"Una nuova élite". De Bortoli cita l'"esempio della Cina" ma dimentica un piccolo particolare

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"Una nuova élite". De Bortoli cita l'"esempio della Cina" ma dimentica un piccolo particolare

Paginone dell'ex direttore Ferruccio de Bortoli nella sezione cultura del Corriere di oggi. Argomento: un peana per il libro dell'ultra liberista Roger Abravanel dal titolo significativo "Aristocrazia 2.0" (non meno significativo il titolo dell'articolo di de Bortoli. "Essere ambiziosi non è peccato. Creiamo una nuova élite").
 
Di fronte all'evidenza dei fatti (aumento vertiginoso delle disuguaglianze, smantellamento dei diritti sociali acquisiti in decenni di lotte, potenziamento dell'esecutivo e depotenziamento della democrazia, ecc.) quelli che siedono nella cabina di regia hanno smesso di negare la realtà: ora rivendicano apertamente il progetto di approdare a un regime oligarchico. L'ultima foglia di fico consiste nell'usare la parola meritocrazia al posto di oligarchia. Tutto il potere a chi "merita".
 
Da Marx a Piketty la letteratura che smonta il mito della meritocrazia ha accumulato migliaia di volumi ma questi signori contano sul fatto che a leggerli è una minoranza (e che le nuove élite accademiche li espungono sistematicamente dai programmi). Un particolare divertente: de Bortoli cita i feroci meccanismi di selezione che vigono nel sistema cinese per scegliere i quadri che vanno a occupare posizioni di rilievo negli organigrammi dello Stato/partito e delle imprese (e là non esiste nemmeno la parola meritocrazia, chiosa, riconoscendo implicitamente la valenza negativa del termine) e si chiede perché non si dovrebbe fare così anche da noi, visto che in Asia (non solo in Cina ma anche in Corea, Singapore e altrove) funziona.
 
Dimentica però di dire che là funziona in un contesto "statalista" (per usare il suo lessico) dove la politica mantiene il controllo sul mercato, mentre qui meritocrazia è sinonimo di capitalismo senza freni e controlli che annovera fra i suoi eroi (puntualmente citato) Marchionne, il grande liquidatore della classe operaia Fiat.
 
Gramsci diceva che per un dirigente comunista l'ambizione non è peccato finché si tratta di "grande ambizione" (finché cioè si tratta di un sentimento che alimenta la volontà di consacrare ogni energia all'impegno per il bene comune), diviene spregevole quando degrada a "piccola ambizione" (quando coincide cioè con la volontà di ottenere vantaggi personali). Secondo voi di che tipo è l'ambizione esaltata dai de Bortoli e dagli Abravanel?

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