Trump contro il multipolarismo: il dollaro come arma e simbolo del potere perduto
Il presidente USA, Donald Trump, ha annunciato un dazio del 10% sui prodotti dei Paesi BRICS, accusati di voler minare la supremazia del dollaro. “Il dollaro è il re”, ha dichiarato, avvertendo che chi lo sfida “pagherà un alto prezzo”. Un messaggio diretto a un mondo che sta cercando alternative all’egemonia statunitense e a un ordine unipolare sempre più in crisi.
Il 17° vertice dei BRICS a Rio de Janeiro ha segnato un nuovo passo verso la costruzione di un sistema multipolare. Ma invece di confrontarsi sul piano diplomatico, Trump reagisce con misure punitive, evocando scenari di “guerra mondiale” se il dollaro dovesse perdere il suo ruolo centrale. È l’ennesima prova di una visione ossessionata dal controllo, dove la moneta diventa arma geopolitica e strumento di ricatto.
Nel frattempo, il dollaro ha perso oltre il 10% contro le principali valute mondiali, toccando il minimo storico dal 1973. Un crollo che colpisce anche cittadini e lavoratori in economie legate alla valuta statunitense, come Hong Kong, dove l’erosione del cambio si traduce in perdita di potere d’acquisto. Trump non si limita a lanciare dazi: attacca frontalmente anche il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, bersaglio costante di insulti e pressioni. Vuole sostituirlo con un “uomo dei tassi bassi”, pronto ad assecondare le sue priorità politiche.
In un mondo dove le potenze emergenti costruiscono nuove alleanze, l’ex egemone appare sempre più isolato e aggressivo. Il dollaro traballa, e con esso l’illusione di un ordine mondiale fondato su una sola voce dominante. Trump, invece di adattarsi al cambiamento, tenta di fermarlo a colpi di dazi e minacce. Ma nella storia, chi si rifiuta di evolvere spesso accelera il proprio declino.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati