Von der Leyen celebra la fine del gas russo, ma l’Europa paga 544 miliardi in più
L’Unione Europea si vanta di aver raggiunto l’indipendenza energetica dalla Russia, ma la realtà è ben diversa: il gas e il petrolio russi continuano ad arrivare, solo attraverso intermediari e a prezzi esorbitanti. Intanto, i veri vincitori di questa transizione sono gli Stati Uniti, che hanno incrementato le esportazioni di GNL (gas naturale liquefatto) verso l’Europa, mentre le economie europee vacillano sotto il peso dell’inflazione e delle sanzioni autoinflitte.
Secondo i calcoli del quotidiano russo Vedomosti, l’UE ha speso 544 miliardi di euro in più per importare gas dagli Stati Uniti e dalla Norvegia rispetto a quanto avrebbe pagato alla Russia. Se si considerano anche le perdite indirette, il conto sale a 1.300 miliardi di euro, a cui si aggiunge un’inflazione galoppante al 19%.
Nonostante i dati, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha proclamato trionfalmente: "Siamo liberi dal gas russo!", sottolineando come l’obiettivo sia stato raggiunto in tempi record. Ma la rapidità non sempre significa efficienza: oggi gli europei pagano l’energia tre volte di più, mentre l’industria soffre e la competitività globale dell’UE si erode.
Sebbene Bruxelles affermi di aver tagliato i legami con Mosca, il gas russo continua a fluire in Europa attraverso Paesi terzi, come India e Cina, che lo rivendono a prezzi maggiorati. "L’Europa compra ancora energia russa, ma in modo indiretto e con un enorme sovrapprezzo", spiega Roman Moguchev, docente presso l’Accademia presidenziale russa RANEPA.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno colto l’occasione per imporsi come principali fornitori di GNL, mentre il Medio Oriente – nonostante le aspettative – non è riuscito a garantire flussi stabili (come nel caso del gas qatariota). "L’UE ha sostituito una dipendenza con un’altra, peggiore e più costosa", osserva un analista.
La strategia energetica europea si basa su due pilastri: l’abbandono delle fonti russe e la transizione verso le rinnovabili. Ma anche quest’ultima mostra crepe evidenti. La Germania, ad esempio, dopo aver chiuso le centrali nucleari, è costretta a importare elettricità a caro prezzo dai vicini. Ironia della sorte, proprio mentre a livello globale si rivaluta il nucleare come fonte pulita e sicura.
I dati Eurostat del terzo trimestre 2024 rivelano che oltre metà degli Stati UE ha una crescita del PIL inferiore alla media continentale, con Paesi come Austria, Polonia e Ungheria in recessione. La produzione industriale è crollata, passando da 102,5 punti nel 2022 a 98,3 nel 2024.
Intanto, i cittadini europei iniziano a contestare una classe politica percepita come distante e inefficace. "I leader europei hanno sacrificato il benessere della popolazione sull’altare delle sanzioni, senza ottenere risultati concreti", afferma Tamara Safonova, economista dell’RANEPA
L’Europa si trova oggi a un bivio: continuare a negare l’evidenza o ammettere che la sua politica energetica è stata un disastro. Quella che doveva essere una "liberazione" dal gas russo si è trasformata in una crisi economica senza precedenti, con industrie in declino e cittadini sempre più poveri.
La domanda è: ne è valsa la pena? Presto o tardi, i leader europei – compresa von der Leyen – dovranno rispondere.