Alle aziende "italiane" che chiedono sussidi dopo la resa di Ursula
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di Alessandro Volpi*
E' bastato il solo annuncio dell'ipotetico accordo tra Trump e Von der Leyen per scatenare, in Italia, un'ondata di richieste di sussidi, aiuti e varie altre forme di sostegno da parte delle imprese italiane. In merito a ciò, occorrerebbe forse fare una considerazione preliminare molto legata alla natura del capitalismo nostrano. In primo luogo sarebbe utile evitare di distribuire sussidi a realtà societarie che non hanno sede fiscale nel nostro paese. Faccio alcuni esempi, non certamente esaustivi. Barilla International ha sede fiscale ad Amsterdam, Ferrero International ha sede fiscale in Lussemburgo, come Delfin, azionista di maggioranza di Luxottica.
In Lussemburgo ha sede anche Lagfin, principale azionista di Campari Group della famiglia Garavoglia e ancora in Lussemburgo ha sede la colossale San Faustin Holding, di cui la famiglia Rocca detiene quasi il 40% e il resto è nelle mani di varie famiglie imprenditoriali italiane. A tale holding sono riconducibili asset per 55 miliardi di dollari e gruppi come Techint, Tenaris, Ternium e le cliniche Humanitas. Sede fiscale in Svizzera ha invece Newlat, la principale azionista della cordata che ha acquisito Carrefour.
Sedi fiscali in Irlanda hanno la farmaceutica Rottapharm e D'Amico International Shipping SA. Naturalmente non parlerei di sostegni a Stellantis, che ormai non ha quasi più nulla di italiano e valuterei con attenzione sostegni pubblici ad aziende italiane nelle mani di proprietà estere come Bulgari, di proprietà di Lvhm, e di San Pellegrino, nelle mani di Nestlé. Forse notazioni non troppo diverse potrebbero valere per le società italiane in cui i grandi fondi americani hanno un azionariato decisivo. In estrema sintesi, di fronte ai dazi americani non può prendere corpo un insieme di aiuti a imprese che non hanno sede fiscale in Italia o non hanno una proprietà italiana, in particolare se tale proprietà è decisamente di natura finanziaria.
Capisco che questa valutazione possa essere considerata radicale e possa suscitare le critiche dei sostenitori del libero mercato, ma penso che, ormai, il libero mercato sia stato fagocitato dall'esasperazione ossessiva del profitto, costruito con ogni strumento destinato a impoverire una dimensione pubblica, il cui compito dovrebbe essere quello, invece, di non perdere di vista la centralità del lavoro e del suo valore fondante in termini di diritti, individuali e collettivi. Per essere chiari servono politiche economiche e non la distribuzione di prebende a chi non ne ha affatto bisogno.
In Lussemburgo ha sede anche Lagfin, principale azionista di Campari Group della famiglia Garavoglia e ancora in Lussemburgo ha sede la colossale San Faustin Holding, di cui la famiglia Rocca detiene quasi il 40% e il resto è nelle mani di varie famiglie imprenditoriali italiane. A tale holding sono riconducibili asset per 55 miliardi di dollari e gruppi come Techint, Tenaris, Ternium e le cliniche Humanitas. Sede fiscale in Svizzera ha invece Newlat, la principale azionista della cordata che ha acquisito Carrefour.
Sedi fiscali in Irlanda hanno la farmaceutica Rottapharm e D'Amico International Shipping SA. Naturalmente non parlerei di sostegni a Stellantis, che ormai non ha quasi più nulla di italiano e valuterei con attenzione sostegni pubblici ad aziende italiane nelle mani di proprietà estere come Bulgari, di proprietà di Lvhm, e di San Pellegrino, nelle mani di Nestlé. Forse notazioni non troppo diverse potrebbero valere per le società italiane in cui i grandi fondi americani hanno un azionariato decisivo. In estrema sintesi, di fronte ai dazi americani non può prendere corpo un insieme di aiuti a imprese che non hanno sede fiscale in Italia o non hanno una proprietà italiana, in particolare se tale proprietà è decisamente di natura finanziaria.
Capisco che questa valutazione possa essere considerata radicale e possa suscitare le critiche dei sostenitori del libero mercato, ma penso che, ormai, il libero mercato sia stato fagocitato dall'esasperazione ossessiva del profitto, costruito con ogni strumento destinato a impoverire una dimensione pubblica, il cui compito dovrebbe essere quello, invece, di non perdere di vista la centralità del lavoro e del suo valore fondante in termini di diritti, individuali e collettivi. Per essere chiari servono politiche economiche e non la distribuzione di prebende a chi non ne ha affatto bisogno.
*Post Facebook del 1 agosto 2025