Voci Indigene sulle Flotilla per Gaza: Nativi Americani e First Nations

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Voci Indigene sulle Flotilla per Gaza: Nativi Americani e First Nations

 

Anche ai più digiuni di storia, il parallelo tra Nativi del Nord America e popolo palestinese, accomunati dalla lunga espropriazione dai propri territori e da un GENOCIDIO, non è passato inosservato. Abbiamo già visto in un articolo di questa rubrica come, in particolare, gli Oglala Lakota di Pine Ridge siano schierati a spada tratta a favore dei palestinesi.

Navi di solidarietà

Nel Mediterraneo dell’estate 2025, le imbarcazioni Madleen e Handala hanno solcato le acque con un obiettivo semplice e immenso: rompere l’assedio di Gaza portando aiuti e speranza. Le Freedom Flotillas, dal 2010 a oggi, non sono solo navi: sono gesti simbolici che sfidano il blocco, testimoniando davanti al mondo la richiesta di corridoi umanitari e di giustizia. In questo scenario, accanto ad attivisti internazionali, sono emerse con forza voci indigene del Nord America: donne e uomini delle Prime Nazioni canadesi e delle comunità native statunitensi che hanno visto, nella lotta del popolo palestinese, un riflesso delle proprie storie di sopravvivenza e resistenza.

La Madleen è stata intercettata dalle forze israeliane in acque internazionali il 9 giugno 2025 e rimorchiata al porto di Ashdod (Israele); la Handala è stata abbordata il 26 luglio 2025 e condotta ad Ashdod. Le ricostruzioni legali e di stampa confermano porto e detenzioni; non risultano comunicazioni pubbliche di rimessa in navigazione delle due imbarcazioni. Tra gli attivisti nativi, le due donne di cui parleremo non hanno demorso. Nonostante i sequestri estivi, Dr. Suzanne Shoush e Mskwaasin Agnew sono ripartite a metà settembre 2025 con la Global Sumud Flotilla/Canadian Boat to Gaza (Women’s boat), pubblicando videomessaggi dal Mediterraneo che attestano la loro presenza a bordo e la continuità dell’impegno.

Le voci dalla barca

Dr. Suzanne Shoush (St’át’imc / Leq’á:mel First Nation, Sudanese), medica, figlia di radici indigene e sudanesi, ha parlato dal ponte della nave, guardando le onde che separavano la flottiglia da Gaza: “Siamo qui per sostenere gli sforzi globali per rompere l’assedio di Gaza, come atto di solidarietà indigena globale.” Ha aggiunto poi: “Gli antenati di mia madre non hanno sopportato colonialismo e fame perché io restassi in silenzio. Break the siege, Free Palestine.” Il suo linguaggio intreccia cura e resistenza, due valori profondamente radicati nella medicina tradizionale e nelle culture indigene. Shoush legge la tragedia di Gaza come un’emergenza sanitaria globale e, allo stesso tempo, come una questione di dignità indigena.

Mskwaasin Agnew (Cree/Dene, Salt River First Nation). Giovane attivista, ha srotolato sul ponte la Warrior Flag, la stessa che aveva sventolato a Standing Rock contro gli oleodotti:

“Questa Warrior Flag è stata a Standing Rock… è un simbolo di Global Indigenous Solidarity: nessuno è libero finché tutti non siamo liberi.” E ha detto: “Il momento di prendere posizione è ora… Alzati. Fai qualcosa. Free Palestine.” Il gesto è potente: la bandiera già sventolata a Standing Rock durante le mobilitazioni NoDAPL per proteggere il Missouri River oggi sfida il blocco di Gaza. È un ponte simbolico tra due popoli che conoscono l’assedio coloniale e la necessità di resistere. Le sue parole inscrivono la flotilla nella continuità delle lotte indigene per l’acqua come bene relazionale.

La delegazione indigena

Nei comunicati della Freedom Flotilla Coalition 2025 compare anche un gruppo che si presenta come “Indigenous delegation”. Nelle foto e nei post social compaiono bandiere, simboli e dichiarazioni di solidarietà: segni che la voce indigena non è un episodio isolato ma una presenza riconosciuta, soprattutto nell’asse Canadian Boat to Gaza/Women’s Boat.

Una genealogia di solidarietà

Le presenze indigene nelle flotillas non sono una novità. Già nel 2011, l’American Indian Movement (AIM-West) aveva inviato Jimbo Simmons (Choctaw) a bordo di una nave diretta a Gaza. La sua partecipazione stabilì un precedente: il diritto indigeno di essere presenti nei luoghi in cui la libertà viene negata.

Negli Stati Uniti, la solidarietà con la Palestina si è rafforzata dopo il 2023.

  • La Oglala Sioux Tribe (Pine Ridge) ha approvato nel 2024 una risoluzione per il cessate-il-fuoco e per l’apertura di corridoi umanitari.
  • Il NAISA Council (Native American and Indigenous Studies Association), formato in larga parte da studiosi e attivisti indigeni, ha pubblicato nello stesso anno un documento che richiama il diritto al ritorno dei palestinesi come parallelo al movimento LandBack delle Nazioni native.

Relazioni storiche: Palestina e Turtle Island

La connessione non nasce dal nulla. Le parole indigene per Gaza si nutrono di memorie condivise:

  • Colonialismo d’insediamento. Palestinesi e Nativi americani conoscono lo stesso schema: terre confiscate, popoli confinati, culture sotto assedio. Il parallelismo non appiattisce le differenze storiche, ma illumina meccanismi comuni di spossessamento.
  • LandBack ↔ Right of Return. Restituire la terra ai popoli indigeni del Nord America trova un’eco diretta nel diritto al ritorno dei palestinesi: due rivendicazioni sorelle che parlano di responsabilità e riparazione.
  • Acqua come bene sacro. Dalle battaglie di Standing Rock alle acque del Mediterraneo, l’acqua è vita: chiusura e inquinamento sono forme di oppressione, apertura e accesso sono segni di libertà. La flotilla traduce questa etica in rotta navale: aprire passaggi dove esistono barriere.

La flotilla, in questa lettura, non è solo una nave di aiuti: è una cerimonia sull’acqua, un atto simbolico di cura e di resistenza che lega due mondi lontani. È la pedagogia del mare come spazio di responsabilità condivisa.

Onde che uniscono

Nonostante i rischi — intercettazioni in acque internazionali, arresti, sequestri — le flotillas continuano a salpare. E tra le loro onde viaggiano anche le voci indigene.

Le parole di Shoush e Agnew, le delibere tribali, i ricordi di AIM-West sono tasselli di un mosaico più grande: la consapevolezza che la libertà di un popolo non può essere pensata senza la libertà di tutti.

Oggi, quando le bandiere indigene sventolano sul Mediterraneo, esse raccontano al mondo che la lotta palestinese e quella dei Nativi non sono battaglie isolate, ma correnti di uno stesso fiume, che scorre attraverso continenti e secoli. E ogni traversata ribadisce che la solidarietà, come l’acqua, trova sempre una via.

 

 

Raffaella Milandri

Raffaella Milandri

 

Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.
Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Attualmente conduce un programma radiofonico sulla musica nativa americana, "Nativi Americani ieri e oggi" e cura la riubrica "Nativi" su L'AntiDiplomatico.

 

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