle, strafatto di disgusto del mondo.

A proposito di cloaca, il nostro detective gnostico, è culo e camicia con il suo impulsivo partner che tenta di resistere al vortice di nichilismo lucido del collega.

A Gennaio del 2014 debuttava True Detective, la prima stagione della serie firmata Nic Pizzolatto, alla quale è dedicato questo scritto. In esso ci occuperemo solo della prima stagione e ne daremo per scontata la visione, non spiegheremo i fatti narrati, ma offriremo alcuni dei riferimenti filosofici che alimentano e scaturiscono dalla serie stessa[1].

Elemento acqua, viaggio inferno

Nello svolgersi degli 8 episodi vediamo l’acqua manifestarsi sotto ogni forma: acqua di alluvioni, melma di palude, rive mai trasparenti, sotto le palafitte e nel cielo plumbeo, “questo posto sarà sommerso tra trent’anni” dice Rust guardando fuori dal finestrino. Non sta dicendo solo che il livello dei fiumi si alzerà, ma che ogni cosa è destinata a perire e che la verità, intesa come essenza metafisica, non verrà mai a galla del tutto. L’acqua, che cambia forma in ogni recipiente, è sostanza incontrollabile come il fiume della sorte di Machiavelli; elemento funesto e imprevedibile. Una sorta di malaria morale contagia quei luoghi infetti: “Stiamo navigando in acque torbide, alligatori ci nuotano intorno ma noi non li vediamo” osserva Rust nella penultima puntata. Non a caso proprio un allagamento avrebbe fatto “perdere” i fascicoli del Programma Sorgente (ancora acqua!), che contenevano prove di una rete di pedofilia.

Lungo questo Stige a stelle e strisce i due compiono il loro viaggio infernale senza un saggio psicopompo ad accompagnarli: incontrano una donna con le unghie consumate da detersivi tossici, prostitute seviziate, pedofili, spacciatori, sadici, incestuosi, folli, infanticidi, bambini maltrattati, sacrifici umani e sette sataniche. Quello compiuto da Rust e Marty è un viaggio verticale, non solo orizzontale, fino al Cocito fluviale. Ricordiamo che Dante descrive il centro degli inferi come un lago ghiacciato e non come un luogo incandescente. I due, senza la guida di Virgilio, si imbattono in ogni sorta di peccatore, e Rust -come un Socrate con una maieutica spietata- li spinge a confessare. Nella quinta puntata dice: “tutti abbiamo qualcosa che non va, i colpevoli vogliono che la confessione sia catartica, soprattutto i colpevoli, ma tutti sono colpevoli”. Qui Rust si riferisce alla colpevolezza di esistere, di far parte del gioco cannibale dell’esistenza. Tra gli acquitrini malsani della Lousiana cosmica il vero investigatore non cerca un colpevole di un delitto, ma indaga le radici del male[2]. In un rimando continuo tra inferno americano e inferno di tutti gli esseri terrestri, i due iniziati compiono la loro catabasi.


“In preda al panico”

 Nella terza puntata i due assistono alla messa di un predicatore urlante osannato da una folla ipnotizzata; “Il mondo è un velo” dice il pastore, i cui sermoni sembrano a tratti gli insegnamenti di un monaco buddhista (anche se parecchio su di giri).

“Se l’unica cosa che rende corretta una persona è la prospettiva di una ricompensa divina, allora fratello, quella persona è un pezzo di merda”; commenta Rust. Vuole provocare il credente Marty, affermando che la religione serva solo a tenere a freno impulsi crudeli e osceni ma che non c’è vera etica se il comportamento è orientato dalla paura di un castigo e non da una sincera adesione al bene. Secondo Rust i fedeli che partecipano esaltati alla messa, se fossero privi di un dogma morale farebbero le stesse cose che fanno ora ma alla luce del sole; senza la fede “assisteremmo a uno spettacolo di assassini e depravati”. La religione peggiora le cose, perché fa nascondere le nefandezze, ma non le evita.

Marty risponde a Rust che lo vede in preda al panico. È esilarante il fatto che abbiano entrambi le loro ragioni, opposti e complementari come un demone dionisiaco e uno spirito apollineo. Anche Marty è in preda al panico perché la fede non basta, la distrazione di un’amante non consola, l’età avanza e così le insicurezze di virilità, la famiglia annoia e la giustizia non è cosa alla portata della terra e degli uomini. Rust e Marty lottano l'uno contro l'altro e dentro se stessi in una battaglia metafisica tra Natura e Grazia. E non c'è uno senza l'altro. Rust, che a volte sembra così cinico e disumano, è soprattutto un padre che ha perso sua figlia. Solo il calore di una famiglia asciuga l'umido di quel pantano del lutto che ha portato a intellettualizzare il suo dolore. Marty crede nella vita meno di quanto sembra e Rust la ama più di quanto pare: uno yin yang di colleghi, amici, complici e rivali che si fronteggiano e completano.

Nel Dialogo di un islandese con la Natura, Leopardi non delinea una Natura Matrigna, anzi essa è indifferente alle sorti dei suoi figli, né madre né matrigna. È un po’ lo scudo solo apparentemente scientista di Rust. Tuttavia il suo non è disincanto positivista, ma una visione mistica di matrice orientale, si riferisce all’impermanenza buddhista, ai concetti di Maya e L?l?. Rust non è privo di spiritualità, ma libero dalla superstizione. Riecheggiano in Rust le domande spaventose del poeta di Recanati: “A chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?” si chiede il poeta nello Zibaldone. L'esistenza del mondo stesso poggia su una legge cosmica: non v'è “in lui cosa alcuna libera da patimento”.

Il “Tutto è nulla, solido nulla” leopardiano, Rust lo afferma così: “Ho visto l’epilogo di migliaia di vite, signori: giovani, vecchi e tutti sono così sicuri di essere reali, convinti che la loro esperienza sensoriale abbia composto un individuo unico con uno scopo, con un significato; sicuri di essere più di una marionetta biologica, ma la verità viene fuori e una volta tagliati i fili si cade a terra” dice lapidario mentre sfoglia foto di cadaveri dell’archivio della polizia di stato. La morte rivela che la vita è un’illusione. Essa non garantisce significato alla vita umana e al contempo non la affranca dall’eterno ritorno del patire. "Il dolore ha preceduto tutto, anche l'universo", scrisse Cioran, che dalle tradizioni orientali attingeva moltissimo. Nella tradizione buddhista dolore e desiderio sono indissolubilmente legati e l’unico modo per venirne fuori è il distacco, la ripulsa del samsara, quello che Rust chiama “rifiutare la programmazione”.

La natura, come dormiente[3], e-segue i suoi istinti, mentre Rust è deciso a “Sfruttare la sua insonnia”; vediamo il contrasto tra Rust che non può prendere sonno e l’universo che è come dormiente, nella sua condizione di divoratore incosciente, nella sua ripetizione automatica. Anche il filosofo della Transilvania ha dedicato delle pagine intense alla propria insonnia: “Il dramma dell’insonnia è che il tempo non passa. Sei sdraiato nel mezzo della notte e non fai più parte del tempo. Ma non sei neppure nell’eternità. Il tempo passa così lentamente che diventa un’agonia. Tutti noi, in vita, siamo trascinati dal tempo, perché siamo nel tempo. Quando sei sdraiato, sveglio, in quel modo, sei fuori dal tempo. Così il tempo trascorre al di fuori di te e non riesci a tenerne il passo”.


La claustrofobia dell’eterno ritorno

L'uomo è prigioniero nella scatola cranica delle proprie percezioni e dell'illusione cronologica del succedersi degli eventi: il tempo promette un cambiamento mentre nulla può cambiare, ma solo ripetersi. Il tempo annuncia la fine del dolore ma quelle stanze delle sevizie si replicheranno senza fine o sollievo. “Perché dovrei vivere nella storia? Il mondo è un cerchio piatto e quei bambini saranno in quella stanza ancora e ancora” dice ai due sbirri che non comprendono la profondità filosofica del loro interlocutore; in realtà è Rust a condurre l’interrogatorio, trasformandolo in un processo inquisitorio contro la stirpe umana e il suo artefice.

Nella terza puntata Rust parla della “trappola della vita: l’idea che qualcosa possa cambiare, un trasferimento, l’amore, la realizzazione; la realizzazione non si raggiunge e niente finisce davvero”. In realtà nulla può cambiare ma solo ripetersi in un incubo senza respiro. L'uomo non si eleva mai.

L'uomo non dovrebbe conoscere la claustrofobia dell'eterno, tuttavia c'è stato l'incidente della coscienza, un'aberrazione evolutiva o un'abnormità nefasta del creato come scrive il filosofo norvegese Zapffe, un errore del Funesto Demiurgo[4]. Nel paradigma di Zapffe[5] Marty incarna l'ancoraggio e Rust rappresenta la sublimazione, due risposte alla mancanza dia senso dell’esistenza. Marty si aggrappa con tutte le proprie forze a valori come la famiglia, la giustizia, la religione, il bene contro il male; a Rust, che ormai ha visto in faccia l’abisso nietzieschiano, non resta che l’ironia e il paradosso.


La gratitudine della non-esistenza, Rust nichilista o mistico?

Leopardi nel Pastore errante dell'Asia, scrive che la prima cosa che i genitori fanno quando il loro bimbo viene al mondo, è consolarlo, poiché piange. Rust non può fare neppure più questo, è lacerato tra due disperazioni: la morte della figlioletta e la sofferenza nel mondo, a cui assiste impotente. Al contempo però la morte eviterà delusioni, amarezze, sofferenze alla sua piccola. Nella seconda puntata a proposito della perdita della figlia dice: “a volte ringrazio per questo, per quello che le è stato risparmiato” e “Quando muori da adulto sei cresciuto ormai il danno è fatto”. Il danno ossia la vita. Come non pensare all'offerta di Socrate ad Asclepio per avergli donato la morte? Nell’antica Grecia era consuetudine donare un gallo come ringraziamento per la guarigione da una malattia al dio della medicina, Asclepio. Per questo Socrate quando sa che morirà (condannato dal tribunale) raccomanda ai suoi seguaci di offrire un gallo al dio al momento della sua morte: perché la morte è guarigione dalla malattia.

“Credo sia da presuntuosi volersi ostinare sottrarre un’anima alla non esistenza e legarla alla carne per trascinare una vita dentro questo tritatutto” sbotta Rust. Schopenhauer lo disse così: “Ci si immagini un demone creatore: si avrebbe il diritto di gridargli, indicando la sua creazione: «Come hai osato rompere la sacra pace del nulla per creare una simile massa di dolori e di miserie?»”[6].

Ne La cospirazione contro la razza umana T. Ligotti osa discutere il principio intoccabile su cui la storia umana si fonda, secondo il quale vale la pena vivere, vivere è cosa buona e doverosa. Questo comandamento è il carburante di qualsiasi ideologia, e il pensiero contrario è il tabù dei tabù. La storia umana si è sviluppata sulla base del precetto cristiano dell’indisponibilità della vita e della bontà di essa, mentre una corrente filosofica eretica ha portato avanti il suo nichilismo carbonaro, fino alla domanda di Camus: “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio”. Perché non il suicidio?

"Nell'eternità nulla può crescere, non c'è divenire, quindi la morte generò il tempo" spiega un Rust supremo. Il male, quindi la dualità (diavolo significa anche separatore) e il conflitto, è necessario perché non ci sia solo l'Uno, cioè la sterilità perfetta e pacifica di dio.

“Credo che la coscienza umana sia un tragico passo falso dell’evoluzione[7], siamo troppo consapevoli di noi stessi, la natura ha creato un aspetto della natura separato da se stessa[8], siamo creature che non dovrebbero esistere per le leggi della natura (…) siamo programmati per credere che ciascuno di noi è importante mentre siamo tutti insignificanti. Io credo che la cosa più onorevole per la nostra specie sia rifiutare la programmazione, smetterla di riprodurci, procedere mano nella mano verso l’estinzione”. Rust è sospeso tra la via del mistico, la dissoluzione dell’identità nell’Infinito, e il nichilismo più cupo. Ma le due figure non sono affatto opposte! Ci troviamo davanti a due triadi concettuali, condivise dal nichilista e dal mistico: Eternità-Unità-Essere, e tempo-molteplicità-divenire.

La triade del divenire, con il tempo, morte e sessualità produce il samsara e l’attaccamento. Al contrario la triade Eternità, vita, unità, conducono al Nirvana (nolontà di Schopenhauer), ciò che Rust chiama “rifiutare la programmazione”[9].

La religione occidentale non ha saputo scegliere tra il Nirvana e il samsara, ha preferito cercare di salvare sia la vita terrena che il Cielo. Da questo cerchiobottismo metafisico è emerso un corto circuito: la nostra Chiesa loda il Cielo ma si tiene disperatamente agganciata alla terra.  


Carcosa, ultimo girone

I due protagonisti devono entrare visceralmente a contatto con il male se vogliono affrontarlo: devono spogliarsi dalle divise, dalle logiche del mondo, non possono più svolgere la loro missione restando membri della polizia, devono liberarsi dalle istituzioni umane, se vogliono davvero intraprendere una battaglia sovraumana.

Si trovano così nella raccapricciante proprietà di Errol Childress, l'uomo con la cicatrice, il quale vive in una grande casa sperduta nel bayou, un ecosistema paludoso ammorbato da zanzare, in stato di degrado e abbandono. Qui intrattiene una relazione morbosa con la sua sorellastra mentalmente instabile, a dalla quale, per eccitarsi, si fa raccontare lo stupro subito dal padre. In una baracca vicino all'abitazione, completamente ricoperta dei simboli che ricorrono in tutte le puntate, l'uomo tiene legato ad un letto il padre e due bambini prigionieri. Un corpo a corpo con il male porta quasi alla morte i due eroi senza distintivo. Ma qui il male non è che sofferenza: degrado igienico ed emotivo, emarginazione sociale, perversione affettiva e sessuale. I mostri sono figli dei mostri, sembra dirci Pizzolatto. Il padre aveva sfregiato il figlio che per vendetta gli ha cucito la bocca: naturalmente è un altro simbolo, il male è indicibile[10].


“A riveder le stelle”

Al risveglio dal coma, Cohle rivela ad Hart il rimorso che lo attanaglia: era già entrato in contatto con quell’uomo all’apparenza così mite e senza sospettare nulla, lo ha lasciato agire per anni indisturbato. Del resto è quello che Marty chiama la “maledizione del detective”: il colpevole è sotto il naso, la soluzione all’enigma è vicina, ma non la si riconosce. Ma questo non accade solo al poliziotto, è una sorta di impedimento gnoseologico di cui l’uomo è vittima e colpevole al contempo[11]. La Notte oscura dell'anima di Giovanni della Croce narra il viaggio dell'anima verso l'unione con Dio. Esso avviene durante la "notte", che rappresenta le "avversità" e gli "ostacoli" che ella incontra nello staccarsi dal "mondo sensibile" per raggiungere la "luce" dell'unione con Dio. È notte quando i due eroi di un mondo che non può essere salvato, escono dall’ospedale a fumare e ammirare le stelle. Nessun arresto sconfiggerà il male perché “ci sono sempre pesci ancora più grossi” da catturare. Ma soprattutto perché a livello ontologico il male non si può estinguere; senza dualità tra bene e male non vi è alcun mondo terreno. La vita terrena è infatti la conseguenza del peccato di essere caduti -a causa della dualità e tramite la procreazione- nel tempo. L'orrore è talmente costitutivo della sostanza interstellare che se smettesse di traboccare di sofferenze e conflitti "l'universo stesso cesserebbe fisicamente di esistere" scrive Cioran.

Anche se non si può vincere il male, non per questo si è autorizzati a demordere e arrendersi, si deve procedere oltre ogni fallimento, senza speranza ma senza paura. Il finale è esplosivamente dantesco e palesemente in linea con il culto manicheo: “L'unica storia che esiste da sempre la lotta della luce contro le tenebre. Sembra che l'oscurità stia avendo la meglio. Ma prima c'era solo l'oscurità”.

[1] La storia si snoda su due livelli diegetico-cronologici, il 1995 e 2012: due agenti della Polizia di Stato della Louisiana interrogano separatamente i due ex detective Martin Hart e Rustin Cohle, chiedendo ad ognuno informazioni sull'altro e sul caso del brutale omicidio di Dora Lange che, anni prima, li aveva resi noti. Rustin capisce che i due agenti stanno cercando dei collegamenti tra il caso della Lange del '95 e uno ancora in corso, il caso di una ragazza trovata nel lago Charles. Il 3 Gennaio 1995, il cadavere della Lange veniva rinvenuto sotto un albero solitario, in una piantagione sperduta. Tutti gli indizi evidenziano un macabro rituale: i segni sulla schiena, le corna di cervo sistemate come una corona sulla testa della vittima, la posizione della donna, inginocchiata e legata come stesse pregando davanti all'albero. Per i due poliziotti sarà l’occasione per riparare i conti col passato. La trama breve è tratta da Wikipedia.

[2] Scrive Guénon in L’esoterismo di Dante riprendendo da Aroux “L’inferno rappresenta il mondo profano, il Purgatorio comporta le prove iniziatiche, e il Cielo è la residenza dei perfetti”. Infatti secondo Guénon “l’epopea di Dante è giovannita e gnostica”.

[3] Lo scrisse Schiller, “La natura è vita che dorme” mentre l’uomo con la sua coscienza è “sveglio”: ha mangiato la mela, ha assaggiato il frutto dell’arbitrio.

[4] Ancora Cioran, il saggio è del 1969.

[5] Secondo il filosofo norvegese ci sono quattro strategie per non impazzire di fronte al trauma della coscienza: isolamento, ancoraggio, distrazione e sublimazione.

[6] Artur Schopenhauer, O si pensa o si crede, Rizzoli, 2011

[7] Lo scrive il filosofo norvegese Zapffe.

[8] L’autocoscienza è scissione, sdoppiamento, disgregazione, inevitabilmente schizofrenia: “Il Tragico” di F. Hölderlin, che visse diversi anni in stato di pazzia fino alla morte.

[9] Rust avrebbe avuto gli stessi pensieri se non avesse perso la figlia? Ci si chiede quindi se queste teorie non siano un meccanismo di difesa dal lutto, perché anche lui è prigioniero delle emozioni e degli attaccamenti.

[10] La visione negata (Il nastro bianco) Il cinema di Michael Haneke, Fabrizio Fogliato, Falsopiano 2008.

[11] Si legga per questo il capitolo dedicato alla morte di Omero raccontata da Aristotele e ripresa da G. Colli in “La nascita della Filosofia”, Adelphi, 1975.

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