A cosa servono le manifestazioni?
1967
di Francesco Erspamer*
A cosa servono le manifestazioni? Per esempio quelle dell’altro ieri per la Palestina. Mi permetto di spiegarlo perché troppi fra coloro che hanno partecipato a esse o le hanno sostenute, sono oggi impegnati a discutere i tafferugli e gli atti di teppismo accaduti a Milano, come se scendere in piazza avesse lo scopo di ricevere l’approvazione dei giornali e dei benpensanti. No. Le manifestazioni sono prove di forza e soprattutto di determinazione: servono ad accorgersi di averle e così ad allarmare giornali e benpensanti spingendoli ad abbandonare le posizioni più arroganti o viceversa a gettare la maschera passando alla brutalità.
Non ho alcuna simpatia per i provocatori, gli estremisti e gli avventuristi: per contenerli serviranno efficienti servizi d’ordine. Ma la cosa essenziale è non farsi attrarre sul terreno mediatico, «asocial» inclusi: la partita si deve giocare nelle strade e solo nelle strade. Che centinaia di migliaia di persone escano di casa per protestare (invece di restarsene incollate allo schermo o schermino, fosse pure per dimostrare la loro empatia mettendo un «mi piace» sotto il simbolo della flotilla) è già un successo: l’esperienza reale e sociale che hanno fatto è di per sé un’emancipazione dal subdolo e pervasivo condizionamento della virtualità a cui sono abituate. Per alcuni giovanissimi sarà stata la prima volta.
Il potere sa bene di aver bisogno del consenso dei cittadini, anche di una minoranza ma solo se la maggioranza se ne resta silenziosa e rassegnata. Se invece molti di loro abbandonano l’apatia e cominciano a parlarsi e organizzarsi, la situazione entra in movimento. Da qui l’importanza assegnata da giornali e telegiornali, oltre che dai figuri al governo, a insignificanti scontri e vandalismi; la mera possibilità di un ritorno della gente alla politica partecipata (al posto della post-politica rappresentata, così di moda perché funzionale al neoliberismo) è sufficiente a mandare in fibrillazione un sistema abituato ad averla vinta a chiacchiere e menzogne.
È questa l’imprevista occasione che aspettavamo? Gaza è perduta ma lo sdegno che la sua distruzione ha provocato può ispirare una più ampia resistenza contro il regime che ha permesso il massacro e che da tempo sta cancellando ovunque la civiltà, la morale e la bellezza. Basta non farsi distrarre dai diversivi mediatici, basta tenere duro.
*Post Facebook del 25 settembre 2025